Fatica e ricchezza dei bagnaroti!
Parte dell’introduzione al libro del prof. Michele De Luca
La marineria di Bagnara Calabra e
la “caccia” al pescespada
In libreria nel mese di Aprile, editore Laruffa
————–
Una caccia leggendaria, trasmessa tra le epoche, di gente in gente,
attraverso le generazioni, i domini succeduti, i tributi dovuti, le
tecniche affinate, i racconti tramandati, gli atti rogati; una staffetta
con un regolare passaggio di testimone fino al traguardo finale non
di vittoria, ma di sconfitta, l’ennesima: un millennio per costruire,
un decennio per demolire. La storia è maestra sino a che se ne ha
coscienza. Ma l’uomo è facile all’oblio.
Michele De Luca nuota controcorrente: scrive quello che i più cancellano,
scandaglia quel che ai più appena appare. Con la consueta
tenacia ripercorre la storia della “caccia” al pescespada attraverso
una considerevole schiera di autori, portandoci su felúche, palamitare,
buzzétti, spadare, luntri; ergendoci, in bilico, sul faréri, di
vedetta sulle colline a scrutare il mare; sospingendoci nelle poste
prestabilite per dominio, come rendita abbaziale, per privilegio di
fondazione, tributo di fede, premio assicurativo dell’aldilà, per antica
usanza, sino a pochi decenni orsono.
Sino a quando, spezzando il naturale equilibrio, che regola e sorregge
la competizione tra le specie, l’uomo non ha barato per avidità
di guadagno, per inappagabile bulimia, mettendo così fine ad una
caccia sì cruenta, ma alla pari; inaridendo la fonte del suo stesso
fiume; depauperando la sua stessa ricchezza. Questo è il dazio dello
sviluppo? Sì, il progresso è inarrestabile come l’impeto torrenziale
della fiumara che trascina le pietre senza massa, senza forza per resisterle,
nell’abbraccio terminale con il mare. Ma, fu vero progresso?
Un giorno, forse, con capacità critica a posteriori, ci porremo
tale interrogativo, tardivo, magari, ma essenziale, per non essere
solamente «na peṭṛa chi rótula» e che «no’ ppígghja lippu».
Una traccia, un’orma, almeno, tanta fatica, tanti sacrifici, tante vite,
devono aver lasciato lungo il percorso dell’esistenza.
Michele De Luca ha ricercato anche questi passi di gente semplice,
incallita al lavoro, dimentica di ogni agio, soggiogata alla fatica,
esperta d’anni e di uscite, a forza di remi, con vista sempre più
temprata dal continuo scrutare. E questo calzarsi nelle scarpe altrui
Michele lo realizza attraverso il linguaggio, la testimonianza diretta
dei suoi protagonisti, una volta tanto, malgrado il ruolo marginale
rilegato loro da tutte le altre fonti.
Riportare il linguaggio, parola per parola, espressione per espressione,
senza alcuna mediazione, senza alcuna nota interpretativa,
senza alcun giudizio di merito o di forma, è un’opera di alta e pregevolissima
archeologia, che non scava nella terra, sotto i detriti
deposti dal tempo, ma che scruta negli uomini, nelle donne sotto la
coltre di oblio, che tutto offusca e tutto smarrisce.
Insieme ai libri la ricerca sul campo, con gli autorevoli autori anche
la gente umile, la fatica di Michele De Luca ricompone per intero il
quadro degli eventi ricongiungendo quel che spesso si va separando:
il passato con il presente, la conoscenza con la cultura che la sostanzia,
gli uomini alle loro sorti, cercate o imposte, ma certamente
vissute e per questo meritevoli di considerazione e di memoria.
Ancora tra le righe: il cullare delle onde in attesa dell’inseguimento;
le screpolature del mare in un gioco di specchietti riflessi nello
sguardo vigile dell’avvistatore; il braccio di ferro con le correnti; il
travolgere delle mareggiate; l’infrangersi, il naufragare, il riemergere
dopo essere stati risucchiati dai flussi; gli occhi incrociati del
pesce e dell’arpioniere; le stelle, orologio e meteo.
Un ricordo, dunque, di fatica e ricchezza dei bagnaroti!
Mimmo Catania
Museo del dialetto
Dasà (VV)