Nafta e Palamatare (barche), storie e ricordi di piccoli contrabbandi. 19 febbraio 2017

Accadeva a Bagnara negli anni 70

Si ringrazia per la collaborazione Tommaso Fazzari e Antonio Iannì

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Dal dopoguerra in poi, in maniera lenta e tardiva rispetto al resto dell’Europa e del nord dell’Italia, il cambiamento di usi e costumi che altrove impose ritmo e velocità alla società mentre da noi creò solo disoccupazione e povertà, cambiò anche al sud i modi di vivere. Il sistema della pesca ebbe una lenta e trascurata trasformazione che è ancora in atto favorendo solo il debito pubblico e certamente non lo sviluppo economico; questo è quello che vuole la politica che per una manciata di voti favorisce un sistema perverso di clientelismo e non la realtà produttiva. Ma non è di questo pesante fardello che il paese si porta addosso che volevo scrivere ma di una usanza legata al sottosviluppo cittadino che aveva preso piede sotto forma di vero commercio clandestino all’estremo sud del paese in località Muntarozzu e che durò fino a tutti gli anni settanta e poi mori per forza di cose. Almeno in quella zona l’attività clandestina di cui accennerò da decenni non esiste più, in altri posti del paese invece non so se esiste ancora adesso ma credo di no.

Lo spunto mi viene dato dai particolari di alcune foto datate dove si vedono le palamatare in disuso ed affianco i bidoni della nafta che servivano per il rifornimento.

Considerato che almeno una decina di grandi palamatare erano stanziali in quel posto e che da tempo non andavano a mare per mancanza di equipaggi, il legno delle barche senza alcuna manodopera lentamente si marciva, e considerando che i padroni delle barche non le demolivano e quindi risultavano operanti, esse avevano diritto a usufruire della quantità di nafta per la navigazione spettante per la stagione intera, anche perché i motori erano funzionanti e tenuti bene giusto quel minimo per farli partire qualche minuto al giorno nel periodo primaverile, dando vita ogni tardo pomeriggio da aprile a luglio ad un concerto di motori a 4 tempi che irrompeva in tutto il rione Valletta e fino alle prime case del rione Inglese viste le quasi nulle barriere in cemento armato delle costruzioni abusive che poi lentamente hanno invaso quella zona.  Si capiva da lontano quali motori si accendevano e quindi quale barca veniva messa in moto. Le barche erano motorizzate con dei Fiat oppure dei motori Arona o Faranad, questi ultimi caratteristici per i pistoni laterali che in gergo volgare venivano chiamati “chi mimmi i latu”. Caratteristico era pure il rituale di bagnare con l’acqua di mare le barche per rallentare l’invecchiamento del legno. Spesso i padroni delle barche, persone anziane ci chiamavano, mentre giocavamo li vicino, per aiutarli a trasportare i secchi pieni di acqua di mare fin alla barca che distava anche più di 100 metri dalla riva. Mai nessuno di noi si rifiutò di aiutali, ma erano altri tempi, altro rispetto e altra educazione.

Tornando al commercio clandestino della nafta, era chiaro che le barche cosi messe non avrebbero mai consumato tutto il carburante che gli spettava che i proprietari pagavano ad un prezzo molto agevolato. Niente di più logico era quello di compensare parte soldi della mancata attività con la vendita illegale della nafta spettante, cosa che avveniva tranquillamente alla luce del sole senza tanti sotterfugi in quanto si reputava più che normale in un paese sottosviluppato più o meno come lo è adesso arrangiarsi in qualsiasi modo per sopravvivere. Si versava tranquillamente la nafta dai fusti grandi nelle taniche in plastica e la si faceva pagare molto di meno di quella dei distributori ufficiali. Non a tutti però veniva concesso questo “privilegio”, nel senso che il carburante si vendeva solo a persone conosciute o presentate da gente fidata, che io ricordi non ci fu mai nessun tipo di problema tra venditori e compratori. Ma erano altri tempi e ci si aiutava in qualsiasi modo pur di sfamarsi mettendo in moto anche quel tipo di solidarietà del non vedo che era solo a fin di bene e mai di speculazione. Le cifre in gioco erano irrisorie, di poche centinaia di lire che valevano un chilo di pane e di pasta e non certamente milioni di euro come è invece di uso oggi in altre ben più sofisticati tipi di speculazione che purtroppo si esercitano sulla pesca ai danni dello stato e dell’INPS. Altri tempi, altra gente, altro stile di vita, di rispetto e di educazione verso il prossimo e verso un’attività mai voluta sviluppare sul serio per colpa della solita politica del clientelismo ai danni della società.

Gianni Saffioti

Post Author: Gianni Saffioti