Diploma di concessione del 1809 di Gioacchino Napoleone al vicario di Bagnara

Originale in carta pergamenata presso il museo diocesano di Reggio Calabria e Bova  in via Tommaso Camopanella

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Leggiamo quanto ci riportano il Cardone e il Minasi sull’episodio, rimarcando come anche in questo caso nonostante sia mutata la dinastia al potere rispetto al 1759 quando regnava  Re Carlo III non ci si interessa della cura delle anime ma esclusivamente dell’apparire, mettersi in mostra con insistenza, esibirsi.

Scrive il Cardone: estratto dal suo Notizie storiche di Bagnara Calabra

    Nel mese di Aprile del sopra detto anno 1806, pria che scoppiasse la brigantesca rivolta testè cennata, passando da Bagnara Giuseppe Bonaparte, da poco eletto Re di Napoli, accompagnato da’ generali Dumas, Daligny, Lamarque, e da buona scorta entrò nella nostra chiesa primaziale per visitarla, molto più ch’ella era di regio padronato.

    Nel vedere un sufficiente numero di rispettabili sacerdoti, i quali facevano uso della semplice cotta, mentre che il vicario capitolare era insignito del Mozzetto violaceo col cappuccetto, e con la pelle di armellino a’ lembi, e gli Economi Curati che la indossavano senza tale fregio, si determinò d’instituire un Canonicato nella sua regia Badial chiesa, repristinando in quella guisa, nella quale era stato negli antichi tempi. E a tale oggetto inculcò al Vicario capitolare D. Matteo Fedele di formare gli statuti canonicali, per il buon ordine, e regolare andamento di quel corpo sacerdotale, e spedirli al Ministero degli affari ecclesiastici per la debita approvazione. Per locchè il 27 di detto mese quel Vicario, riunendo tutti i preti nella segreteria della matrice chiesa, formò ivi gli Statuti, i quali, per la esatta osservanza delle regole in essi prescritte, furono firmati con giuramento da’ canonici, da’ dignitarii, e da’ manzionarii, come ancora dal notajo   D. Pietro Fedele all’ uopo richiesto.

    In forza di essi Statuti il Capitolo di Bagnara doveva essere composto da diciotto canonici, e da otto manzionarii, cioè il Decano, il Cantore, l’Arcidiacono, e il tesoriere. Il Penitenziere poi avrebbe dovuto essere fra gli approvati scelto il più degno, a norma della Decretale di Benedetto XIII, che incomincia: Pstoralis offici, ect. Siccome il tutto potrà rilevarsi da una copia dei medesimi statuti, che si conserva dal segretario del nostro Capitolo.

    Furono essi poi mandati in Napoli al Ministero degli affari ecclesiastici, e il 24 Giugno dello stesso anno vennero dal Re approvati, confirmando egli il capitolo, i Canonici, i dignitarii, ei Manzonarii, ed accordando a’ Sacerdoti la facoltà di potere indossare le canonicali insegne, nel modo che si trovavano descritte negli statuti di ch’è parola. Ma siccome il predetto Sovrano dovette partire per la Spagna, ove fu mandato da Napoleone I. suo fratello, per tale circostanza non fu spedito il diploma. Subentrato però al trono di Napoli Giocacchino Murat, il clero di Bagnara, verso i primi del 1809, diresse a lui una postulatoria sull’oggetto; la quale essendo stata benignamente accolta, fu, dopo poco tempo, spedito al Vicario Capitolare della nostra chiesa il desiderato Diploma in carta pergamena, del quale una copia, conforme al suo originale, è la seguente.

Joachim Napoleo, dei Gratia utriusque siciliae Rex,

Et Magnus Classis Imperìì Praefectus.

Fideli Vicario Capitulari Dicecesis Balbeariae Salutem

“ Quum ad Nostrum Regale Thronum preaces votaque pervenerint sacerdotum Nostrae Regiae Ecclesiae Civitatis Balneariae postulantes, ut uti possent insignibus Canonicalibus, quibus utuntur Canonici Cathedralium Nostri Regni, scilicet Superpelliceo, ac victis sericis coloribus coccineis; tempore vero estivo panno serico etiam coccineo. Nos scientes dictam Regian Ecclesiam Civitatis Balneariae Sacerdotibus in morum honestate ac doctrina conspicuis illustratam omnino fiusse: hortamur Te ad concedenda supradictis Sacerdotibus, eorumque successoribus praestata insignium ornamenta. Jubem idcirco cunctos Ecclesiasticos, Nostroque Magistatos, eos iis insignibus decoratos tueri ac tueri faciant; quibus vero uti nequeant, nisi prius hae. Nostrae Regales Literae in libris et Registris Nostris a segretis rebus Ecclesiasticis Ministerii fuerint adnotatae. Ne itaquehujus Nostrae Regalis permissionis oblivioni tradatur, prasentes Nostras Regales Literas a Nobis subscriptas, Magno Nostro Signo munitas, atque a Nostro Status Consiliario Ecclesiasticisque in Negotiis Supremo Ministro recognitas, exarari praecipimus ”

Datum Neapoli die 20 mensis Fefruarii 1809.

Joachim Napoleo

Locum Sigilli

„ Rex permittit Vicario Capitolari Civitatis Balneariae ut concedat Sacerdotibus Regiae Ecclesiae supradictae enarrata insignium Ornamenta „

     Ottenuto che ebbe il nostro capitolo il sopradetto Diploma supplicò Sua Santità, affinché si degnasse di approvare le concessioni avute da quel Sovrano, a cui questa chiesa apparteneva, per essere ella patronato Regio, così dichiarata fin dal 1755, con sentenza diffinitiva della reverenda Curia del Cappellano Maggiore, quando fu reintegrata l’Abbadia di Bagnara con tutte le sue antichissime prerogative, e con quel Collegio di Canonici, che un tempo si ebbe, e che come altrove dicemmo, Innocenzio III.  Non isdegnò di appellare: Insigne Capitulum et Collegium Balneariae; avendo il Re a sé ritenuto il jus eligendi Caput, sive Priorem in detta nostra chiesa. Il Sommo Pontefice, compiacendosi a tale dimanda, e credendo assai regolare, che in una chiesa, la quale negli antichi tempi era stata una delle primarie del Napoletano Regno vi fosse un Collegio di Canonici, rispose onorificamente al clero di Bagnara, per organo dell’Eminentissimo Cardinale Caracciolo, facendogli sentire che continuasse nel dignitoso stato in cui si trovava, che in breve gli avrebbe spedita la desiata Bolla di confirmazione: ciò che rilevasi da una lettera autografa del predetto Cardinale, che si conserva fra gl’incartamenti di questo nostro clero.

    Fidenti perciò quei canonici nelle immancabili promesse del Santo Padre indossarono, fin d’allora il Rocchetto e il Mozzetto violaceo, della stessa forma che pria lo portava il Vicario Capitolare. Ma siccome una tempesta politica venne ad aggravare assai duramente la sagra persona di Pio VII, quel Provicario (2) perciò, e quei canonici non hanno creduto conveniente d’insistere presso la Santa Sede, onde ottenere la desiderata Bolla; e sono ormai decorsi ben sessantaquattro anni, dacchè i nostri Canonici fanno uso delle Corali insegne.

Scrive il Minasi:  estratto da L’Abazia normanna di Bagnara Calabra

Dilucideremo meglio questa nostra tesi con i fatti rapportati dal Cardone. Uno scrittore meno ingenuo e più accorto non avrebbe certamente pubblicato queste scioccherie, che non onorano il clero di Bagnara di quei tempi. Quei reverendi dopo aver macchiata la loro fama mezzo secolo prima, quando, conculcati i canoni della chiesa, pretesero eligere un vicario capitolare, ora ad insinuazione di Giuseppe Bonaparte si riuniscono in assemblea, compilano statuti, nominano dignità ecclesiastiche, si costituiscono in capitolo collegiale, e, senz’alcuna approvazione dell’autorità ecclesiastica, ne prendono le insigne, che dovea concedere il Sommo Pontefice e non un principe illegittimamente costituito e di più inimico della chiesa; e di tutti questi fatti quel clero ardisce sin’anco domandare al papa l’approvazione. Neppur la ignoranza poteva scusare quei reverendi d’inviare quel martire della prepotenza di un despota quella petizione, che, se fu scritta come ce la rapporta il Cardone, all’audacia si aggiunse l’insulto. Ed in vero quale amarezza non risentì l’animo angelico di Pio VIII nel leggere in quella domanda, che una sentenza del Cappellano Maggiore di Napoli avea annullato una bolla pontificia, e che in forza della stessa sentenza era stato espulso dall’abazia un rispettabile ordine religioso? Ma di ciò non basta: un accorto lettore facilmente ne intende il resto. Dunque se allora fu costituita la collegiata non dovea per lo innanzi esistere: e quindi la sua esistenza fu quella illegalmente dichiarata al 1809, quando il clero di Bagnara riceveva il diploma da Murat che concedeva le istesse insegne, quibus utuntur canonici cathedralium, che poi quei reverendi (forse per modestia) mutarono con la semplice almuzia ornata a ‘lembi di armellino. Benché il vicario Fedele ne avesse domandato al sommo Pontefice l’approvazione, pure quel clero tosto ne fece uso, perché il cardinal Caracciolo alla dimanda del vicario avea risposto in nome del papa « che il clero continuasse nel dignitoso stato in cui si trovava » volendo significare che continuasse ad indossare la cotta, e non le insegne canonicali, di che non fa neppure cenno.

Che che ne sia di questa lettera che nulla aprova e nulla conferma (eccetto l’uso della cotta) notiamo che il clero di Bagnara avendo cominciato nel 1809 ad usare le insigne che come dice il Ferraris convenient canonicis ecclesiae collegiate, da ciò possiamo concludere, che prima di quell’anno non esisteva colà alcuna collegiata. Neppur esistevano statuti, tanto necessarii in qualsiasi comunità anche politica; quindi mancava questo principalissimo requisito, di che debbono essere necessariamente fornite le comunerie e le collegiate. Se qui domandiamo al Macrì la ragione di tale mancanza, egli forse ci risponderà che vi erano, ma che scomparvero insieme al breve apostolico della erezione della collegiata. Però in questo fatto neppure può invocarsi l’intervento del terremoto; giacché come per la presunta esistenza del breve di erezione, cosi anche per quella degli statuti, adducendo gli stessi motivi che sopra abbiamo rapportati, possiam conchiudere che in quel clero non esistevano statuti prima del 1806.

     E qui dopo avere riferito le notizie più importanti per questo nostro lavoro, forniteci dal Cardone, che toccano l’ultimo peridodo della esistenza dell’abazia al principio del XIX secolo, ci perdoneranno i nostri cortesi lettori, se, dopo averne dato un cenno in questo istesso capitolo e alla fine del precedente, ora con una più intima ed esatta conoscenza de’ fatti, ritorneremo a confutare l’opinione del Macrì favorevole all’esistenza della sua collegiata. Se fosse vero quel ch’egli propugna, cioè, che l’abazia era cosa affatto distinta dalla collegiata, la quale ebbe cura diretta delle anime, in essa come corpo separato dall’abazia dovea rinvenirsi molto prima del 1809, un superiore, che presedesse su’ pretesi canonici rivestito di un qualche titolo. Ma prima di quel tempo s’incontrano solamente i priori de’ canonici regolari, a cui ubbidiva anche il clero secolare, i vicarii nominati da’ leggittimi priori assenti, come pure qualche vicario apostolico; ne da documenti ne da notizie tramandateci da scrittori degni di fede, né dall’istesso Cardone si ricava che prima del XIX vi sia stato un superiore distinto da quello dell’abazia. Dunque il clero di Bagnara sin dalla sua origine era costituito in comuneria, a cui nequet esse dignitates come insegnano il Fagnano, il Tomasino, e come rescrisse la S.C. del Concilio, testimonianze autorevolissime, citate dal Ferraris nella sua biblioteca, e da noi già rapportate in questo istesso capitolo. E se pur vi sia stata una dignità, questa sarebbe senz’altro riservata alla S. Sede, giusta regola quarta della cancelleria apostolica, il che non si è mai colà avverato, non avendone fatto cenno alcun scrittore antico e moderno.

Però alla deficienza anche di una sola dignità, tosto ne sopravvenne l’abbondanza. Il consenso dei reverendi convocato nel 1806 considerando la sconvenienza che in un capitolo non vi fosse alcuna dignità, mettendo da parte il vicario apostolico, quei famosi canonici ne improvvisarono quattro, oltre il Penitenziere. Allora spuntarono come funghi il Decano, il Cantore, l’Arcidiacono, il Tesoriere ed anche il Penitenziere che dovea essere scelto il più degno fra gli approvati, et quidem, come dice il Cardone, a norma della decretale di Benedetto XIII, Pastoralis Officii. In breve i reverendi del congresso capitolare istituivano le istesse dignità della cattedrale di Reggio, con lo scopo di equiparare in qualche modo la loro chiesa alla nostra Metropolitana. Pretenzione impossibile ed insulsa, che disgraziatamente non si è ancora sradicata dalla loro mente: giacché il Macrì anche oggi sostiene «che essendosi voluto sopprimere benché ingiustamente l’abazia la nostra chiesa deve riconoscersi concattedrale di Reggio» (p3 e p14):scusate se è poco.

     Dobbiamo ancora notare che in quelle loro deliberazioni non sia stato fatto cenno dalla istituzione della prebenda teologale, giacché il Cardone non la ricorda nel suo lavoro. Ma se istituirono la penitenzieria giusta le norme della costituzione benedettina, la quale regola ad un tempo il conferimento dell’uno e dell’altro beneficio, non è possibile ammetterne la omissione. Perciò con fondamento congetturiamo, che allora si tenne anche conto di quest’altra importante istituzione, la quale, benché sfuggita alle ricerche di quel diligente scrittore deve certo rinvenirsi negli atti originali di quel famoso congresso. Non a torto il Murat leggendo nella dimanda presentata dal clero i nomi di tante dignità capitolari, concedeva le medesime onorifiche insegne delle dignità e de’ canonici della nostra chiesa Metropolitana.

     Se dunque non può ammettersi l’esistenza di una chiesa collegiale in Bagnara, non altro alla medesima può concedersi che il semplice titolo di chiesa abaziale, perché tale fu per il passato; ed al clero che vi ufficia non altro nome può competergli che quello di comuneria. Né vale la ragione che da più tempo il clero s’intitola capitolo collegiale, ed i sacerdoti che lo compongono si denominano canonici. Siffatti titoli sono improprii ed insussistenti, perché manca il privilegio anche presunto di una concessione apostolica; né si rinvengono i requisiti necessari per congetturarlo. Quo circa, conchiudiamo col Ferraris, ex his sustineri nequit, ecclesiam aliquam habitam esse pro collegiata, et quidem etiamsi praeterca tributa sit ecclesiae denominatio collegiatae, et beneficiatis illa canonicorum (Colle n. 85. 86).

Dippiù il Macrì che fonda le sue osservazioni sui diplomi pontificii è talmente convinto dell’esistenza della sua collegiata, che, per ripristinarla, neppur crede necessario un novello breve apostolico, giacché dice « Se avviene che una collegiata vien meno per la morte de’ canonici, o per altra ragionevole causa per cui quantunque la collegiata cessò di esistere in atto, pure si è conservata in habitu; per ridursi in atto basta la sola autorità del vescovo, poiché non si tratta per nulla di creazione» (p.11). Ma come abbiamo a sufficienza provato, l’abazia di Bagnara fu governata da’ canonici regolari lateranensi, a’ quali furono diretti quei diplomi pontificii per lo innanzi ricordati, e non da un capitolo di canonici secolari, che colà non ebbe mai esistenza, dunque pe’ regolari solamente può ammettersi la esistenza in habitu e per essi, benché non esistenti in atto, non è necessario un novello breve di erezione. Questo è il più grave errore del Cardone e del Macrì il confondere queste due distinte istituzioni, cioè quella de’ canonici regolari con l’altra de’ secolari, ed affibbiare a questi diplomi pontificii che a quelli si appartengono.

 Condotte fin qui queste note storico critiche è oramai tempo di finire giacché volendo prolungarle tornerebbero noiose ed importune. Solo ci rincresce di aver manifestate verità un po’ scottanti; ma ciò non per il desiderio di divulgarle o di sindacare fatti ed operazioni poco lodevoli dell’antico clero di Bagnara, ma per illuminare il presente sul vero stato della loro chiesa. Però nell’eseguire tale mandato importa che lo storico sia veridico, e che non venga mai a patti con l’errore; il che, com’è ragionevole, non dovrà eccitare avversioni in chi desidera conoscere il vero per non brancolare fra le tenebre dell’ignoranza.

     D’altronde per soddisfare in qualche modo l’ardente desiderio del Macrì di ristabilire colà un vero capitolo di canonici, senza bisogno di chiedere un novello breve pontificio di erezione, com’ègli pretende, ecco la via più facile, più breve e sicura per raggiungere lo scopo. Dovrebbe cioè il clero secolare aggregarsi al venerando ordine de’ canonici regolari lateranensi ed erigere in Bagnara un monastero. Allora trasformato il clero regolare costituirebbe un vero e reale capitolo di canonici con tutti gli onori e privilegi di quell’insigne istituto. Con questo facile ripiego la chiesa di Bagnara ripiglierebbe l’antico lustro, non però tanto splendido quanto quello di un tempo, ma certo più nobile del presente. Allora i novelli canonici sarebbero i veri e legittimi successori de’ primi canonici regolari lateranensi, sottoposti a un priore, che rinnoverebbe la memoria degli antichi, i quali illustrarono la loro famosa abazia.

     Se questa nostra proposta non tornerà gradita, allora converrà meglio tacere, dimenticare il passato, ed accettare senza rimostranze l’assestamento definitivo della loro chiesa, iniziato e felicemente compito dall’emi.mo Cardinale Arcivscovo (30 aprile 1903) il quale, superate molte difficoltà, istituì un Abate Curato, cui furono dal governo assegnati per congrua qui pochi residui delle ricche entrate dell’abazia che sin’ora erano sfuggiti alle unghie rapaci d’ingusti usurpatori.

 

Post Author: Gianni Saffioti