Biografia del can. Giovanni Minasi a cura di Vito G. Galati (estratto)

Biografia del can. Giovanni Minasi a cura di Vito G. Galati (estratto)

Lo studioso cattolico Vito Giuseppe Galati, in questo articolo ci dà un dipinto della figura del canonico scillese Giovanni Minasi, ad oggi l’unico studioso concreto e realista che ha segnato la via dello studio e della ricerca storica attraverso i documenti e non alle fantasie. In riferimento alla storia e alla nascita di Bagnara ricordiamo l’attacco al libro del Cardone, di cui altri hanno usato e abusato pubblicandone anche i grossissimi errori storici, il Minasi esordisce in maniera “feroce” così nel suo libro L’abazia normanna in Bagnara Calabra, notizie storico critiche pubblicato nel 1905, (Clicca su questa riga per leggere il libro del Minasi) proprio contro il Cardone e il canonico Macrì che lo ha seguito nel suo ragionamento.

“ Un nostro famoso poeta del passato secolo credeva impossibile l’addirizzar le gambe ai cani. Ed anche in questo nostro secolo con tutti i novelli ritrovati della scienza dubitiamo che se ne possa tentare la prova. Però la impossibilità, che s’incontra in questa operazione, svanisce in quelle che s’imprendono per addrizzar tutte le opere storiche, non escluse le scientifiche e le letterarie, riboccanti di errori, disordinate nei concetti e nella forma, fondate sopra basi tutt’altro che solide, ma sol campate in aria, o alla men trista, sostenute da congetture impossibili. Ed è appunto con questo lavoro che cercheremo di addrizzar un opera storica, sino ad ora ritenuta esatta, e come tale accolta da qualche scrittore inesperto per difetto di critica.

     Quest’opera è appunto quella delle Notizie Storiche di Bagnara Calabra raccolte ed illustrate da Rosario Cardone e pubblicate nel 1873; lavoro per altro pregevole per dovizia di notizie, benché ivi riunite alla rinfusa e senza alcun critica. “

In queste pagine possiamo apprezzare il magnifico sunto che l’autore della biografia fa del suo libro.

IL CAN. GIOVANNI MINASI STORICO DELL’EPOCA BIZANTINA IN CALABRIA

Giovanni Minasi, nato a Scilla il 19 dicembre 1835 e a Scilla morto l’8 febbraio 1911, appartenne alla Diocesi di Reggio Calabria, fu canonico di quella Chiesa Metropolitana e con questo titolo viene solitamente qualificato. La sua cultura classica, il suo amore per la illustrazione dell’epoca bizantina in Calabria, 10 pongono in posizione eminente in quella piccola e nobile schiera di studiosi, spesso venuti dagli ambienti ecclesiastici (quali il De Lorenzo, Domenico Taccone Galiucci, ecc.), che onorarono la Calabria nel secolo scorso e nei primi lustri dell’attuale. 11 sincero affetto alla gente calabra lo indusse quasi sempre ad associare al suo lavoro di studioso un sentimento di rivendicazione delle virtù caratteristiche della sua regione. Ed è, a questo riguardo, particolarmente significativo che egli abbia indirizzato « Ai calabresi » — come si legge nella prefazione — la sua opera maggiore, osservando, non senza simpatico orgoglio, che non aveva stentato a riconoscere «per calabrese» S. Nilo dalla fisionomia, del quale così tratteggia il carattere: « Svegliato d’ingegno come di sguardo, vivace, d’indole generosa, magnanimo nell’operare, primo nelle più arrischiate imprese, ultimo ad uscirne, costante ne’ suoi proponimenti e pertinace nell’eseguirli, non vi è opera si difficile che non imprenda né meta sì ardua a cui non aspiri ». Questo medesimo sentimento di nobile «calabresismo» animò il Minasi in tutta l’opera sua; ma, a differenza di altri scrittori di facili conclusioni celebrative, lungi dal sospingerlo ad apologie senza fondo, lo tenne desto, sorvegliato, accurato, nell’onesto e nobile intento di ricercare la verità storica, respingendo qualsiasi adulterazione della realtà come riprovevole e immorale. Storico severo, dunque, fu il Minasi, con adeguata preparazione filologica e con intuito penetrante, che lo sospingeva a ipotesi, anche se ardite, sempre ragionate, le quali, spesso ebbero convalida dalle ulteriori ricerche; e, perciò, pronto a censurare le amplificazioni di quegli scrittori locali, che fondandosi su apparenze, attribuivano a luoghi di Calabria origini antiche, male adoperando i riferimenti storico-letterari e geografici degli scrittori classici. Si trovò, così, più volte in polemica con storiografi caduti in errore o che, sia pure in buona fede, sforzavano per male inteso affetto del luogo nativo le notizie pervenute dal passato. E su questo piano si pone il suo lavoro La pretesa fondazione delle città antiche sul litorale del Mediterraneo prima del XV sec. Dell’era volgare (1908). In realtà, operava nel Minasi una profonda coscienza critica, che è la dote indispensabile dello storico autentico. A questo riguardo è esemplare l’opera sua del 1905 L ’Abbazia Normanna in Bagnara Calabra alla fine dell’undecimo secolo, in cui in contrasto con le congetture del Cardone, che faceva risalire ai romani le origini, sostiene che il sorgere di Bagnara non va al di là dell’epoca normanna: il Diploma del 1085 del Conte Ruggiero manifesta chiaramente che la località di Bagnara non era ancora abitata. Ed è opportuno, come esempio del metodo del Minasi riassumerne i tratti principali. In quel tempo venne costruito un castello, cioè la città fortificata sull’altipiano, dove fu eretta anche l’Abbazia. Il priore ne fu il castellano, con giurisdizione ordinaria. Il feudo ecclesiastico di Bagnara venne poi compreso nel Diploma di Carlo I d’Angiò, che elenca i feudi ecclesiastici della Calabria Inferiore. Il Minasi prosegue rilevando le ricche possessioni donate dai Normanni all’Abbazia e gli obblighi di cui erano gravate. Un diploma di Celestino III comprova l’esistenza dei possedimenti della stessa Abbazia; quello di Innocenzo III attesta di ricche tenute in Sicilia, diploma adeguatamente illustrato dallo storico. Dall’indagine risulta che i primi concessionari dell’Abbazia furono religiosi normanni e che una piccola colonia normanna si stabilì a Bagnara. Segue, quindi, la storia dell’Abbazia sotto il dominio svevo. Il priore Filippo si schiera a favore di Federico II contro Innocenzo IV, viene però rimosso dalla carica, che Alessandro IV conferisce a Michele, abate del monastero di Anagni. Sono, quindi, tracciati gli avvenimenti sotto gli angioini da quando Martino IV nel 1282, concede a Carlo I d’Angiò l’occupazione dei castelli di pertinenza ecclesiastica, compreso quello di Bagnara. Dopo le vicende fra angioini e aragonesi i castelli di Calabria sono restituiti dagli Aragonesi al Papa. I priori di Bagnara cessano, però, dalla carica di castellani ma i monaci restano nel castello. (Documenti del 1324 e 1327) e l’abate basiliano di Scilla cessa dall’ufficio di castellano ed è costretto a lasciare anche la fortezza insieme ai monaci. Aboliti i capitanei castellani in tutti i paesi e castelli della Calabria eccettuati quelli di S. Agata e Bagnara, i rispettivi feudi vennero assorbiti dal demanio dello Stato. Ma, da allora, comincia l’usurpazione del patrimonio dell’abazia: Giovanna II vende per 12.000 ducati a Carlo Ruffo il feudo di Bagnara, feudo che sotto Alfonso I d’Aragona torna per breve tempo all’Abbazia, poi, ridonato da Ferdinando I a Carlo Ruffo passa definitivamente a suo nipote Guglielmo. Alle usurpazioni dei beni dell’abbazia in Calabria seguono quelle della giurisdizione ecclesiastica sulle chiese in Sicilia, usurpazioni provate da un documento contemporaneo. Naturalmente le entrate economiche dell’abbazia diminuiscono; sorgono inoltre contestazioni fra S. Sede e regno di Napoli per l’elezione del priore. Sisto IV concede l’abbazia ai canonici lateranensi, i quali cedono i loro diritti sul feudo ai Ruffo, conservando però la giurisdizione ordinaria ecclesiastica, e delegandola a un sacerdote del clero secolare di Bagnara. Da questa situazione derivano abusi e inconvenienti. Nel 1582 Gregorio XIII affida il governo dell’abbazia ai Domenicani, costituiti vicari con giurisdizione delegata. Il clero di Bagnara reagisce allorché Benedetto XIII conferisce al priore la giurisdizione ordinaria. Ma dopo 40 anni di scisma quel clero si riconcilia con la Chiesa. L ’ordinamento religioso preposto al governo dell’abbazia era quello dei canonici regolari lateranensi. Esaminata la controversia sulla erezione di una collegiata a Bagnara, dal Minasi contestata, perché ritenuta solo presunta, si giunge al Diploma di G. Murat del 1806, con cui sono concesse le insegne canonicali, non approvate da Pio V II, ma indossate ugualmente dal clero di Bagnara. Dal breve riassunto dell’iter storico seguito è evidente la cura scrupolosa del Minasi, al di sopra di ogni considerazione affettiva o di parte. Il medesimo criterio oggettivo lo guida anche in uno dei suoi primi lavori intitolato Notizie storiche della città di Scilla (1881), dove l’amor patrio avrebbe potuto prendergli la mano, e in quello sulle Chiese di Calabria.

Interessante la bibliografia.

E’ disponibile a richiesta il testo completo dello studio.

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Post Author: Gianni Saffioti