Donna Cuncetta Minutolo e don Vicenzu Cutrupi – dal nuovo libro “Le bagnarote” del prof. Michele De Luca, di prossima pubblicazione

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Donna Cuncetta Minutolo

Uscirà nel primi mesi del 2019 l’ennesimo libro del prof. De Luca sulla società calabrese. Stavolta è il turno delle bagnarote, uno studio nuovo e moderno dettato dallo scrivere brani nuovi sul tema, storie non conosciute lontane dalla retorica di routine.  Un libro denso di accenni storici che si fondono con appunti istruttivi e interessanti sulla conoscenza del dialetto che ha al centro il viaggio delle bagnarote tra i paesi della provincia, la dove ancora c’è molto materiale da studiare sul tema, il cinema, la letteratura reggina, la memoria di chi c’era, la passione di chi ricerca seriamente.

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Don Vincenzo Cutrupi

L’asperità della vita ha reso il popolo delle bagnarote e dei loro uomini saggi ed accorti, come si può notare dai racconti accorati dei protagonisti, generalmente donne, perché l’educazione dei figli era spesso demandata ad esse. Ma anche gli uomini avevano la loro parte, come il lettore avrà modo di leggere nelle pagine successive, parlando di Donna Cuncetta Minutolo e di suo marito don Vicenzu Cutrúpi ,che s’intratteneva con i clienti, raccontando amenità d’ogni genere.

A Parghelìa, nel Vibonese, ancor oggi a distanza di molti anni (gli anni Sessanta e Settanta del secolo appena trascorso) ricordano, con affetto, una coppia di bagnaroti: donna Cuncetta Minutolo e don Vicenzu Cutrúpi . Erano molto affiatati e s’intendevano solo con lo sguardo. Molto aggraziati nel comportamento, quasi nobiliare, ricordavano le mitiche figure dei ggihánti ‘giganti’ Mata e Grifone, dalla statura e robustezza elevata, i pupazzi di cartapesta che percorrevano, nei giorni di festa, le vie del paese accompagnati dai tamburini! Lei portava, in bilico, subba ‘a curuna ‘sopra il cércine’ una grossa cesta, na canníśṭṛa (a Bagnara spurtúni ), lunga circa un metro e mezzo e larga e alta cinquanta centimetri, lui nu panáru ‘randi ‘un paniere grande’, con un robusto manico. D’inverno portavano torroncini, confetti e taralli (quelli piccoli con la glassa e gli altri detti messinesi, enormi, ricoperti di semi di sèsamo); d’estate gustose e prelibate pesche e il dolcissimo zibibbo. Altre volte cozze (probabilmente provenienti dai laghi salati di Ganzirri, in Sicilia), chjáppara ‘capperi’ salati e i pistilli dei capperi, che i siciliani chiamano cucúnci e a Parghelia ciṭṛoléi d’ ‘i chjáppari , per la loro forma simili a cetriolini, fino allora sconosciuti in paese. E accettavano le ordinazioni dei paesani, generalmente in prossimità delle feste patronali e di quelle familiari (battesimi, comunioni, matrimoni ed anche onomastici, compleanni, lauree, ecc.). S’intrattenevano con la gente e il marito raccontava, a bambini ed adulti, meravigliose favole ed aneddoti, arricchite con gesti, nella cadenza dialettale di Bagnara, che i pargheliòti comprendevano perfettamente, vista la similitudine dei due dialetti! E si scambiavano le ricette gastronomiche: a di vui comu ‘u faciti ‘u piscistoccu? ‘(a) da voi come lo cucinate lo stoccafisso?’. Spesso le pietanze erano le stesse, con qualche piccola variante, ma queste sembravano sorprendere le ascoltatrici! E si parlava dei figli e dei nipoti, della dote della figlia femmina, del lavoro che non c’era, degli anziani accuditi dalle donne rimaste in casa! Al loro arrivo la gente gli offriva il caffè, o il rosòlio, o l’anisetta, e d’estate bibite rinfrescanti, come prevedeva il costume dell’ospitalità, ma essi, spesso rifiutavano con garbo, probabilmente avendo provveduto alla bisogna, perché già accettate presso le famiglie dei primi clienti contattati. Portavano, tra la loro merce, il pranzo, avvolto ‘nta nu muccatúri ‘in un canovaccio di tela grezza’, che consumavano in un luogo appartato, lontano dagli occhi indiscreti della popolazione. E sembrava non avessero bisogno di nulla. Nel caldo afoso agostano donna Cuncetta, che si riparava dal sole con l’enorme cesta dal bordo alto,‘a canníśṭṛa , portata in testa, ogni tanto si ventuliáva ‘ventilava’ con il grembiule,‘u faddáli , mentre il marito, a viso scoperto, si asciugava il sudore con ‘u camúffu ‘il fazzoletto annodato al collo’. Ma non vi era in essi alcun segno d’insofferenza! Fu, per i pargheliòti, un legame molto stretto, con un mondo che allora sembrava lontano e che portò nella tradizione dolciaria di Parghelìa i prodotti di Bagnara. Le poche botteghe di generi alimentari incominciarono a vendere questi dolciumi, chiamati con il nome proprio e con quello delle ditte che li producevano: ‘i bbacétti ‘i Cardúni ‘i bacetti (torroncini dalla forma piramidale) ’ di Cardone, ‘u turruni ggelátu ‘il torrone gelato’, a base di frutta candita, mandorle, cacao, aromi di diversi agrumi e zucchero, amalgamati insieme in un impasto rettangolare, rivestito di cioccolato fondente. Terminata la vendita raggiungevano, all’inizio del paese, la chiesa settecentesca della Madonna di Portosalvo, in prossimità della quale vi era un tortuoso e scosceso sentiero a gradoni (la strada sterrata era troppo lunga, circa 6 km.), proprio come quelli delle colline della loro cittadina, per recarsi a Daffinà e Daffinacello (fraz. di Zambròne), nell’entroterra, per acquistare uova e rientrare a casa, di pomeriggio, con un nuovo carico.

Post Author: Gianni Saffioti