Contro le brutture della cementificazione a salvaguarda del territorio
La spiaggia e i giardini cosi com’erano negli anni 30 e la bellissima descrizione di Stafano D’Arrigo
L’arrivo nella spiaggia delle femminote
Era come di piena estate, la sabbia e le pietrebambine bruciavano sotto i piedi, il cielo era azzurro e senza una nuvola, il mare mosso appena dal suo scintillìo: nell’aria ferma, il rotolìo delle onde lente alla riva pareva scendere dentro la marina e prolungarsi lontano sotto la rena.
Intorno, era dappertutto bianco e polveroso: c’erano solo delle macchie di canne lungo la fiumara, per il resto l’occhio non avrebbe avuto dove posarsi, se non fosse stato che subito a sinistra, ad angolo retto con la fiumara, un fitto nereggiante di giardini bordava per un lungo tratto la plaia, attirante come un’isola di fronde e di frescura. Lontano, dove il boschetto finiva, si intravvedeva un pezzo di serpentina della strada.
Risalì la spiaggia e poi, nella plaia vera e propria, seguì la traccia che altri passi avevano lasciato sulla sabbiadura. Avvicinandosi, vide che erano alberelli nani, aranci e bergamotti, combacianti tra loro col ricco fogliame e il carico di bottoni verdeneri e lustri: subito, al primo passo, lassòtto era cupo d’ombre, tenebroso come per notte.
Camminava lungo il boschetto, ancora con le scarpe in mano, e credette di sentire come un improvviso fruscio d’aria fra le foglie secche, ma era invece qualcuno che gli faceva sordellino, con le labbra ad anello, per richiamare la sua attenzione; e difatti, dietro al sordellino, una voce di femmina era sorta di là ad apostrofarlo:
tratto da:
HORCYNUS ORCA di Stefano D’ Arrigo