Piccola storia autobiografica del fotografo Francesco Gioffrè

Foto del 30 agosto 2015 e intervista del 29 dicembre 2015

E’ vietato copiare  il testo se non per scopi didattici. Non è concesso assolutamante copiare le foto
>
>
>
>
>
>
>

 

Da ragazzo facevo il falegname, ma della curiosità e della ricerca che hanno caratterizzato la mia vita lavorativa sono riconoscente al Creato che così ha voluto. Nel tempo libero, avendo a disposizione una macchinetta fotografica da pochi soldi mi divertivo a scattare fotografie e anche a svilupparle. Cosi cominciai a fare le foto agli amici e ai parenti in occasione di compleanni e altre festività.  Stampavo di notte in una stanzetta dove con i liquidi di stampa (sviluppo, arresto e fissaggio) rovinai parecchie lenzuola.

La passione per la fotografia mi prendeva sempre di più e gli impegni oramai diventavano importanti, tanto che i fotografi professionisti del paese cominciarono a lamentarsi in maniera vivace. Oramai la decisione di dedicarmi alla fotografia era presa e divenni fotografo a tutti gli effetti, aprendo uno studio professionale che mi portò subito molte soddisfazioni.

In ogni storia c’è un punto di svolta, e in questa della mia carriera di fotografo accadde un giorno alla fine di un servizio fotografico a Cannitello: dopo aver riposto le macchine fotografiche nel bagagliaio della macchina e allontanatomi per salutare gli sposi, al ritorno ebbi la sgradita sorpresa di non trovare più nulla, mi avevano rubato tutto.  Bisognava ricomprare l’attrezzatura nuova.

A Messina, in un noto negozio per professionisti, dove mi conoscevano, mi proposero di comprare una macchina di elevata qualità e che costava molto: una Rolleiflex bifocale medio formato 75 mm f.3.5, che presi e pagai un poco alla volta, così come mi aveva proposto l’esperto e abile negoziante. La pellicola utilizzata dalla Rolleiflex era la medio formato 6×6 (12 fotogrammi quadrati di 56 mm di lato su rullo “120” oppure 24 su rullo “220”. Quella macchina trasformò la mia esperienza fotografica e, come una sfida, ingegnò le mie capacità per poterla usare al meglio.

Normalmente, quando si scattava una fotografia con le macchine a rullino che si usavano fino a qualche anno fa, per passare avanti la pellicola si usava l’apposita manovellina che era posta a fianco della macchina e cosi era pronta per un altro scatto su un nuovo fotogramma, non ancora impressionato, che la manovellina trascinava a misura davanti all’otturatore.

La curiosità, che è il sale di chi ha passione di fare fotografia, mi ha portò a scoprire che alla base dell’asse della manovellina c’era una ghiera zigrinata che, pressandola con il pollice e girandola di lato, permetteva di ricaricare la macchina senza far avanzare la pellicola: praticamente faceva da frizione. Questa è stata la scoperta che ha dato l’inizio alle esposizioni multiple con questa macchina e che mi ha permesso di aguzzare l’ingegno per costruire le prime maschere: “filtri” in cartone, tipo coppette da inserire sul paraluce posto davanti all’obiettivo. Quindi, per fare una doppia esposizione al centro bisognava adoperare due cartoncini lavorati in maniera uguale e opposta: uno con un buco al centro e l’altro con il centro pieno e il resto vuoto. E poi così via con gli altri filtri per le esposizioni multiple. Ad esempio, per avere 4 immagini su un fotogramma bastava avere un cartoncino solo diviso in quattro quadrati di cui uno vuoto che si girava dopo aver impressionato il primo angolo della pellicola, e così per i quattro lati e per 4 scatti consecutivi, tenendo sempre la pellicola bloccata con il sistema spiegato in precedenza. Per avere 5 immagini bastava il solito cartoncino oscurato al centro e il taglio del cartoncino del lato da impressionare poco più piccolo. Camminavo sempre con una tasca della giacca piena di cartoncini modellati a misura: erano i miei primi “filtri”, le maschere artigianali.

Agli inizi queste nuove tecniche, da me ideate, diedero dei buoni risultati e quindi furono incoraggiamento a continuare nella ricerca di proporzionare tempi di otturazione e apertura del diaframma per avere effetti visivamente gradevoli e non solo realizzare 2 o più scatti statici, fino a 5 sullo stesso fotogramma, che non davano atmosfera alla foto creata. Chi ama la fotografia sa come funziona e che si può gestire la luce a piacimento, dando gli effetti desiderati alle foto. Lo studio delle varie esperienze fatte ha prodotto foto di notevole qualità, tanto che un laboratorio di Torino dove la Kodak dava i miei rullini da stampare, volle organizzare per un certo periodo nei suoi studi una mostra delle mie foto più belle con gli effetti delle esposizioni multiple.

Le maschere finali, “i filtri”, mi ingegnai a costruirli in metallo e adattarli al paraluce, e rappresentarono la versione definitiva di questa mia  invenzione.

Qualche anno fa, quando oramai ero in pensione, ho proposto alle autorità cittadine di trasmettere queste mie conoscenze ai giovani appassionati di fotografia tramite delle lezioni gratuite, ma poi non se ne fece nulla.

 

fotografiafotografofrancesco goffrè
Comments (0)
Add Comment