Il cordoglio di Vincenzo Morello in occasione del terremoto del 1908

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In realta, secondo le nostre ricerche, l’articolo fu pubblicato il 30 dicembre, il 29 invece venne pubblicato un’altro articolo che parlava di Bagnara con l’interrogativo se fosse stata distrutta.

A seguire gli articoli originali dei due numeri di cui sopra partendo dalla prima pagina del 30 e poi a seguire l’articolo di Morello e l’altro articolo su Bagnara.

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La lista di sottoscrizione del giornale pro terremoto per la

delusione di quanti coloro che: il bene si fa ma non si dice,

dove al settimo rigo si nota la cifra devoluta da Rastignac.

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Il cordoglio di Vincenzo Morello in occasione del terremoto del 1908

Vincenzo Morello, Il grido angoscioso di Rastignac, «Giornale d’Italia», 29 dicembre 1908.

Nel segnalare il libro pubblicato da Laterza qualche anno fa sul terremoto del 1908 dal titolo “Una catastrofe patriottica” a cura di Jhon Dickie, sotto l’articolo scritto il giorno dopo da nostro Vincenzo Morello  che l’autore ha giustamente inserito nel suo lavoro.

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In seguito, a Bagnara Calabra, di fronte all’apparente indifferenza dei superstiti all’enormità della tragedia, Giovanni Cena è indotto a riflettere che quello era un sintomo di una psicologia collettiva da tempo radicata più che di una reazione immediata alla catastrofe:

Non è facile penetrare nella psicologia di questo popolo. Non soltanto in Calabria v’hanno contadini dotati di poca sensibilità affettiva, i quali per la morte d’un congiunto poco più s’affliggono che per quella di un animale domestico. Mi viene in mente l’aneddoto

raccontatomi a Palmi giorni fa. Un uomo chiama i suoi soldati dicendo che ha sentito gemere sotto le macerie la sua vecchia madre: trovata, è morta e fredda da tempo. Ma il contadino vorrebbe

che i soldati non smettessero di scavare: «Ancora due colpi e salverete il mio somaro». Era questo che aveva sentito gemere! Ma qui l’indifferenza per la morte è straordinaria. Perché la morte è come di famiglia. […] Ci vorrà molto tempo innanzi che questo popolo acquisti l’attaccamento alla vita che rende previdenti contro le sventure e solidali nel ripararle.

In questo senso, una delle «meridionalizzazioni» più commoventi e al tempo stesso inquietanti della tragedia fu la lamentazione dell’ex direttore dell’«Ora» Rastignac (Vincenzo Morello), pubblicata sul «Giornale d’Italia». Morello era di Bagnara Calabra, una delle città più gravemente colpite dal sisma. Nel momento in cui scriveva non sapeva se la sua famiglia fosse ancora in vita (alla fine tutti i componenti si salvarono).

“Le scrivo perché ormai non resta altro conforto, a noi della terra maledetta, che comunicare col pubblico, gridare alto in mezzo al pubblico il dolore nostro e delle nostre genti, far passare con le parole nel pubblico il fremito dell’angoscia che nel nostro cuore, fatto delle stesse fibre di quelli oggi infranti sotto le macerie, è più violento e spasmodico che negli altri cuori umani. Il flagello questa volta è definitivo. Che fare? Noi dobbiamo prima di tutto chiedere scusa all’Italia ed agli italiani di turbarli nella pace e nella prosperità del loro lavoro, colle nostre ripetute sventure, ma non è nostra colpa se il colosso ha il piede d’argilla e quest’argilla è spazzata via dal vento con le nostre miserie e il nostro sangue. E poi? Poi bisogna che l’altra metà dell’Italia felice si rivolga con la sua pietà, con la sua bontà, con la sua tenerezza, con le sue ricchezze alla metà disgraziata ed oppressa; che mobilizzi, come il Governo le navi ed i soldati, tutte le forze materiali e morali per correre in pronto soccorso e salvare quello che si può di vite umane, se non più di sostanze e di speranze per l’avvenire. L’avvenire è chiuso per sempre. Non resta che sgombrare ormai da quelle terre, sparpagliarsi per le vie d’Italia che portino una qualche zolla pietosa e sicura, espatriare nelle lontane Americhe, andare a tessere, di là del mare e dei monti che fecero la nostra storia e la nostra anima, l’ultima tela del lenzuolo che avvolga i nostri ricordi nella morte. Ma prima che lo sgombero avvenga, prima che la carovana si formi, la vecchia madre, l’Italia, i dolci fratelli italiani, sollevino da terra i caduti, se li stringano al petto, facciano loro sentire la solidarietà della famiglia nel dolore e poi, li abbandonino pure al loro destino.                                            Io vi prego, o colleghi, e prego tutti i colleghi d’Italia, di accogliere la mia voce nel gran cuore della pietà nazionale.”

Il cordoglio di Morello assume una forma geografica. Le sue parole rappresentano forse la più straziante formulazione di quello stesso scenario patriottico di fondo che caratterizza tantissime reazioni alla catastrofe: oltre ad assumere la tragedia come rappresentativa del Sud nel suo complesso, Morello costruisce il Sud stesso come oggetto tragico dell’attenzione nazionale. Spingendosi ancora più in là, la lamentazione di Morello trasforma il Sud in uno spettacolo utile a evocare, per quella che lui chiama «l’Italia felice», lo scenario possibile della perdita, della morte dell’identità nazionale. Un’Italia immaginata di felicità, ricchezza e pietà è contrapposta, con la forza emotiva che ne consegue, a un’altra Italia che barcolla sull’orlo dell’oblio patriottico.

Post Author: Gianni Saffioti