Intervista alla signora Domenica Careri detta “ a Micheia”

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Intervista alla signora Domenica Careri detta “a Micheia”

2 settembre 2008

Di Gianni Saffioti e Rosario Molinaro

in fondo all’articolo il video

 

Nata nel 1932 già nel 1940 cominciò a viaggiare assieme alla mamma verso Messina dove imparò ed esercitò per molti anni uno dei mestieri più affascinanti della bagnarota: il contrabbando.

Infatti le “Bagnarote” portavano il sale dalla Sicilia nascondendolo in alcuni posti strategici della nave traghetto, dove difficilmente le ispezioni dei carabinieri e della Guardia di finanza riuscivano a trovarlo: uno dei posti più tranquilli erano i servizi pubblici. Invece, nel treno, per sicurezza, occupavano gli scompartimenti di seconda classe ad otto posti e, dopo aver alzato i cuscini smontavamo le lamiere e vi posavano la merce di contrabbando, come il sale o la pasta. Quello era il posto più sicuro. La quantità media di merce che contrabbandavamo era di circa quattro, cinque quintali per viaggio.

Quando sulla nave traghetto la guardia di finanza riusciva a trovare la merce nascosta dalle bagnatore, poteva capitare di tutto: alcune volte i finanzieri facevano finta di niente, altre volte facevano delle multe pesanti e sequestravano la merce, altre ancora si cercava di mediare in base a chi si presentava davanti e che tipo di atteggiamento assumeva, regalando loro qualcosa. Le bagnarote conoscevano tutti coloro che effettuavano i controlli (dal finanziere al carabiniere o al capo treno di turno) ma riuscivano anche ad adeguare il proprio comportamento rendendolo di volta in volta rispondente ai diversi caratteri dei controllori che incontravano. Molto probabilmente fu anche questa loro capacità di capire la “psicologia” altrui che li aiutò spesso a persuadere anche i più severi tra gli agenti. A Messina fuori dal porto spesso venivano inseguite da alcuni agenti speciali che chiamavano “notaria”ed allora,  si rifugiavano su degli scogli dietro un cavalcavia del porto fino a quando gli agenti non desistevano. Quando però si faceva tardi pur di tornare a casa per una certa ora lasciavano scivolare la pasta in mare passando poi pulite davanti agli agenti stessi. Combattevano sempre (cu l’asta e ca Cruci) e vincevano spesso.

Quello del contrabbando era un vero mestiere con il quale centinaia di bagnarote per decenni hanno contribuito all’economia familiare e in alcuni casi sfamavano i figli. Il viaggio di andata verso Messina le vedeva cariche di grano, granturco, fagioli, noccioline americane che precedentemente avevano preso a Rosarno e portato in treno fino a Bagnara, il quantitativo di queste merci non era inferiore agli otto quintali ed arrivava spesso fino a dieci.

La signora Careri ricorda un episodio avvenuto nel 1972 quando cominciarono a funzionare alcune navi nuove come l’”Iginia”sulle quali non era permesso salire a bordo attraverso il ponte auto-treni. Così per potere accedere alla nave dalla parte dei passeggeri dovevano poggiare a terra la roba e poi portare a mano la pesante ed ingombrante cesta con la merce, essendo al corrente   dei rischi che correvano una volta arrivate quando dovevano passare nuovamente attraverso la piccola e stretta porta controllate dalle guardie. Cosa praticamente impossibile se non con il consenso bonario degli agenti. La signora Careri aveva un carico di ottanta chili in testa e quindici litri di olio dentro un contenitore che portava a mano, quando fu fermata gentilmente da un agente anziano della guardia di finanza di nome Marchese. Mentre la signora cercava di dissuadere l’anziano agente con il metodo classico delle bagnarote, ovvero quello che va tra il supplichevole e la faccia tosta, improvvisamente venne afferrata per il braccio da un giovane poliziotto in servizio che con decisione gli intimò “di qua non si passa”. A quel punto, la signora, sentitasi offesa per il gesto compiuto dal giovane poliziotto, cominciò a dimenarsi finchè avuta la meglio sul poliziotto, si rivolse a lui con fare minaccioso dicendo: ”Tu come ti permetti, solo perché hai la divisa di mettermi le mani addosso? Io sono qui per lavorare non per farmi importunare da te, ma chi sei, sei un ragazzino rispetto a me” (naturalmente tutto in dialetto). La signora compì il gesto di buttarlo in acqua quando fu bloccata dal Nostromo che la conosceva sin da piccola, quando viaggiava e contrabbandava con sua mamma (Panuccio). A questo punto la signora Careri intuendo il pericolo di poter essere arrestata pensò che sarebbe stato opportuno salire su un aliscafo e ritornare indietro, purtroppo però una cugina la convinse a prendere il treno e così i poliziotti la condussero al comando di polizia. Il poliziotto intanto si era recato al pronto soccorso sanitario delle ferrovie perché lamentava un taglio al dito provocato da un morso della signora e si era premunito di denunciare l’accaduto. Durante il tragitto verso il comando, considerato che anche lei era rimasta contusa ad un braccio, ella stessa completò l’opera ed a via di pizzicotti duri e decisi sull’altro braccio lo riempì di lividi pronta a denunciare i maltrattamenti che aveva ricevuto. Cosi fu infatti, da una parte lei negò il morso dicendo che l’agente si era fatto male con cesto quando la voleva bloccare mettendogli le mani addosso e poi accusò l’agente stesso di averla provocata cominciando per primo ad alzare la mani abusando della sua divisa.

Redatto il verbale, la signora tenta di tornare a casa tranquilla che tutto fosse finito, invece arrivata alla stazione di Messina, fortunatamente incontrò un portabagagli che sapeva già quanto era successo e le consigliò di recarsi all’ospedale Piemonte per farsi visitare e farsi dare dei giorni di convalescenza. Cosi fece ed al ritorno a Bagnara andò a farsi visitare anche dal suo medico che confermò e continuò la convalescenza. Dopo più di un mese dall’accaduto, quando oramai la signora aveva dimenticato quella ennesima avventura, come un fulmine a ciel sereno arrivò il mandato di cattura e fu portata in prigione. Rimase in prigione 40 giorni perché l’agente offeso era in attesa di perizia al dito offeso e per di più era ricoverato a Melito Porto Salvo per una colica renale. Grazie all’intervento di suo marito, (che tornò urgentemente dalla Germania dove lavorava) e di suo fratello Domenico, la situazione si sbrogliò alla meglio. Saputo dove si trovava ricoverato l’agente colpito, decise di prendere un motoscafo ed andare a fargli visita accompagnato dal medico legale.  Constatato e scritto che il dito non aveva subito nessun danno, il ventitre dicembre la signora fece ritorno a casa.

Due anni dopo ci fu il processo nel quale grazie alla testimonianza del sig. Marchese che confermò che era stato l’agente ad aggredire per primo la signora ed alla retorica dell’anziano avvocato Marutta, la situazione si concluse a favore della “bagnarota” che, invece dei tanto temuti 3 anni di carcere che le si prospettavano, se la cavò con la condizionale e un risarcimento da parte dell’agente a cui toccò anche il pagamento delle spese processuali

. Ecco alcuni passi della difesa della signora Careri davanti al giudice: “Chi l’ha detto sig. presidente che io ho alzato le mani? Lui ha alzato le mani su di me e non io, io facevo solo il contrabbando perché sono momenti difficili ed a casa ho sei figli, cinque femmine ed un maschietto e non mi sarei mai permessa di litigare con questo cretino sapendo la responsabilità che ho sulle spalle. Io ho chiesto educatamente permesso di poter scendere dalla nave al sig. Marchese senza nulla ferire, invece l’agente qui presente non ha saputo tenere la mani al loro posto e mi ha aggredita: si è vero ho preso qualche contravvenzione per il contrabbando del sale e della pasta, ma mai per avere alzato le mani su una divisa. Dal 1940 ad oggi, da quando viaggio per Messina, non ho mai ricevuto nessuna denuncia per aggressione, solo per il mio lavoro ma mai per avere oltraggiato agenti”.

A processo concluso, fuori dal tribunale, la signora Careri avvicina l’agente che l’aveva denunciata dicendogli queste testuali parole: “ Non mi ‘ncuntru mai supra o trenu ca ti jettu fora, ‘nta na galleria ti jettu pe tuttu chiju chi mi facisti. Grandissimo ………………..”. Poi allontanata dal marito fece ritorno a casa. L’agente in questione fu anche trasferito da Messina a Catanzaro.

A differenza di quanto si racconta, il contrabbando era una cosa molto organizzata e nulla era improvvisato, infatti le bagnarote avevano a Messina i loro punti di riferimento, grandi magazzini di stoccaggio, dove vendere la roba che contrabbandavano dalla Calabria, inoltre compravano altra merce e la vendevano in altri magazzini in Calabria.

A questo proposito una piccola parentesi per smentire uno studioso francese che voleva a tutti costi fare folklore sulla bagnarota volendo collocare a tutti i costi in mito del baratto nell’epoca dei motori, niente di più falso.

I magazzini più grandi dove le bagnarote vendevano la loro roba erano quelli di Maimone e Briguglio.

La signora Careri ricorda che un giorno da sola caricò sul treno alla stazione di Nicotera quarantadue quintali di grano che poi portò a Messina nei Magazzini di Maimone.

Una mattina la stessa signora Carica sul treno alla stazione di Bagnara quattro quintali di “sale in pietra” che il giorno prima aveva portato da Messina e che adesso portava a Catanzaro. Partita alle sei arrivò alle otto a destinazione. A Catanzaro l’aspettavano i compratori ed i soliti controlli degli agenti. Mentre la signora scaricava il sale riconobbe tra gli agenti quel ragazzo che gli aveva fatto passare quaranta giorni in galera, questi appena la vide sparì dalla circolazione senza farsi più vedere. Il maresciallo che la nostra signora conosceva perché ogni tanto “ungeva” con qualche pezzo di “sale in pietra”, si accorse della scena ed avvicinandosi ad essa gli chiese spiegazioni. Dopo vari tentativi di minimizzare la cosa e sotto le insistenze del maresciallo fu costretta a raccontare tutto l’accaduto processo incluso. Il maresciallo non avendo quell’agente in simpatia si complimento di vero cuore con la signora che subito dopo aver venduto il suo sale riprese il treno per ritornare a Bagnara.

C’erano alcuni finanzieri che erano ligi al proprio mestiere e la signora ci tiene a ricordarli per quante ne ha passate a causa loro. Ricorda a ancora i loro nomi: Bagnato, Santacroce e La Rosa, con altri invece per far camminare la barca bastava ungerla.

Un’altra storia a lieto fine degna da film dell’epoca vede protagonisti oltre che una bagnarota detta “ a perugina” un capotreno di nome La Cava che la puntava sempre perché oltre che simpatica era costantemente senza biglietto. Lei si nascondeva ovunque, persino sotto i sedili ma spesso veniva trovata dal capotreno come in una sfida, un gioco a nascondersi che si concluse con i due davanti all’altare, sposi felici che comprarono casa grazie anche ai risparmi che lei aveva accumulato durante il suo lavoro di contrabbando e nascosto dentro il materasso. Ancor oggi vivono felicemente insieme.

Post Author: Gianni Saffioti