Il terremoto del 1908 e la ricostruzione della città

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Il terremoto del 1908 e la ricostruzione della città

Alle ore cinque e venti del 28 dicembre 1908, lo stretto di Messina tremò ancora una volta. Quell’evento viene ricordato oggi come il più triste dopo quello del 1783.

Bagnara fu colpita nella sua fragilità di cittadina che da poco più di cento anni si era locata su un territorio pianeggiante dopo secoli di arroccamento alla rupe di Marturano.

  In meno di un minuto perirono 96 persone e 720 furono i feriti gravi. Le abitazioni furono quasi totalmente distrutte e 10000 disastrati su poco più di 11000 abitanti restarono senza casa. Il sindaco di allora, Andrea De Leo, anch’egli ferito ad un piede, con molta autorità organizzò i primi soccorsi e chiese al governo d’intervenire immediatamente. Lanciò inoltre appelli a città vicine e lontane per ricevere i primi aiuti.

     Crollarono tutte le chiese del centro e delle frazioni ad eccezione di quella del Carmelo e di S. Maria di Portosalvo. Il municipio, le poste, il telegrafo e la pretura furono rasi al suolo, tantissime abitazioni crollarono e tante altre furono gravemente lesionate.

Seppelliti i morti e curati i feriti in un ospedale da campo militare organizzato dal tenente Occhivinti, la chiesa bagnarese si premurò di collocare gli orfani in luoghi di assistenza sicuri.

     Il paese, dopo essersi piegato ancora una volta alla volontà di Madre Natura, lentamente cominciò a tornare alla normalità nonostante che i disagi, causati dalla precarietà della situazione, portarono ad uno sviluppo lento e confuso dell’edilizia grazie ad un piano regolatore mai realizzato.

  Vediamo oggi edifici costruiti con stili obbrobriosi, per niente eleganti, starsi vicini senza il ben che minimo criterio di accostamento. Da allora, si assiste allo sfruttamento del centimetro, infliggendo duri colpi all’ambiente ed alla vivibilità cittadina. Purtroppo abusivismo ed occupazione del suolo pubblico sono cose che oggi come ieri non fanno più notizia.

     Così, dopo il terremoto del 1908, la confusione edilizia persiste e la si nota in modo particolare nella costruzione a dismisura di case ed edifici che hanno invaso il centro cittadino e peggio ancora i luoghi periferici estremamente pericolosi come la cava di pietre abbandonata vicino alla torre aragonese.

     Ma procediamo con ordine. Grazie all’intervento di città italiane e straniere, dopo alcuni mesi, i cittadini poterono usufruire di numerose sistemazioni provvisorie e lasciare gli accampamenti nei quali avevano trascorso i lunghi mesi di quell’inverno. Sorsero così interi rioni baraccati, da sud a nord furono costruiti il rione Inglese, i rioni Pavia e Milano. Scendendo verso il mare si costruì il rione Calcoli che oggi fa parte integrante del rione Valletta. Una grossa baraccopoli fu proprio costruita in quest’ultimo rione lungo il corso V. Emanuele II.

      Per fare chiarezza, diciamo che il rione Calcoli si estendeva dal campo sportivo sino alla via Medina, ovvero all’altezza della parte sud delle scuole elementari. La casa dei Carati, che un tempo occupava il Corso in tutta la sua larghezza e che resistette al terremoto, era praticamente il confine tra i due rioni. Quando fu realizzato il prolungamento del Corso fino alle vecchie segherie e la casa Carati fu in parte demolita, si ebbe automaticamente l’unione tra i due rioni, tanto che oggi il rione Calcoli non viene più neanche ricordato. A qualche anno dal sisma, in questo rione vennero costruite le carceri cittadine, demolite pochi anni fa.

     Oltre ai già citati, altri baraccamenti furono costruiti al rione Arangiara, che a causa dell’espansione della cittadina verso il mare, si vide sottrarre il ruolo di centro cittadino. Ancora baracche furono costruite al rione Alario, dietro la chiesa Madre, alla Pietraliscia, al Canneto, a Marinella.  Nel rione baraccato costruito in via don Fatto Mauro, oggi via Giovanni XXIII, vennero sistemate le sedi scolastiche. Sulla Pietraliscia venne costruito un padiglione per le scuole serali, che divenne poi sede dell’unione popolare, poi ancora dell’azione cattolica ed infine campo da tennis oggi tristemente abbandonato.

     Anche nei quartieri alti sorsero le baraccopoli, a Porelli come a Ceramida, Pellegrina e Solano.

La chiesa Madre venne trasferita provvisoriamente in una baracca appositamente costruita in piazza Mercato, oggi piazza Morello. Il municipio, come la pretura e le poste, vennero trasferite vicino alla stazione ferroviaria vecchia. Per la loro nuova costruzione si pensò di abbandonare le loro vecchie sedi di via Gaezza e di locarle nel luogo dove attualmente si trovano, tra le discese del Canalello e della chiesa Madre sul corso V. Emanuele II, che per forza di cose divenne il nuovo centro del paese.

A quasi cento anni da quel terremoto, la struttura topografica del paese ha subìto notevoli trasformazioni, passando dalle baracche alle prime case popolari e poi ancora agli edifici antisismici a più piani.

Purtroppo una crescita esasperata ed incosciente, soprattutto nell’ultimo ventennio, ci pone davanti un problema di enormi dimensioni che nessuno ha voglia di  affrontare seriamente, e che solo le fotografie, man mano che il tempo passa, anno dopo anno, denunciano coraggiosamente. Rione per rione, angolo dopo angolo, il paragone con la realtà ambientale continuerà a darci torto fin quando continueremo a violentare sistematicamente il territorio e la nostra stessa vita.

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Post Author: Gianni Saffioti