Il castello e il palazzo ducale dei Ruffo duchi di Bagnara

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Di Alessandro Carati

Pubblicato su Calabria Sconosciuta, Anno XL, n° 155/156 (Luglio-Dicembre 2017).

 

Primo in ordine di tempo v’è il castello, e riguardo alle sue origini bisogna puntualizzare su cosa intendiamo con il termine castello. Se intendiamo una specifica area munita per la difesa, sul genere ed erede dell’antico castrum romano, esso senza dubbio sorse al tempo della abbazia normanna, e, in certo qual modo, si identificava con gli apparati difensivi della stessa e in senso più ampio con quelli della Rupe di Marturano su cui sorse. Le fonti più antiche accennano a delle prigioni gestite dall’abbazia (quelle donde nel XIII sec venne rinchiuso W Presbitero[1]), che riteniamo fossero delle semplici celle adibite al bisogno, così come le possedevano i coevi monasteri fortificati di S. Maria di S. Eufemia e della SS. Trinità di Mileto; v’erano poi le stalle, le cucine, gli ambienti dove potere all’occorrenza ospitare una piccola guarnigione, e tutto quanto occorreva alla vita quotidiana. Ai primordi della sua costruzione il complesso abbaziale dovette essere circondato da mura sull’esempio delle coeve abbazie normanne di S. Eufemia e Mileto.

Altra significativa testimonianza risale alla metà del ‘200, allorché gli inviati del papa venuti per deporre il priore Filippo, vengono respinti e trattenuti fuori. Dalle porte della città? O da quelle dell’abbazia fortificata?

 Forse agli inizi tutto questo, come accennato, venne a coincidere coi fabbricati pertinenti all’abbazia a al suo monastero, così che possiamo parlare anche per Bagnara di abbazia fortificata, come era il caso delle altre due sopra citate; ma detta abbazia, a differenza di quelle, sorgeva al centro di una ampia rupe protesa sulle scogliere marine, e, anche se la rupe godeva di un ottima difesa naturale,  non era sufficiente limitare le difese al perimetro del complesso religioso, bisognava rendere efficace tutto quanto già la natura aveva predisposto, e, in particolare, sopperire a est, laddove la sella collegava al monte, ovvero dove si apriva l’ingresso alla rupe, e dove le carenze difensive erano più sensibili. Dunque, fermo restando le strutture dell’abbazia fortificata nel cuore della rupe[2], presto gli stessi monaci dovettero provvedere, seguendo le contingenze del momento, oltre che ai lavori di sterramento e pianificazione della sommità della rupe, a fortificare e puntellare, laddove si presentava l’opportunità, la rupe stessa;  in particolare tutto il versante prospiciente la sella che congiungeva al monte, ovvero la parte facilmente accessibile. Questo lavoro fin dagli inizi dovette avvenire in modo alquanto disorganico, venendo incontro, forse più all’immediato e al prestigio, che alle reali necessità del momento[3], avvalendosi dei materiali di più facile reperibilità: pietre per le macere e legname per le palizzate. Qualche secolo appresso, per volere sovrano, essendo mutato il contesto storico, allorché scoppiarono diversi ed endemici conflitti che afflissero le contrade dello Stretto,vennero emanate di volta in volta apposite ordinanze che portarono ad interventi sistematici, più metodici e razionali, ma, inizialmente, sempre in modi e maniere limitate ai contingenti bisogni, fino a quando per volontà regia, non venne costruito l’edificio del castello, e le opere di difesa che culminarono nella seconda metà del ‘500 con il completamento della cortina muraria e del bastione meridionale i cui resti sono ancora oggi visibili. Nel frattempo possiamo notare che all’ombra della sua chiesa, una parte della città si era espansa ben fuori le sue stesse mura, seguendo due direttive: una a monte (odierno rione Porelli), e l’altra lungo i pendii meridionali[4]. Inizialmente la città venne denominata castrum, in seguito, nella seconda metà del ‘500, il Marafioti la dice castellum. Cerchiamo adesso di risalire dal castrum al castellum.

A seguito delle guerre di successione all’imperatore Corrado (deceduto nel 1254), figlio di Federico II, e poi durante la Guerra del Vespro (dal 1282), diverse furono le ordinanze per fortificare le varie contrade dello Stretto, e la piccola Bagnara viene ripetutamente nominata. A fine Dic. 1282, inizi 1283 il castellano dell’abbazia normanna di S. Maria e dei XII Apostoli viene definitivamente sostituito con un castellano regio. In un privilegio di Roberto d’Angiò, in data 1304, troviamo scritto: “ Quod Joannes de Linida status monasterio nostro custos, seu castellanus fortalitiae Monasterij Balneariae…”[5]; e in un documento di re Federico III di Sicilia, dato a Napoli il 10 luglio 1317, allorché viene stipulata la tregua con re Roberto D’Angiò, già duca di Calabria, si parla del “fortilicius Balneareae”[6].

Dunque, prima del XV sec se parliamo di castello ci riferiamo a una piccola città fortificata al sommo di una rupe, quasi interamente difesa dalla stessa natura che la cingeva come una muraglia, ma giammai di castello in senso stretto, inteso come edificio esclusivamente concepito per l’uso militare: dunque solo monastero e città fortificata[7].

La muraglia naturale della rupe, nell’arco dei secoli, soprattutto lungo la parte prospicente la sella che la unisce al monte, venne soggetta a più interventi di fortificazione, ricostruzione e rimaneggiamenti di cui ci sfuggono tempi, portata e particolari. Ma alla fine del XIV e inizi del XV sec, con tutti i carismi del caso si costruisce il castello regio, ad uso strettamente militare, ben distinto dalla parte urbana, e al quale si accedeva non solo dal ponte levatoio[8], ma pure dal centro della città, presso la piazzola antistante l’abbazia normanna, dove sorgeva il cuore del castello caratterizzato da un’ entrata monumentale, con il portone fiancheggiato da due possenti torrioni a base quadra che s’innalzavano sopra tutte le altre costruzioni[9], e che preludevano alle rimanenti fabbriche: la parte nobile (dimora del signore feudale, del suo seguito e del castellano), e, prima per importanza la piazza d’arme, alla quale venne destinata un’apposita area, sita lungo il fianco a nord est della rupe sul lato che incombe sulla Marinella. Il castello sorse con tutti i carismi dell’arte della guerra, e possedeva tutto quanto occorreva per l’acquartieramento delle truppe e la difesa. Possedeva nuove ed efficaci prigioni, situate presso le fondamenta, nella parte più buia e tetra, che poggiava direttamente sulle rocce della rupe, dunque cisterne, stalle, alloggiamenti per le truppe e quant’altro di necessità. Giuridicamente ricadeva sotto la giurisdizione del feudatario ecclesiastico, ma tale status, al tempo della costruzione del castello, era da decenni divenuto più teorico che di fatto, e decadde definitivamente coi Ruffo.

Quando Carlo Ruffo, conte di Sinopoli nel febbraio 1417, ottiene gli uffici di capitano e castellano di Bagnara a danno di “Dessio de Comite de Lipari, tunc usque Castellano dicti Castri, et Capitaneo dictae Terrae Balneariae” [10], il castello entra definitivamente in possesso dei Ruffo, per costituire il simbolo di un’entità politica che, ben distinta da quella religiosa, rappresentata dal monastero normanno, regolava e caratterizzava la vita della cittadina. Tra il 1418 ed il 1422, per acquisti vari, ivi compresa la castellania e capitania di Bagnara, Carlo verserà nelle casse del Regno, la somma di 12113 ducati,[11] e nel complesso le sue spese dovettero andare ben al di là di tale cifra.

Nel 1441 si serve senza scrupolo delle sue tremende prigioni (ben diverse da quelle dove un tempo, a fine del XII sec, venne imprigionato W Presbitero), e dopo la sua ribellione ed il suo tradimento, i suoi nipoti, coi quali ha inizio il ramo dei Ruffo di Bagnara, si vedranno riconoscere i loro diritti sulla città ed il castello, di cui manterranno il possesso assoluto. Con Giacomo, nel 1579, acquistano dal Capitolo Lateranense la quasi totalità delle terre già parte del feudo dell’abbazia normanna, la loro potenza sia economica che politica raggiunge l’apice: dal gennaio 1603 vennero insigniti del titolo ducale e divennero gli unici incontrastati signori feudali di Bagnara. Furono dunque questi nuovi padroni e signori,i Ruffo di Bagnara, ad apportare le più consistenti modifiche, sia in ambito difensivo che civile, legandone le sorti a quelle della casata.

All’ ombra del castello e della loro potenza, verso la seconda metà del ‘500, i Ruffo costruirono una lussuosa e confortevole dimora signorile che divenne nota come palazzo ducale.  Questo si elevava ben oltre l’altezza della cortina muraria sulla cui sommità affacciava una lunga balconata, e si estendeva maestoso pressappoco da una porta all’altra della città[12].

 Il Seicento, che ai suoi inizi vide l’apoteosi ma anche l’inizio di un lento declino dei Ruffo di Bagnara, sotto svariati aspetti, fu un secolo nefasto per la Calabria e la Sicilia, ed anche per tutte le contrade attorno allo Stretto. Avvennero una serie impressionante di terremoti e fra gli altri, nel marzo 1638 vi fu quello che distrusse Noto e Catania, e rase al suolo l’abbazia normanna di S. Eufemia; altro nel 1648, e quello del 5 novembre del 1659, che arrecò gravi danni anche all’ Abbazia di Bagnara, e che dovette probabilmente concludere o aggravare l’opera di dissesto di quello che lo precedette; infine, un altro più grande e funesto  il 9 e 11 gennaio 1693[13]. Sappiamo che nel bel mezzo di tali calamità, nel 1647, la popolazione di Bagnara si rivolta contro il feudatario e assalta il palazzo ducale che riteniamo essere ancora quello originale, scampato al terremoto del 1638. Tuttavia non dovette resistere ai colpi degli altri del 1648, 1659 e 1693[14]. Sembra che assieme al castello che gli stava a lato, prima della definitiva rovina, dopo la sollevazione del 1647, venne posto in riparazione: “ —il Duca fece rafforzare il portone del suo palazzo a Bagnara, fece costruire delle gallerie di collegamento fra l’edificio e il forte e fra l’edificio e la zona del Borgo …”[15]. A quel tempo Fabrizio Ruffo[16] che negli anni sessanta raggiunse il culmine del suo prestigioe delle sue fortune, non fu estraneo ai fatti di Bagnara dove ritorna nel 1664 per donare il suo aiuto al duca suo fratello che si trovava in non lievi difficoltà economiche. Rovinato che fu il palazzo a ridosso della cortina muraria, dovette contribuire oltre che alla rinascita del castello, anche alla ricostruzione del nuovo palazzo ducale, che sorse in diverso sito: ovvero presso il centro della rupe, presso la piazzola antistante l’abbazia normanna, che aveva anch’essa subito danni non indifferenti, e che per mancanza di fondi i frati non potevano riparare o ricostruire; così il nuovo palazzo sorge presso il sito dove prima v’era l’ingresso monumentale del castello regio caratterizzato dai due torrioni. Nel costruirlo lo si accosta all’abbazia, in modo che le mura meridionali ne sorreggessero la facciata laterale sx che risultava pericolante[17]. Questo palazzo, al pari di quello che lo precedette, non ebbe vita lunga; e il nuovo castello non raggiunse più l’imponenza e le dimensioni di quello precedente.

Il terremoto del 1783 riduce l’intera città ad un cumulo di macerie: le già pericolanti fabbriche dell’abbazia crollano miseramente; lo stesso può dirsi per il palazzo ducale, che esce definitivamente dalla nostra storia; ed i danni al castello sono tali da farlo omologare come “castello diruto”[18]. In tale stato, era stato ceduto da Francesco Ruffo, Principe della Motta e duca di Bagnara, ad Andrea Colonna, principe di Stigliano (che nel 1776 aveva sposato Cecilia Ruffo), e poco dopo un decennio la famiglia Colonna – Ruffo –Stigliano vende il tutto alla Società Patamia De Leo[19].

Era in macerie fin quasi alle fondamenta e in stato di abbandono, come l’intera città sepolta sulla rupe, quando negli anni venti del milleottocento, è colpito dagli espropri per costruire il Ponte Caravilla e il suo acquedotto, e farvi passare la strada (oggi SS 18), così come oggi li vediamo. Il pomeriggio del 27 Ag. 1847 Edward Lear, quando su una barca proveniente da Palmi, giunge a Bagnara, ammira queste nuove costruzioni e la maestosità della rupe e del Ponte Caravilla, e vi dedica due tra i suoi più famosi acquarelli.

Un anno appresso, nel 1848 con lo sciogliersi della società Patamia-De Leo, quel che era rimasto del castello passa per metà ai De Leo (la parte che guarda a monte, oggi nota come Castello Emmarita), per l’altra metà ai Patamia (la parte posteriore interna alla Rupe). I De Leo, ai quali sembra sia andata in sorte la parte più importante (in quanto vi si fecero confluire non pochi reperti scampati al terremoto), nel primo decennio del ‘900, vendono questa proprietà all’ingegnere Rodolfo Zehender, che dopo una lite con Antonio De Leo, vende al comm. Guglielmo Mezzetti. Questi nel 1920 (o attorno a quegli anni), costruisce quello che verrà noto come Castello Emmarita (da Emmarita, sua figlia), che adibisce ad albergo[20]. In seguito, fin dagli anni sessanta, entrò di proprietà della regione Calabria che dopo svariati restauri, vi insediò una scuola alberghiera.

La parte andata in sorte ai Patamia, venne da questi venduta, e già nel disegno di Edward Lear vi scorgiamo un nuovo grosso fabbricato. La parte immediatamente posteriore del Castello Emmarita, similare a questo nei suoi aspetti architettonici, ma distinta da esso, fino al 1998 appartenne a privati, che la tennero nel degrado e nell’abbandono più assoluto; poi venne acquistata dall’ ex sindaco di Bagnara Santi Zappalà, che diede inizio ai lavori di ristrutturazione, sospesi a seguito di sfortunate e poco piacevoli circostanze, che a partire dal 2011 hanno riempito le pagine di cronaca dei giornali.

Viene spontaneo domandarsi che fine abbiano fatto i beni mobili all’interno dei due palazzi ducali, soprattutto le numerose opere d’arte ed i pregiati quadri di autore e tutti gli altri oggetti di valore che avevano adornato le sale del palazzo. Al riguardo va detto che già a partire dal XVII sec., per volere degli stessi Ruffo, vennero portati altrove, a incrementare le collezioni d’arte dei palazzi di Messina e Napoli, dove avevano spostato le loro residenze,  e, dopo il terremoto del 1783,  di quanto si salvò, poco rimase in loco, mentre il resto venne ulteriormente trafugato o disperso. Oggi, varcata la soglia d’ingresso al Castello Emmarita, ci veniamo subito a trovare in un piccolo cortile, con in fronte un sedile in muratura cui fanno ala due scalinate che portano ad un terrazzo: sulle pareti, di fronte e laterali, tutta una serie di simboli massoni: una vera e propria sala massone a cielo aperto!. Questo cortile si trova sopra gli antichi ambienti di pertinenza del castello[21], e, come accennato, oltre ai bassorilievi raffiguranti i simboli della massoneria (alla quale pure i Ruffo, per un certo tempo, si onorarono di appartenere), vi sono murati alcuni stemmi nobiliari dei Ruffo; sul pavimento giace una grossa vasca scolpita nel granito recante inciso il nome del committente e la data (a. 1662).

Detto questo, possiamo affermare che il cosiddetto Castello Emmarita, che oggi l’ignoranza tenta di far passare per Palazzo Ducale Ruffo risalente addirittura al XII sec, non ha nulla a che vedere con gli antichi palazzi ducali dei Ruffo; ma senz’altro nelle stanze inferiori, quelle a contatto con la nuda roccia della rupe, ha qualcosa da condividere con i vecchi ambienti del castello regio, ovvero quelli prossimi al ponte levatoio della città.

Per concludere desidero offrire la lettura di quanto riferitomi dal Dott. Salvatore De Salvo il 28-Dic.-2005. “Il diruto castello con adiacente suolo dei Ruffo di Bagnara in contrada Porto Salvo (di cui al n° 191 partita 856 del 04-09-1920), fu venduto dal 9° Duca di Bagnara, principe di Motta e duca di Baranello, fu Vincenzo, alla famiglia del principe di Stigliano Andrea Colonna il 04-06- 1831[22]. L’adiacente suolo (che si estendeva di fronte al suo antico ingresso), era stato in buona parte espropriato dallo Stato per il proseguo della costruzione della Strada Regia (attuale SS 18), che culmina nel 1825, con l’innalzamento dell’attuale Ponte Caravilla (dal nome dell’ingegnere che lo progettò), percorso dalla suddetta strada che poi passa per ben due volte sotto le sue arcate. Il castello ancora diruto e senza più corte fu venduto il 24-04-1835 dai Colonna ai soci Patamia- De Leo con altre proprietà anch’esse dei Ruffo. Il predio successivamente fu acquistato dall’ing. Rodolfo Zehender (più che restaurarlo fu ricostruito), poi dal comm. Guglielmo Mezzetti (che aveva quattro figli di cui una femmina Emmarita dalla quale il castello prese la nuova denominazione), ed infine dalla provincia di Reggio Calabria.”[23].

[1] Russo Francesco, Regesto Vaticano per la Calabria, Gesualdi ed., Roma 1974, p. 97 (N° 485), Bolla di papa Innocenzo III  “Olim ad instantiam W. Presbyteri” Laterano 19 Lug. 1199.

[2] Il sistema dell’abbazia fortificata, sia quello di Bagnara che quelle di S. Eufemia e di Mileto, stando alle piante che di esse ci sono rimaste, doveva essere alquanto semplice ed elementare, limitandosi per lo più al perimetro delle strutture murarie rinforzate dalle costruzioni ad esse addossate. Rinveniamo schemi similari in alcune masserie fortificate della Puglia e della Sicilia.

[3] Dalla fondazione della chiesa normanna, e fino alla morte dell’imperatore Federico II, il regno godette di una relativa pace e stabilità economica, e non vi erano particolari ragioni perché un florido monastero provvedesse più di tanto alle opere di difesa, che però si rendevano estremamente necessarie anche per lo stesso prestigio del feudatario. La Bagnara che vide Riccardo Cuor di Leone al tempo della III crociata (aprile 1190), allorché alloggiò sua sorella la regina Isabella, nei locali del monastero normanno, era una cittadina pressoché indifesa.

[4]Cfr. Codice Carratelli. Sabato 18 maggio 2013 presso il XXVI Salone Internazionale del libro di Torino, in quel del Padiglione dedicato alla Calabria, viene presentato per la prima volta al grande pubblico, il cosiddetto Codice Carratelli, dal nome del signor Romano Carratelli, che per ultimo ebbe la fortuna di acquistarlo, e offrirlo alla fruizione degli studiosi. In esso il disegno della città di Bagnara, fra le tante, illustra assai bene la cinta muraria, il suo bastione meridionale, e alcune parti <<extra moenia>> della città.

[5] Francesco Peccheneda, Difesa de’ diritti del Re N.S. sulla Regal Chiesa di Bagnara, Napoli 1757, p. XXVIII..

[6] Acta Siculo Aragonensia, Corrispondenza tra Federico III di Sicilia e Giacomo II D’Aragona, a cura di F. Giunta e A. Giuffrida, Società Siciliana per la storia patria, Palermo 1972, vol. II, p. 166. Ecco la parte che ci riguarda:” et castro Regii, castro sanctiNiceti, castro Calanne et castro Mocte Muri loco mese et ultra mese loco Cathone, fortiliciis Sylle et Balnevere (sic!)””. Come sappiamo Santo Niceto, Calanna e Fiumara di Muro erano muniti tutti di possenti castelli, prossimi ma ben distinti dai loro centri urbani, e tutti arroccati sulla sommità di un monte o di un poggio; e anche Reggio aveva il suo castello, ben munito e difeso, anche se, in questo caso, ricadeva entro il perimetro delle mura cittadine. Bagnara e Scilla e non a caso, vengono in questo ed in diversi altri documenti, accomunate, in quanto entrambe sorgono su di una rupe le cui difese vengono ritenute similari. Il fatto che per entrambe si adoperi il termine fortezza, significa che anch’esseerano in possesso di ottimi apparati difensivi anche se ritenuti meno muniti di quelli precedentemente citati col termine di castrum.

[7] Rammentiamo che il termine castellum è un riduttivo, diminutivo di castrum, riunendo e compensando in se tutte le finalità e caratteristiche militari di quello.

[8] Scrive il Peccheneda (Difesa, cit., p. XXVIII.): “…la Chiesa di S. Maria e XII Apostoli, sta situata in una fortezza, o sia castellania assai forte, e ben munita e di alte mura circondata, ove non penetrasi se non per ponte levatojo, come anche al presente si vede.”. Da questa testimonianza abbiamo la quasi certezza che detto ponte finì d’esistere a seguito del terremoto del 1783.

[9] Vedi il disegno del Codice Carratelli.

[10]Peccheneda F., Dimostrazione, cit., p. XVIII.

[11]Caridi G., La spada, la seta, cit., p. 41

[12]Riteniamo che la costruzione del palazzo fosse stato coeva al completamento e rifinimento della cortina muraria: vedi il disegno del Codice Carratelli. Il palazzo aveva il tetto a spioventi, esi elevava di due piani a ridosso delle mura lungo le quali protendeva la sua balconata. Ogni piano ci mostra una serie di quattro finestre, e mancano i balconi, che forse esistevano solamente dal lato opposto, quello rivolto alla città.In basso doveva possederealmeno un piano nascosto dalla cortina muraria, accessibile dall’interno della città, e in questo piano dovevano esserci gli alloggi per la servitù e la masnada, ed i variambienti di servizio. Dal disegno risulta che il palazzo è il più grande fabbricato di tutta la città, anzi la sovrastae senz’altro era in diretta comunicazione con il castello che gli stava a lato.Estendendosi quasi dall’una all’altra porta della città, le controllava entrambe assieme alla piazza antistante le mura. Come sappiamo, la città aveva due porte d’ingresso: una era una semplice posterla ad uso civile, ed era quella a sud presso il bastione; l’altra, ad uso militare, più grande e monumentale, era munita di ponte levatoio.Riteniamo che venne edificato contemporaneamente alla cortina muraria o subito appresso ad essa.

[13]Puntillo e Barilà (Tito Puntillo- Enzo Barilà, Il caso Bagnara (1085-1783) ed. Periferia, Cs 1993, p. 71, ce ne offrono in sintesi gli anni: 1599, 1619, 1624, 1638, 1659, 1693.  Possiamo aggiungere quanto ci riferisce Pietro De Leo su Seminara: 1648 anno di un terribile terremoto; 1672: devastante sisma “ che provocò 910 morti, segnò una pesante flessione, <<con la conseguenza di  un ulteriore e prolungato calo demografico, di cui si può cogliere la gravità attraverso la numerazione del 1732, che fece riscontrare a Seminara quasi la metà degli abitanti  di un sessantennio prima, in controtendenza con l’andamento generale della Calabria e del Mezzogiorno in netta ripresa>>.”Cfr. Pietro De Leo (a cura di -), Il catasto  onciario di Seminara, Rubbettino ed., Soveria Mannelli 2011, pp. XXI, XXII.E difficile oggi entrare in merito ai danni arrecati da ogni singolo terremoto. Di certo quello del 1693 fu tra i più violenti mai registrati in Italia.

[14] Probabilmente alla sua distruzione concorsero entrambi, soprattutto quello del 1693.

[15] T. Puntillo – E Barilà, Il caso Bagnara,cit., p. 110- Così in dettaglio i citati autori, e non avendo rinvenuto  documenti in merito, mi rimetto, con il beneficio d’inventario, a quanto da loro riferito.

[16] Fabrizio Ruffo (n. Bagnara 03 Nov.1619 / NA 1692), Signore di Maida, Priore di Bagnara, Gran Priore di Capua, balì e Gran Croce dell’Ordine di Malta, Capitano Generale delle Galere dell’Ordine.Fondatore del Monte dei Ruffo, costruisce il palazzo in Piazza Dante noto come Palazzo Ruffo di Port’Alba. Alla sua morte lascia lo Stato di Maida e Lacconia al nipote Francesco Ruffo Buoncompagno, IV Duca di Bagnara, figlio di suo fratello Carlo III Duca di Bagnara.

[17] Che il nuovo palazzo fosse stato costruito a fianco della chiesa abbaziale anche con lo scopo di “sorreggerla” viene chiaramente ribadito nel 1762 nella relazione dei “maestri fabbricatori” Innocenzo Veneziano e Francesco Squillaci, e dimostrato con il disegno allegato alla medesima. Tale disegno (pubblicato su Calabria Sconosciuta del Luglio- Dicembre 2016, n° 151-152), è documento unico e basilare per la presente ricerca, e sta alla pari con quello del Codice Carratelli che lo precede di un secolo e mezzo. La lettura e la comparazione di entrambi stanno alla base delle nostre ricerche e delle nostre ipotesi.

[18] La voce “castello diruto”, per altro assai comune a quei tempi, la leggiamo anche in una carta ufficiale, in data 16 Giu. 1811, stipulata dal sindaco R. Messina e dai decurioni in rappresentanza del comune di Bagnara. In ASRC, Demani, Inv. 33, B. 1, fasc. 34. Nel catasto di Bagnara del 1820, con l’adiacente suolo di sua pertinenza, veniva riportato alla Partita 856, Sez. A, n° 191, donde lo si nomina come “castello diruto e sue adiacenze”

[19] Strumento di cessione del 14 Mag. 1821per gli atti del notaio Aniello De Curtis: Francesco Ruffo cede la maggior parte dei suoi beni in Calabria Ultra ai Colonna –Ruffo -Stigliano (Copia conforme nell’archivio privato di chi scrive). Con atti del notaio Antonio Maria Martucci, dati in Napoli tra il 24 aprile e 19 giugno 1835, i Colonna – Ruffo – Stigliano venderanno alla società Patamia_ De Leo la totalità dei beni Ruffo in loro possesso, compresi i beni sulla rupe e i ruderi del castello.

[20]Nel 1949 vi fu ospite entusiasta la scrittrice polacca Kazimiera Alberti.

[21]Possiamo avanzare l’ipotesi che questi ambienti facessero parte delle cisterne, o del corpo di guardia, entrambi ubicati presso il ponte levatoio della città, ovvero nel sito dove nel 1920 venne costruito il cosiddetto Castello Emmarita; mentre le prigioni dagli ambienti più ristretti e inospitali, dovevano sorgere poco discoste: tutto questo può essere chiarito soltanto da serie indagini archeologiche.

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[22] Non possiedo ulteriori ragguagli su tale vendita.

[23] Cfr.: Copia di nota manoscritta fornitami dal dott. Salvatore De Salvo il 28-Dic.-2005.

Post Author: Gianni Saffioti