Dieci giugno, sotto un pino tra Bagnara e Scilla alle 6 di sera, lettera del 1862 del Marchese Astolphe De Custine

Dieci giugno, sotto un pino tra Bagnara e Scilla alle 6 di sera, lettera del 1862 del Marchese Astolphe De Custine

Estratta da un libro di memorie di viaggi del Marchese Astolphe De Custine, questa lettera che riguarda i suoi ricordi e le sue sensazioni su Bagnara.

Alleghiamo a questo articolo lo scritto originale, che riguardano il nostro paese, della prima edizione del libro che conta più di 400 pagine, e la nostra traduzione. Esiste una pubblicazione di Rubettino dove sono raccolte solo le lettere che riguardano la Calabria già tradotte in itliano. Libro molto interessante di cui alleghiamo la recenzione che si trova sul web e la copertina del libro.

Marchese Astolphe De Custine lettere dalla Calabria

La Calabria del 1812 è una terra sospesa tra crudeltà e miseria, ira incanto e paura, dove gli uomini rifiutano le “illusorie consolazioni del progresso”, felici di riconoscere e di vivere solo la natura. De Custine traccia nelle sue lettere un affresco della regione, filtrato dalla sua formazione romantica, e dipinge il “vero”. E il vero, nella Calabria di quel tempo, erano le incredibili difficoltà del viaggio, la mancanza dei muli, l’assenza di strade carrozzabili. Una terra che vomitava “sulla sua superficie una legione di demoni”, esposta ad ogni sopruso e ad ogni dominazione, dove l’uomo viveva nell’anarchia, senza nessun rispetto per le più elementari regole della convivenza civile, con la sua selvatichezza rimasta immutata nei secoli, e che tuttavia assume per de Custine un’aura magica e languidamente malinconica, suggestionata forse dal suo disagio esistenziale, quel male di vivere che lo aveva segnato fin dall’infanzia “…L’aspetto di tutta la zona è selvaggio e triste. In queste campagne ricche di storia si vede un genere di desolazione e di sterilità che non appartiene ad esse. Contemplando l’opera del tempo si può notare anche quella dell’uomo. Col tempo la terra è diventata sterile sotto i passi dei soldati ed è inutile che il contadino pianti le sementi in solchi saturi di sangue”.

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Traduzione in italiano e pagine originali

10 giugno, sotto un pino tra Bagnara e Scilla alle 6 di sera

 

Mi sento diventare matto, non dormo più, non mangio più, non penso più, contemplo in estasi! Il minimo che mi può succedere è di diventare scemo. Il sig. Catel è come me; questi paesi gli fanno girare la testa, si ferma ad ogni passo, vorrebbe disegnare tutto, portarsi via tutto, bisognerebbe dormire, abitare, vivere all’aria aperta. Solo il sig. M. resta freddo e ci prende in giro. Dice che ripetiamo sempre le stesse cose, la ragione del nostro rimprovero è una debolezza a parlare quando si ammira cosi bel spettacolo. Credo non ci sia al mondo un paese più bello di questa parte della Calabria. Quando si vede Bagnara dall’alto della montagna che la separa da Palmi, che s’inoltra in mezzo al mare, la situazione di questo paese e le rocce che lo contornano sembrano davvero straordinarie, che adesso che non li vedo più, mi è impossibile rappresentarli. Non posso fidarmi delle mie memorie, diffido dei miei ricordi e della mia immaginazione. I dintorni di Bagnara sono differenti da quelli di Palmi. Palmi è un giardino, Bagnara è la Svizzera con la luce, il mare e la vegetazione dell’Italia. Le cime dei monti sono coronate da castagneti, i pendii sono coperti da castagneti che crescono a terrazzamento, profumati da erbe aromatiche, e decorate da liane pittoresche. Sono dette cascate di fiori. Questi arditi anfiteatri si elevano ad altezze spaventose, niente è più sorprendente del contrasto del lavoro dell’uomo con l’irregolarità di una natura sempre selvaggia, ma addolcita da un’armonia che ho trovato solo nei paesaggi italiani! Le forme e la luce di questi paesi pomposi sono quasi troppo belli per essere veri però non sono dei quadri, sono campagne reali, delle invenzioni della natura. Sembra che questa non voglia lasciare che l’uomo abbellisca la terra senza coinvolgere il lavoro, però si affretta a mascherare le sue opere d’arte di lusso selvaggio e primitivo. Delle famiglie di piante indipendenti crescono sotto le viti e si arrampicano sulla terra che si contende con la coltura. Gli alberi di bagolaro elevano i loro rai tortuosi sopra a delle piante di aranci rigogliosi, mentre dei stupendi gelsomini selvaggi crescono nei crepacci di muri traballanti e scendono come dei festoni naturali lungo le rampe e le terrazze che sono gli ornamenti obbligati di tutte le città del mezzogiorno italiano. Qui sembra che la natura, indispettita dall’invasione dell’uomo, si prenda gioco della civilizzazione non preoccupandosi degli ostacoli invincibili, come nella Alpi ma abbellendola come una pittura. Tutto quello che dico è flebile, incompleto, monotono, bisognerebbe vedere il trionfo della luce del sud sul mare e le sfumature della luce che cambiano ad ogni istante, come una lama di metallo sotto il sole; bisognerebbe sentire il mormorio del vento negli alberi; bisognerebbe essere vicino a me……. All’ombra di dove sono seduto in questo momento, trovo l’aria di una freschezza deliziosa; i rami di un pino marino mi proteggono dalla forza del sole, e al di là di un crepaccio, i miei occhi si posano su un castagneto, le cui pendenza è cosi ripida che sembra cadere in mare. Non vedo la base della montagna, essa scende a precipizio e mi nasconde la vista della riva e delle onde. Quando comincio a vedere l’acqua, mi sembra di vedere il cielo, è un’illusione che ho avuto spesso in questo paese!!

Distinguo chiaramente l’entrata dello stretto di Messina; vedendo la sinuosità di questo canale si potrebbe pensare all’imbocco di un fiume; più lontano, il faro si eleva su una punta della Sicilia, più lontano ancora, l’occhio si perde su una lunga parte della costa di quest’isola, e sulla riva calabra si vede brillare la città di Scilla, il suo castello, i suoi scogli favolosi, infine i vascelli inglesi, le barche catanesi e si Siracusa e delle isole eolie, delle quali si potrebbero disegnare le rocce per completare il quadro.

La descrizione di questi luoghi può accontentare chi non li vede, perché i nomi famosi fanno effetto ma non soddisfano chi li vede!!… Se fossi rimasto tranquillamente a Napoli e qualcuno mi avesse mandato qualche lettera come questa, forse non la leggerei. Ma volete che io scriva!  Lasciatemi quindi dire tutto quello che vedo! Voi amate Napoli, vi incanta però quello che vedo da tre giorni è superiore! Vorrei ce dall’alto di una catena rocciosa formidabile e oltre un castagneto, voi possiate vedere una volta questo mare azzurro che scintilla davanti a noi, sembra che in posti cosi le leggi dell’universo siano rovesciate.

Si vede il cielo sotto i piedi, ci si domanda dove si è, dove si va, si plana, si regna, ci si perde in un mondo aereo, e l’immaginazione si riposa perché gli occhi la sorpassano!!…..

Non voglio ricominciare la descrizione, preferisco raccontarvi di un incontro che abbiamo fatto in riva al mare. Stavamo cavalcando, in silenzio   a testa bassa rintanati sotto i nostri cappelli e i nostri fazzoletti che usavamo come tendine perché il reverbero del sole è terribile sulla spiaggia. La nostra carovana si ferma al suono di uno strumento. Non era ne una chitarra ne un mandolino che spesso sentivamo in questi posti. Mi sembrava uno strumento più raro, un’arpa ma non osavo dirlo per paura delle prese in giro del sig. M. M***! Facciamo qualche passo e all’ombra di uno scoglio sul mare troviamo un gruppo di musicisti ambulanti. Erano in quattro e due di loro effettivamente avevano delle arpe. Gli domandai da dove venissero e risposero che erano di Potenza in Basilicata, che erano partiti da Reggio e stavano andando a Napoli. Abbiamo chiesto loro dei brani del loro paese, delle tarantelle, delle canzonette e molta altra musica. Due violini accompagnavano le arpe, dalle quali i suoi puri e brillanti venivano portati lontani sui flutti. Mi è dispiaciuta la fine del concerto, avrei voluto ascoltare i quattro suonatori fino a notte. I loro canti non somigliavano alle grida calabresi, erano dolci, vari e in accordo con l’armonia del paesaggio con in primo piano i viaggiatori in sosta. Si vedeva in lontananza una fregata inglese, e più vicino a noi, qualche barca uscita da Scilla per pescare il pesce spada o pesce imperiale, specie di mostri famose in tutto il mediterraneo. Queste barche tracciano lentamente sull’acqua delle scie, che la calma dell’aria rende simili a delle linee scolpite nel marmo.  Si dice che i pescatori dio questo posto parlano il greco. Tutto è ricordo in questi luoghi. Nessun paese rappresenta così bene la sua fisionomia.

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Post Author: Gianni Saffioti