Cu l’aiutu ra provvirenza: a scialata, l’untri e a palamatara.

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Cu l’aiutu ra provvirenza: a scialata, l’untri e a palamatara

di Pietro Bagalà

Fino agli anni sessanta i pescatori, che costituivano la classe sociale più povera del paese, nei mesi invernali vivevano un periodo di carestia tale da indurre i padroni dell’untri e delle palamatare ad organizzare, da Natale a Carnevale e spesso fino a Pasqua, delle riunioni tra pescatori, dove si consumavano abbondanti pasti dopo magari alcuni giorni di forzato digiuno o mal nutrimento. Queste riunioni, chiamate scialate, erano provvidenziali e ben accette dalle famiglie dei pescatori, i quali approfittando dell’abbondanza del banchetto si dividevano il rimanente, che serviva poi a rifornire le credenze delle loro case per alcuni giorni. Le ” scialate”  venivano consumate nelle numerose cantine cittadine, oggi totalmente sparite. Le pietanze che per l’occasione venivano servite, erano costituite da stoccafisso e patate, pesce salato e conserve ortofrutticole. Durante il banchetto, mentre qualcuno si lasciava andare a qualche bicchiere di troppo, altri organizzavano e preventivavano il lavoro per la stagione seguente. Si impiantavano strategie per accaparrarsi i marinai più forti e più bravi e si brindava più volte, sia in onore del padrone che aveva offerto il pranzo e che dava loro da lavorare, sia ad ogni nuova idea sul come cambiare e migliorare le varie tecniche di pesca. I più anziani amavano raccontare le loro storie, che venivano ascoltate con interesse da tanti o da pochi in base alla personalità ed alla popolarità che questi possedevano. Non tutti gli anziani godevano della stessa fama, anche tra di loro esistevano i più ed i meno bravi, chi fortunatamente era scampato a più pericoli grazie all’aiuto della Provvidenza, e chi, proprio grazie all’aiuto della Provvidenza, poteva raccontare di pescate miracolose. Tutto ciò costituiva vanto o motivo di rivincita per le generazioni più giovani, che appartenenti a questa o quella famiglia, si vedevano pesare sulle spalle sia le belle che le brutte eredità. Prima dell’avvento dei motori, il pescespada veniva pescato e cacciato con due sistemi molto antichi che da secoli si tramandavano da padre in figlio. Di giorno si cacciava con l’untri, e di notte si pescava con le reti dette palamatare, da cui presero il nome anche le barche. La giornata cominciava al mattino presto prima delle sei con il varo dell’untri ed il raggiungimento della posta stabilita per quel giorno. L’equipaggio di questa barca molto particolare comprendeva quattro rematori, un fiocinatore ed una vedetta. Inoltre un avvistatore si appostava nel luogo prestabilito sulle colline e segnalava con gesti, urla, fazzoletti bianchi, la presenza del pesce nelle vicinanze, indicandone la direzione e la velocità. La vedetta sulla barca seguiva con occhio vigile le istruzioni che gli venivano impartite dal monte e comandava ai rematori le dovute indicazioni. Una lotta ardua si instaurava tra il pesce che scappava e la barca che inseguiva, finchè il fiocinatore non lo controllava sotto tiro scagliandogli addosso l’arpione al grido di ” San Marco”.

Attimi di tensione assalivano tutto l’equipaggio mentre il fiocinatore lanciava la sua arma. Un silenzio di tomba seguiva il rituale di liberare in mare la sagola legata all’arpione che aveva lacerato le carni del pesce infliggendogli un corpo mortale e che il pesce si trascinava lontano nel tentativo di liberarsi. Si seguiva il pesce per tutto il tempo necessario, poi quando questi si arrendeva, veniva recuperato e legato alla barca di lato alla prua. Non sempre però andava bene, spesso anche un piccolo spostamento della barca, o la variazione improvvisa di direzione del pesce, facevano sbagliare il colpo, ed allora in pochi minuti si consumavano imprecazioni, scuse e rabbia per la fatica sprecata. Dopo, scaricata la tensione, si ricominciava di nuovo con l’aiuto della Provvidenza. Spesso si tornava a riva con le mani vuote.    Nel tardo pomeriggio gli untri tornavano a riva, mentre si preparavano le palamatare che intorno alle diciannove scendevano in mare. Parte dell’equipaggio era composto da pescatori che già la mattina avevano remato per dieci e più ore. Il resto dei marinai, oltre che da pescatori esperti, veniva reclutato fra gente che di giorno faceva altri mestieri: contadini, muratori, artigiani. Il lavoro della palamatara era molto pesante, sia per la grandezza della barca, sia per la pesantezza della rete. Otto rematori mantenevano la barca, mentre altri erano addetti alla rete. La stagione della pesca e della caccia al pescespada finiva a metà Luglio, ma già alla fine di Giugno si tiravano le somme. Secondo un detto locale ” Se a San Gianni non facisti a staggiuni, a San Petru simu fora”. Questo detto voleva significare che se il guadagno fatto fino al ventiquattro giugno non era sufficiente, per rimediare c’erano ancora cinque giorni, fino al ventinove; dopo non c’era più tempo. I fiocinatori della costa bagnarese erano tra i più bravi di tutti e riscuotevano grande fama fino alle coste siciliane. Qui, essi venivano ingaggiati a guidare le ciurme locali dove il pescespada a metà Luglio si spostava prima di guadagnare il mare aperto.

Notizie e curiosità legate alla pesca del pescespada.

     La pesca e la caccia al pescespada sono le attività più antiche che per secoli hanno formato la principale fonte economica, sociale e culturale della cittadina. Testimonianze di queste millenarie ed appassionanti realtà, si trovano un po’ ovunque nelle svariate pubblicazioni sul tema. Lungo il corso dei secoli, moltissime sono state le trasformazioni sia dei mezzi di lavoro: barche, reti, fiocine, ecc.., sia della cultura, della società e soprattutto del folclore. E’ bene riportare alcune curiosità e brevi cenni storici, proprio per riferire di cose importanti e molto interessanti. Due notizie brevi ma fondamentali, che non vengono riportate dai libri ma appartengono alla memoria della gente ed elaborate da esperti locali, sono legate alla Palamatara.

Questa imbarcazione, aveva sulla prua un’asta di legno lunga circa 1,6 metri, e di base rettangolare 10 per 3 centimetri circa. In cima all’asta vi era sistemata una palla in legno di diametro di poco inferiore al lato più largo dell’asta stessa e di colore azzurro con al centro una striscia bianca che divideva le sette stelle dell’Orsa Maggiore: due in alto e cinque in basso, che su di essa erano state pitturate.

Secondo il signor Antonino Ranieri, studioso locale prematuramente scomparso nel 2004, i riferimenti a questo simbolo sono tutti da ricercarsi dentro la cultura fenicia. Questo popolo di grandi navigatori usava navigare di notte orientandosi usando come punto di riferimento l’Orsa Maggiore. Svolgendosi appunto di notte anche la pesca con la palamatara, il simbolo dell’Orsa è stato posto in alto alla prua della barca.  Legato alla palamatara è anche il rituale della “runzata”, che il Sig. Luigi Oriana ha rievocato con piacere per questa occasione. Lo scopo della runzata era quello di augurare una buona pesca a chi si recava in mare per la nottata. A tale proposito, alcuni bambini venivano posti a poppa vicino alle reti mentre gli uomini facevano scivolare in mare la barca. Appena la barca raggiungeva il mare, i bambini innaffiavano le reti con la loro pipì bagnandole il più possibile. Dopo questo rito, esclusivamente pagano, e su cui bisognerebbe meglio addentrarsi, ai fanciulli veniva concesso un breve giro in barca prima della partenza. Negli anni cinquanta e sessanta, quando Bagnara era meta di gite quotidiane di turisti della provincia, il rito della runzata era diventato quasi una funzione per intrattenere il forestiero che veniva a trascorrere la serata sul lungomare cittadino osservando l’evento e gustando il buon gelato bagnarese. La runzata, che alla fine era quasi diventata una forzatura, si dissolse lentamente poco prima dell’abbandono della vera palamatara. In merito ai documenti storici che parlano della pesca, ricordo alcune delle concessioni di epoca normanna fatte all’Abbazia bagnarese, all’atto della sua nascita. Ad essa furono concesse due poste per la caccia al pescespada, e il diritto di falangaggio. Ed ancora è da ricordare ” a cardata ra cruci “, segno antichissimo di cui i cacciatori del pesce non hanno ancora perso il ricordo. “A cardata ra cruci” è il segno a forma di rombo che i pescatori incidono con le unghie sulla guancia destra del pescespada infiocinato. Secondo il già citato Sig. Antonino Ranieri, questo segno non è altro che un antichissimo simbolo che i cacciatori di orsi usavano incidere sulla parte destra della testa dell’animale ucciso, volendo simboleggiare la sezione del midollo spinale della preda di cui erano ghiottissimi. Riportato ai nostri giorni, dopo millenni di storia ed importato chissà da chi e chissà come, sull’argomento ci sono tanti studi di approfondimento in corso, questo simbolo inneggia alla prosperità della pesca e viene sempre marchiato su tutti i pescespada infiocinati. Nella spartizione del pescato, fino a qualche decennio fa, veniva usato un metodo standardizzato e valevole per tutte le imbarcazioni. Dopo la vendita giornaliera del pesce al rigattiere che aspettava sulla spiaggia, la divisione del ricavato avveniva nel seguente modo: due parti al padrone della barca, una parte e mezza al guardiano che stava di vedetta sulla posta a terra ad avvistare e segnalare il pesce alla vedetta sulla barca perché di  notte dovevano riposare gli occhi una sola parte ai marinai che remavano e stavano sulla barca, perché di notte andavano a pescare con la palamatara. Era tradizione, oggi lo è molto meno, tagliare la parte superiore della testa del pesce, detta scuzzetta. La scuzzetta, per contratto veniva data le prime due volte al padrone della barca, e poi una volta ciascuno a tutti gli uomini dell’equipaggio. Considerata una bontà culinaria, essa spesso veniva venduta per aumentare il guadagno oppure veniva regalata dal pescatore al solito notabile del paese che si prestava a consigliarlo o favorirlo in qualche complicatissimo, per lui, problema dentro cui spesso si cacciava e di cui solo pochi conoscevano i segreti per addentrarsi e risolverlo. Naturalmente spesso si gonfiavano più del dovuto semplici atti burocratici, ed approfittando dell’ignoranza e analfabetismo del pescatore, li si faceva diventare complicatissimi intrighi tali da spaventare lo stesso pescatore che ingenuamente quasi si genufletteva davanti a vussignoria quando questi lo tirava fuori dall’impiccio.

 

Post Author: Gianni Saffioti