Omaggio allo Sfalassà, i casotti nella memoria dei vecchi contadini

Omaggio allo Sfalassà, i casotti nella memoria dei vecchi contadini

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I numerosi escursionisti che si incamminano verso la cima di Cucuzzo, che ricordiamo non è un monte ma un’appendice formatasi dai grandi e violenti crolli durante il terremoto del 1783, arrivati nella località del Cusciuto si soffermano sulla prima casa che all’inizio degli anni settanta è stata trasformata in palmento ma raramente osservano quella più in alto. Queste due costruzioni sono legate, assieme ad altre, alla vecchia centrale idroelettrica che produceva energia qualche centinaia di metri più a valle sfruttando l’acqua dello Sfalassà. Diciamo subito che la costruzione in alto era chiamata casotto ed era il primo dei due costruiti dalla ditta che gestiva l’erogazione della corrente per consentire riparo e dare un’abitazione al guardiano che controllava e gestiva l’acqua per le esigenze della centrale che all’epoca regolava il suo flusso in base ai “giri della dinamo”, cosi raccontavano i vecchi contadini.

Il secondo casotto, più piccolo e a un solo piano, con il tetto protetto dal catrame, era locato a meno di 400 metri dal primo in direzione del ponte autostradale dove ancor oggi credo esiste uno strapiombo naturale che favorisce o meno, in base alla raccolta fatta, la velocità dell’acqua. In poche parole un terrapieno naturale per gestire il “troppo pieno” ed evitare danni alle vigne adiacenti che fino agli anni 50/60 erano felicemente coltivate.

Tornando alla casa in alto a sinistra nella foto in copertina, essa era una vera e propria abitazione per tutta la famiglia del “guardiano” al primo piano le camere da letto e al piano terra la cucina e le altre stanze.

Il lavoro del guardiano consisteva nel gestire il flusso dell’acqua in base alle esigenze dei tecnici della centrale. Egli controllava  il deflusso dell’acqua dalla “mastra” verso la centrale, aprendo e chiudendo i “rubinetti” facendo attenzione a saper deviare la massa d’acqua eccedente attraverso vie secondare costruite allo scopo. I tubi che si vedono nel fabbricato sotto il palmento, oramai decadente e pericoloso per la sicurezza delle persone, servivano a questo proposito. L’occhio vigile può notare che scaricavano in un punto preciso del torrente stesso.

Dicevamo  che anche l’edificio, quello che poi fu trasformato in palmento, era legato alla centrale elettrica. Dopo aver spiegato la parte più bassa della costruzione, diciamo che la parte alta era anch’essa un’abitazione dove dimoravano i tecnici della centrale. Quando lentamente tutto fu dismesso il sito fu trasformato in palmento vecchio stile, dove l’uva veniva ancora pigiata coi piedi, su pressione dei numerosi contadini della vallata. Radio ricordi dice che non fu molto usato per tante motivazioni che a spiegarle sarebbe lungo e complesso. Sicuramente lo spopolamento e la grande emigrazione verso il nord della penisola dalla fine degli anni sessanta in poi contribuì notevolmente. L’abbandono ha portato oltre all’incuria materiale e la deturpazione del luogo anche la mancanza di storia e di memoria che si ricostruisce solo attraverso i ricordi tramandati di vecchi contadini che a questa vallata hanno dedicato la loro vita, forse inutilmente, forse no, forse ma forse ma si. Senti che bel rumore: è l’acqua dello Sfalassà che si muove.

Le memorie tramandate di questo articolo sono del sig. Dominici che le raccontava al suo nipote adolescente Versace 45/50 anni fa.

Nelle foto in basso il secondo casotto visto dall’alto e la centrale elettrica negli anni 70 oramai in disuso. (Foto A. Carati)

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Post Author: Gianni Saffioti