I monasteri più importanti tra greci e normanni di A. Carati

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Tratto da Calabria sconosciuta n 151/152 del luglio dicembre 2016 e con il consenso dell’autore

 

 

TRA GRECI E NORMANNI. APPUNTI DI STORIA MONASTICA

E’ doveroso riferire, almeno in sintesi, su alcuni grandi monasteri le cui vicissitudini in epoca bizantina e normanna  diedero onore e lustro alla terra di Calabria, rendendo la nostra storia locale meno angusta e provinciale: il Monastero Imperiale delle Saline, fondato da S. Elia da Enna (Enna 823 – Tessalonica 17 Ag. 903), detto lo Iuniore, per le sue doti di profeta e con riferimento al più noto Sant’Elia Profeta il Tisbita; il vicino, e ad esso limitrofo, monastero fondato da S. Elia di Reggio, detto il Monochiro, meglio noto come lo Speleota ( Reggio Calabria 864 – Melicuccà 11 Sett. 960)[1]; e a questi due monasteri di rito greco preesistenti alla conquista normanna, con l’arrivo dei nuovi dominatori, se ne aggiungono altri due, di rito latino, entrambi ricchi e potenti, che ci riguardano da vicino, eretti entrambi a <<nullius diocesis>>, ovvero non sottomessi ad alcuna giurisdizione vescovile, ma direttamente dipendenti dalla santa romana chiesa: il monastero di S. Maria di S. Eufemia, fondato da Roberto il Guiscardo nel 1062, e il monastero di S. Maria e dei XII Apostoli  di Bagnara, fondato dal conte Ruggero, suo fratello, nel 1085, che con quello di S. Eufemia sosterrà una pluri-decennale controversia relativa ai confini, più unica che rara per i tempi in cui avvenne: ebbe inizio tempo prima del 1110 (anno del diploma di Adelasia, con cui si addiviene ad una prima sentenza fra le parti in causa), ed ebbe termine nel 1168 (anno della sentenza conclusiva)[2]. Tutti i su citati monasteri, come vedremo nel proseguo del nostro lavoro, hanno un qualcosa che ne regola la convivenza e ne vincola gli interessi, e, in particolare, il fatto che possedevano confini in comune ed usi su terre demaniali anch’essi in comune. E se i monasteri dedicati ai due Elia, di rito italo-greco,  sono più antichi e affermati sul territorio, e dunque più radicati nella pietà popolare, quelli di S. Eufemia e Bagnara, nuovi arrivati in contrade di rito greco e pressoché avulsi dalla loro realtà, sono diretta filiazione dei maggiori esponenti della potenza normanna del tempo (Roberto il Guiscardo e suo fratello minore il conte Ruggero), e però seppero bene rappresentare in ambito ecclesiastico scopi, finalità e politica dei conquistatori, tanto da divenire tra le massime espressioni della riaffermazione della chiesa di Roma, e dunque del rito cattolico, nelle estreme terre della Calabria di recente strappate ai bizantini e in quelle della Sicilia, che ancora si andavano conquistando. Vedremo come, in vario modo e misura, le vicende di ognuno di questi quattro monasteri finiscono in certo qual modo per fondersi tra loro, in un rapporto di vicinato del quale, stando alla carenza delle fonti, non siamo pienamente consapevoli, ma che certamente (e la su accennata lite tra i due grandi monasteri normanni lo dimostra), non sempre fu pacifico e senza diatribe, ma che in vario modo e maniera è testimonianza viva di una parte della vita e della società religiosa del tempo, e dell’ incontro (o scontro), tra diverse culture e tradizioni, dunque del rivolgimento e del trapasso dal vecchio al nuovo dominio[3].

LA CHIESA DI S. MARIA E DEI XII APOSTOLI DI BAGNARA

La chiesa ed il feudo ecclesiastico di Bagnara ufficialmente nascono nel 1085 (anno del diploma di fondazione), per volere di Ruggero di Altavilla, Conte di Calabria e di Sicilia. Un feudo ecclesiastico, di regia fondazione, che al tempo in cui venne istituito, nell’intero territorio reggino non aveva uguali. Ciò per le protezioni di cui godeva (vi emergevano il gran conte Ruggero che l’aveva fondata, e che governava da signore assoluto quei territori, nonché la massima nobiltà guerriera al suo seguito, donde emergono i suoi parenti più stretti).

I privilegi di cui venne a beneficiare, il sito particolarmente felice in cui venne a sorgere, la qualità e l’estensione dei terreni ottenuti in proprietà, o posti sotto la sua diretta giurisdizione (terre che spaziavano dalla Calabria alla Sicilia ed in gran parte già lavorate dalla mano dell’uomo), e non per ultimo la tempra e forse il rango, di quei primi religiosi, devoti pellegrini diretti in Terra Santa ai quali detta fondazione viene affidata, ce ne fanno un faro della religione cattolica in questo estremo meridione della penisola. A contendere tale primato, fra le coeve istituzioni normanne di rito cattolico, stanno la Chiesa di S. Maria di Sant’Eufemia (già citata), la SS. Trinità di Mileto, il vescovado stesso di Mileto.

Le terre ricevute in Calabria sono per lo più localizzate in un’ampia fascia costiera che comprende interamente il territorio dell’attuale comune di Bagnara Calabra, e a monte di esso si arriva a est, fino alla parte più interna dei Piani della Corona, ovvero fin dentro il territorio di S. Eufemia d’Aspromonte,  fino a quelli di Seminara, Melicuccà, Palmi. Tali terre comprendevano, in una con ampie estensioni di boschi, selvosi (silvestris), ed incolti, siti nelle zone più interne, altre terre, come quelle site nei Piani della Corona, dove, soprattutto in quelli della fascia costiera, dove operano i monasteri oggetto della nostra trattazione, non pochi terreni risultano già prima della conquista normanna avviati a conduzione e coltivati da proprietari laici ed ecclesiastici. Non tutte queste terre sono citate dal diploma di fondazione della chiesa di Bagnara, mentre altrove si delineano parzialmente i possessi del monastero in un quadro d’insieme donde la strada regia sembra fare da confine e delimitare buona parte dei contorni del feudo; e possiamo affermare che solo per le terre prossime al mare, ovvero quelle presso Pian delle Nevi e Piani di S. Elia[4], e forse anche quelle di Scrisa, abbiamo certezza assoluta che si trovano entro i più larghi confini del monastero di Bagnara, entro i quali si trovano pure le terre dei monasteri di Sant’Eufemia e dei due S. Elia, mentre per le altre, più all’interno del territorio, ma sempre a valle della Via Popilia –Annea, a parte i documenti del 1110 e 1168, spesso le testimonianze ci pervengono da documenti ed accenni posteriori di diversi secoli.

In sintesi e somme linee, al fine di orientarci all’interno del feudo ecclesiastico di Bagnara, possiamo prendere come riferimento iniziale il corso della fiumara Sfalassà,  che sfocia alla periferia sud dell’attuale cittadina di Bagnara. Risalendo verso la sua sorgente, le terre della chiesa normanna si estendevano, da un lato, almeno fino all’antico “Ponte di Solano” (dove l’antica via romana Popilia-Annea attraversava la fiumara medesima), per poi risalire il monte e proseguire attraverso il Passo di Solano, la Melia, S. Roberto, Fiumara di Muro, e Reggio; dall’altro, a nord-est lungo la stessa via Popilia il cui percorso tocca i comuni di Melicuccà e Seminara, si perviene agevolmente ai territori della Corona prospicienti il mare.

A sud, al di là della sponda sinistra dello Sfalassà, stanno le terre di Solano. Qui, in quella parte che  sovrasta la costa e l’ultimo tratto del percorso del torrente prima del suo sbocco in mare, poco prima del monte Cocuzzo, stanno le terre della chiesa e del monastero italo greco di S. Luca, nell’omonima contrada, che il Gran Conte Ruggero sottomise alla nascente Chiesa di Bagnara.

 Questo monastero guardava la chiesa di Bagnara stando al limite delle pendici montuose per lo più fortemente scoscese a ridosso del greto della fiumara, mentre, subito a ridosso, gli si aprivano i Piani della Chiusa, con quello che allora era conosciuto come Bosco di Solano, e, nella fattispecie, quella parte di pertinenza del detto monastero, conosciuta, fin quasi ai nostri giorni, come Bosco di San Luca.

 La chiesa ed il monastero di San Luca, allorché vennero sottomessi alla chiesa normanna di Bagnara (a. 1085), dovevano essere in profonda decadenza, e, a quanto ci fanno intendere alcune fonti, in quegli anni si attraversava un periodo di grande miseria e spopolamento generale, che investiva senza eccezione tutti i centri della Turma delle Saline.

Restavano, tuttavia, fra tutte le istituzioni precedenti all’arrivo dei normanni,  e nonostante i mali della conquista, ancora a brillare le stelle di due famosissimi monasteri: il Monastero Imperiale delle Saline, che il Minasi ritiene fosse ubicato sul Monte S. Elia[5]; e contiguo ad esso, e per lo più nascosto tra i frantumati rilievi, il monastero rupestre di S. Elia de Spileo.

I L   M O N A S T E R O   I M P E R I A L E    D E L L E   S A L I N E

Il monastero Imperiale delle Saline nasce attorno all’884 fondato da S. Elia da Enna, detto lo Iuniore, che in tutto il mondo bizantino, ed in particolare in Grecia, godeva grandissima fama ed un grande culto. Per non pochi studiosi locali (vedi il Minasi), era ubicato presso l’odierno monte S. Elia, in quel di Palmi,  in un sito rimasto a tutt’oggi sconosciuto. Di certo sappiamo che era un monastero cosiddetto “ad marem”, le cui terre facevano capo ai Pianori della Corona, e il santo fondatore non vi dimorò stabilmente, dedito com’era ad una vita errabonda, caratterizzata da lunghi viaggi anche fuori dall’Italia, tuttavia non mancò mai di farvi ritorno, e grazie a lui, alle sue opere ed ai suoi miracoli, che gli diedero grande fama di santità quando ancora era in vita, il nome del monastero da lui fondato si diffuse ovunque varcando i confini della penisola[6].

Elia era carico di anni e venerato già come un santo, quando l’imperatore Leone VI il Saggio (886 – 912) da tempo abbagliato dalla sua fama, lo manda a chiamare; ed Elia, fedele ai suoi ideali, che proponevano altresì una completa ubbidienza al proprio sovrano ed alle proprie istituzioni, suo malgrado, presago che quello sarebbe stato il suo ultimo viaggio, si mette in cammino accompagnato dal suo discepolo prediletto, di nome Daniele.

Il viaggio avviene a principio della primavera del 903, ma giunto a Tessalonica, il vecchio cade ammalato, ed il 17 Ag. 903 passa a miglior vita. Inizialmente Daniele, che gli diede gli ultimi conforti, trova non pochi ostacoli al trasporto delle spoglie del venerato maestro in Italia, infatti l’imperatore le voleva in Costantinopoli, per collocarle in un apposito mausoleo donde farne oggetto di culto. Ma il santo, ancor prima di passare a miglior vita, presagendo la sua imminente fine, in una lettera aveva disposto che le sue spoglie trovassero adeguato riposo nel monastero delle Saline da lui fondato. Per dieci lunghi mesi, dall’agosto del 903 al giugno del 904,  Daniele custodisce devotamente il corpo del suo maestro; poi finalmente l’imperatore in ottemperanza alle ultime volontà di Elia, consente il loro ritorno al Monastero delle Saline, che avviene probabilmente nell’estate –autunno del 904. Tra questa data ed il 912, l’ imperatore, che forse si sentì moralmente responsabile per la morte del sant’uomo, e per averne trattenuto a lungo le sacre spoglie, divenute nel frattempo oggetto di culto e da molti bramate e sospirate, fece al Monastero delle Saline cospicue donazioni di beni. Il bios di S. Elia Iuniore ci informa che l’imperatore “assegnò beni e rendite numerose al suo monastero, in tal modo che esso divenne il più illustre fra tutti i monasteri d’Italia; infatti, se fra questi per nascita era posteriore, li superava di gran lunga per fama. Quando in questo monastero abitava Elia il Giovane, egli lo rese come un altro Carmelo dei nuovi tempi…” e, afferma il bios, tale rimase anche dopo la morte del santo custodendone le sacre spoglie[7].

Qualche decennio dopo la morte di Elia, un altro grande asceta, San Filareto, rende onore alla tomba del santo e si ritira fra i monaci del Monastero delle Saline donde è posto ad accudire agli armenti del monastero, dove muore e viene sepolto nel 1076; ed il suo bios così si esprime: “ Beato sei tu fra i monasteri, e oggetto di grandi lodi, poiché avendo fatto tesoro di due astri, ti sei davvero arricchito di cose divine.”[8].

Trascorsero pochi anni dalla morte di Filareto, e del monastero imperiale delle Saline, così ricco e fiorente di spiritualità, di glorie e di beni, si perdono le tracce; il silenzio piomba sul suo nome, non una notizia, una testimonianza, un ricordo che ci aiuti a comprendere se ancora le sue opere di fede e di misericordia venivano elargite, o se fosse stato colpito da una funesta sciagura che ne avesse interrotto l’opera di evangelizzazione e di misericordia. La verità, forse, stà in una via di mezzo. Dal 1057 i normanni scorrazzano in quelle contrade, all’intorno la gente era stata decimata dai mali della guerra e dalle carestie (una per tutte quella del 1058), e ancora nel 1093 in una importante bolla di papa Urbano II si pone l’accento sulla desolazione e lo spopolamento  che v’era nelle terre del vescovado di Taureana, e di certo questi mali non risparmiarono neppure la tranquillità dei monasteri, per non parlare di questo del nostro Elia, che sorgeva e operava in terre così esposte ed importanti a livello logistico: per tutte basta citare la località di Clazano sita fra Madonna delle Nevi ed il Piano di S. Elia[9]. Infatti, le terre di detto monastero, a quanto sembra, spaziavano fra quelle attuali contrade  e le altre vicine di Scrisa, Pietralonga, Paparone (donde trovasi la sorgente Caforchi ed il complesso di grotticelle eremitiche risalenti proprio a quel periodo)[10] ed il Monte S. Elia (al tempo denominato Aulina). Da queste località dei Pianori della Corona, che qui fanno come da coreografica balconata sulla marina, si domina gran parte dei centri della Piana di Gioia; in particolare  Seminara, dove poco a monte  v’è il percorso della antica Via Popilia – Annea che di li a qualche chilometro raggiunge la contrada di Covala (presso il confine del territorio di Bagnara), per superare il torrente Sfalassà al Ponte di Solano e proseguire dopo “Passo”, alla volta di Reggio.  Dominare su quei pianori significa non solo avere il controllo pressoché totale della più importante via di collegamento che lungo la costa conduceva alla metropoli di Reggio, ma anche, per la felice natura dei luoghi, potersi spostare agevolmente in ogni direzione. Ruggero di Altavilla, è colui al quale si deve l’affermazione normanna su queste contrade, e sarà colui che a conquista avvenuta le governerà in piena libertà e agio riservando al suo demanio non poche terre[11]. Ruggero, più del fratello, si è dimostrato accorto ed avveduto nel governare le sue terre, e un fine politico nei rapporti con la chiesa di Roma e con le istituzioni ecclesiastiche di rito italo-greco; in particolare sappiamo, ed il suo biografo Malaterra ce lo conferma in più di una occasione, che non era restio, all’occorrenza, prima di arrivare all’uso indiscriminato della forza, addivenire ad un dialogo per lasciare un certo qual margine alle trattative, e in particolare, avendo gran rispetto per le cose di Dio, aveva molta tolleranza verso le istituzioni religiose latine o greche che fossero. Una qualsivoglia azione di forza contro quest’ultime, e soprattutto contro un monastero come quello dello Iuniore, avrebbe lasciato un eco non indifferente nel mondo bizantino e presso tutte le comunità italo greche: a noi invece non è pervenuta alcuna specifica voce in capitolo.

Ciò premesso, negli anni dopo il  ’76 e fino agli anni ’80 del mille, un “trasferimento” del monastero, per ragioni di sicurezza militare, è più che giustificato, e senz’altro è ciò che avvenne: le terre del monastero, un tempo assai frequentate dalle popolazioni del posto, ma oramai aperte al passaggio degli eserciti e pressoché isolate dalle comunità, in toto o nella maggior parte, vengono date in conduzione a terzi o ritornano al demanio, mentre il monastero viene trasferito e ricompensato con altre terre, site più all’interno in territorio di Seminara, nel cuore dei centri bizantini, dove si fanno sorgere anche la nuova chiesa ed il nuovo monastero.

Con la denominazione di “Monastero imperiale di S. Elia”, abbiamo fatto riferimento esclusivo al monastero fondato dallo Iuniore, perché a quel monastero, come dice il bios, l’imperatore Leone il Saggio fece dono delle sue terre, e riteniamo falsa la notizia che fa l’intero monastero, i suoi beni ed i suoi uomini soggetti all’ Abbazia di S. Maria di S. Eufemia addirittura nel 1062, così come si riferisce nel presunto diploma di fondazione di quella chiesa, palesemente falso, e manipolato non poco nel corso dei secoli[12].

Con questo trasferimento, e con le vicende connesse alla conquista normanna della provincia di Reggio prima e della Sicilia musulmana subito appresso,e dunque con l’arrivo dei conquistatori normanni, ha inizio un certo progressivo declino del monastero, tanto che in un diploma del febbraio 1133, emanato da re Ruggero, fra i 41 monasteri che vengono sottomessi alla giurisdizione del San Salvatore de Lingua Fari in Messina, fa la sua comparsa, tra i monasteri autocefali, uno detto di “S. Elias Novus et S. Filaretus”, che si trovava in territorio di Seminara, non lungi dalla città[13], e che si ritiene abbia raccolto l’eredità del grande Monastero Imperiale di S. Elia.

I L   M O N A S T E R O    D I   S.   E L I A    L O   S P E L E O T A

In apparenza più modesta, ma non meno degna di lode, è la storia del monastero di S. Elia Speleota, sito all’interno del territorio, in mezzo ai monti ed ai boschi che confinavano con il Monastero Imperiale delle Saline,  in un complesso rupestre che fa da balcone su di un vasto panorama di monti e valloni, e sovrastante il greto, più o meno ampio, di un torrentello. Oggi vi si arriva percorrendo la strada (detta un tempo Strada della Bagnara), che presso l’uscita di Bagnara dell’autostrada A3, dai pianori della Corona conduce a Melicuccà.  Il monastero nasce dopo il 904; nel 921-22 risulta in piena attività. Nasce in un sito sperduto tra il folto dei boschi, in un ambiente naturale caratterizzato dall’esistenza di numerose grotte nei cui ambienti lo Speleota dispone e articola i vari servizi necessari ai frati, dalla chiesa dove officiare (nella grotta più spaziosa ed ancora oggi in parte esistente), alla cantina, alle celle, e non manca una salina, il mulino, un palmento, mentre alla sepoltura dei frati inizialmente si provvede per lo più nelle stesse grotte. Poco discosto da questo complesso rupestre, una piccola sorgiva scende dal monte e crea un rigagnolo dal percorso più o meno scosceso, che arriva fino al sottostante torrente: e anche questa sorgiva trova un posto nel bios dello Speleota (certo di gran lunga minore di quello dell’acqua che gocciola dal soffitto della grotta grande, resa miracolosa dal santo), perché risultava comoda e indispensabile per la vita quotidiana del monastero, servendo a tutte le faccende di ordinaria quotidianità, non escluso per irrigare gli orti e i giardini dei monaci.

Lo Speleota, meno girovago dell’omonimo Elia, del quale fu amico devoto, lascerà raramente il suo monastero che, come avremo modo di osservare, nel 1110 possedeva alcune terre nei Piani della Corona che si protendevano fino al mare. Forse terre che già erano appartenute al monastero delle Saline!?. O il nascente monastero dello Speleota ebbe anch’esso a beneficiare (indirettamente o direttamente) delle donazioni imperiali!?. O semplicemente quelle terre vennero ad esso affidate in occasione dell’ipotizzato trasferimento del monastero delle Saline!?. Ed al riguardo ci si chiede se tutti i monaci del monastero delle Saline avessero accettato di migrare nella nuova sede, o, a quanto crediamo, se una buona parte di essi avesse preferito rimanere negli antichi luoghi e dunque abbia confluito nel monastero dello Speleota. I documenti a noi noti non sono sufficienti ad offrirci risposte esaurienti, e tanti sono gli interrogativi ancora aperti, anche se tutto lascia credere che il monastero dello Speleota abbia anch’esso beneficiato delle terre donate dall’Imperatore, magari al tempo del trasferimento del Monastero Imperiale delle Saline, ottenendone una parte in conduzione, ovvero quelle ad esso più prossime o confinanti, e in particolare quelle terre che arrivano fino al mare e di cui ci parlano quei pochi documenti del tempo, e che non sono di certo in zone nascoste[14].

 Sappiamo con certezza che l’amicizia che legò in vita i due santi omonimi fu leale e sincera, come i legami di amicizia e di fede che si instaurarono tra i loro rispettivi monasteri, al punto che, dopo la morte dello Iuniore, e fino al 960, lo Speleota ebbe modo di intervenire, e anche di governare a più riprese, nel monastero delle Saline, e addirittura alla venerabile età di novantasei anni, sentendo l’approssimarsi della sua ultima ora, egli trova la forza per andare a rendere omaggio alla tomba dello Iuniore. La breve distanza che separava i due insigni monasteri è manifesta, e solo grazie alla sua ubicazione, più appartata e recondita, discosta dalle usuali vie di comunicazione adoperate dai normanni, nonché per la sua estrema vicinanza al castron bizantino di Melicuccà, pure esso pressoché ignorato a livello logistico dai normanni, che preferivano luoghi più aperti, potenzialmente meno ostili, e vicini alla fascia costiera, il monastero dello Speleota sopravviverà a lungo nel suo luogo di origine, cosicché le notizie su di esso non vengono mai meno, e ce lo danno ancora in vita, anche se in estrema decadenza, allorché il sisma del 1783 ne fa crollare le volte di arenaria, sconquassando la gran parte delle grotte nei cui ambienti il monastero si articolava. La storia dimostra che i normanni del gran conte Ruggero portarono gran rispetto verso questi due monasteri greci, anche se la particolare ubicazione fu fatale al monastero dello Iuniore, mentre all’altro venne data la possibilità di sopravvivere per un grande arco di secoli.

Il sisma del 1783 sarà fatale, oltre che al monastero dello Speleota, anche a quello di S. Elia Nuovo e S. Filareto, e, per uno strano gioco del destino, legati l’un l’altro fin dalle loro origini, si avvieranno assieme verso l’estinzione.

LA CHIESA ED IL MONASTERO DI SANTA MARIA DI SANT’EUFEMIA

  1. Maria di S. Eufemia fu la prima, in ordine di tempo, delle grandi fondazioni monastiche create dai normanni nell’Italia meridionale. Deriva il nome da S. Eufemia, la nobile fanciulla calcedonese che subì il martirio nel 307. Chiesa e monastero, siti in piena campagna nella contrada Terravecchia, presso Gizzeria, (a breve distanza da dove poi venne eretta la torre dei cavalieri di Malta), e dunque non distante dall’attuale abitato di Lamezia Terme, nascono per volere di Roberto il Guiscardo, che nel 1062 ne rilascia quel presunto diploma di fondazione nel quale vien detto che egli restaurò “unam (ecclesiam) quondam fundatam, sed malis habitatoribus dirutam”[15].

Tappa emergente fra i monasteri latini insediati dai normanni in Calabria, il monastero e la chiesa di S. Eufemia erano  ben visti dalla chiesa di Roma, e godevano altresì del munifico sostegno della nobiltà normanna al seguito di Roberto il Guiscardo, che in quella comunità religiosa, proveniente quasi per intero dai ranghi più elevati della nobiltà normanna, riconosceva tutto il prestigio e la gloria della propria stirpe. Probabilmente, alle sue origini, esso fu secondo solo alla chiesa e al monastero della SS. Trinità di Venosa, dalla quale, forse per motivi di carattere essenzialmente organizzativi e costituzionali, ebbe inizialmente a dipendere. I suoi primi abati, e senza eccezione, così come sopra accennato,  traevano origine dalla nobiltà cavalleresca normanna e, almeno agli inizi, nessun altro monastero nell’intera Calabria poteva stargli alla pari. Esso costituì la prima tappa dei modi architettonici portati dai benedettini nella Calabria d’allora; nel suo capitolo v’era quanto di meglio l’intelligenza monastica del tempo poteva offrire, sia come nobiltà, che come cultura religiosa. Il grosso dei suoi possedimenti comprendeva tutta l’odierna Piana di Sant’Eufemia, dalle rive del golfo omonimo col suo porto, fino alle opposte pendici montuose. Anche il gran conte Ruggero, prima di fondare la chiesa di Bagnara, s’interessò favorevolmente a tale istituzione, verso la quale i due fratelli Altavilla ed i loro successori ebbero sempre gran rispetto; gli ultimi monarchi normanni le concessero in feudo la città di Nicastro. Nei momenti più aspri della contesa tra papato ed impero, il monastero mantenne un atteggiamento di aperto favore verso Federico II e la causa dell’impero, cosa che gli costerà cara, poiché estirpata definitivamente l’eredità normanno-sveva, verrà devoluto all’Ordine Ospedaliero dei cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme, poi meglio conosciuti come Cavalieri di Malta,  che ne faranno un loro importante priorato[16].

A ricordo della sua grandezza e del suo indiscusso prestigio va detto che in esso  vi trovarono degna sepoltura Fredesenda, madre del Guiscardo e di Ruggero; e ancora, Ruggero, figlio di Scolcando, e suo nipote Gilberto, caduti nel 1065 durante l’assedio di Aiello Calabro (prov. di Cosenza), ed i cui beni vengono devoluti all’Abbazia di S. Eufemia “pro ipsorum salvatione”[17].  Ma, strano a dirsi, nonostante il monastero, per lo meno alle sue origini, avesse goduto dei favori di Roberto il Guiscardo, soprattutto, nonché di suo fratello Ruggero, tanto da divenire quasi scuola e luogo di raccolta della più valida e prestigiosa intelligenza monastica del tempo, la memoria dei suoi inizi si conserva grazie a poche testimonianze e dunque ai nomi dei primi vescovi siciliani che da esso pervennero. E nonostante fosse stato riccamente dotato di terre e di beni (dei quali quelli sui Piani della Corona sono da considerare periferici), come il Pontieri afferma “Nulla ci è dato oggi conoscere intorno all’azienda agricola della nostra abbazia: l’edalità del tempo ha disperso o distrutto ogni cosa (…) nulla tranne il diploma di fondazione e di qualche altra carta, è venuto alla luce della prima abbazia fondata dai Normanni in quella regione”.  A dispetto di quanto afferma Orderico Vitale, totale è il silenzio delle fonti su di una sua solenne consacrazione alla quale avrebbe preso parte il vescovo di Cosenza Arnolfo, mentre numerosi e sicuri sono i legami del Guiscardo con questa abbazia[18].

E’ stato scritto che questo monastero – passato nel giro di vent’anni da dodici a cento monaci – fu il seminario in cui studiarono tutti i primi vescovi delle ricostituite diocesi della Sicilia normanna” ma “Tutte queste affermazioni (derivate dal Pirri e ripetute dopo di lui da numerosi storici)[19], sono da prendere colla massima cautela, quando non sono da rigettare come del tutto false, come ha dimostrato il prof. N. Kamp[20].

Tuttavia è probabile che in quel monastero o in quelli ad esso affiliati della Trinità di Venosa e della Trinità di Mileto abbiano per lo meno soggiornato, per un periodo più o meno lungo, un buon numero di vescovi ed abati siciliani della prima generazione normanna, fra cui risalta Ansgerio, primo vescovo di Catania.

Come già accennato, tra il 1087 ed il 1088 il Gran Conte di Calabria e di Sicilia deve aver soggiornato a S. Eufemia, ed in tale circostanza egli deve aver incontrato anche il priore Ansgerio, monaco bretone della seconda generazione cresciuta alla scuola dell’abate Roberto ( + 1082); e con suo diploma del  09 Dic. 1091 che si considera come l’atto di fondazione dell’abbazia benedettina di S. Agata a Catania, stabilisce altresì che Ansgerio ne sia l’abate; al contempo lo designò vescovo della rifondata sede vescovile di Catania, e a lui ed ai suoi successori affidò pure l’autorità di signore feudale[21].

Come afferma Alessandro III in una bolla del 1168, Ansgerio si presentò ad  Anagni al papa Urbano II per farsi consacrare abate. Il papa lo rimandò a Catania insignito della dignità episcopale per sé e per i suoi successori nel governo del monastero di S. Agata. E tale consacrazione trova diretta conferma nella bolla di Urbano II emanata in data 09 Marzo 1092.

Premesso questo a titolo di estrema sintesi, rammentiamo che il diploma di fondazione di tale chiesa ci è pervenuto in varie copie notarili, non più antiche del secolo XVI. Esso non manca di suscitare seri dubbi e forti perplessità per quanto concerne il contenuto, anche se, come dimostra Leon Robert Menager, nel complesso può ritenersi valido. Purtroppo, una delle parti più enigmatiche ed oscure di esso, concerne il monastero imperiale di S. Elia, al quale, come dicemmo, l’imperatore bizantino Leone VI, tra il 904 ed il 912, concesse non pochi beni terrieri che dai bordi più interni dei pianori della Corona si spingevano fino al mare.

Anteriormente al 1110 (anno della prima sentenza), si apre ufficialmente una lunga contesa giuridica, tra l’Abbazia di S. Eufemia e la Chiesa di Bagnara, una vertenza che ha per oggetto, anche ed in special modo, delle terre site sui Pianori della Corona, terre periferiche al monastero di S. Eufemia, ma incluse entro i domini del feudo della chiesa di Bagnara e di somma importanza per quest’ultima. E sappiamo altresì che l’abbazia di S. Eufemia, grazie alla documentazione in originale prodotta dalla Chiesa di Bagnara, esce, in certo qual modo, perdente da tale confronto. Dunque tra l’altro non corrisponde a verità che le terre ed i beni del monastero imperiale di S. Elia, fossero stati devoluti in toto alla chiesa di S. Eufemia; viceversa abbiamo ragione di sostenere che tali beni vennero, inizialmente, incamerati nel demanio e in buona parte dati o lasciati in conduzione a terzi[22], e poi, mutate le condizioni politiche e sociali, in tempi e modi diversi, negli anni ‘80 suddivisi e donati, in toto o in parte, alle altre tre grandi istituzioni religiose di cui ci stiamo occupando: Monastero di S. Elia lo Speleota (che gli era limitrofo), il monastero di S. Eufemia, ma soprattutto, anche se ultimo in ordine di tempo, il monastero di Bagnara con la cui fondazione il gran conte Ruggero afferma il suo prestigio, tanto da elargire ad esso una buona parte delle terre già appartenute al Monastero delle Saline il cui trasferimento dovette avvenire proprio negli anni che vedono la nascita di tale chiesa[23]. Ciò premesso, non si esclude che, anteriormente al 1087, o forse proprio in tale anno o poco appresso,  a seguito della visita che il gran conte fece al Monastero di S. Eufemia, egli avesse provveduto a delle donazioni di terre già facenti parte del monastero imperiale delle Saline, o per lo meno, prossime a quelle di tale monastero, terre che si trovavano entro i territori di Melicuccà e Seminara, probabilmente lungo quella strada che da Seminara porta a Palmi ed al monte S. Elia, oppure lungo l’altra sopra citata che dallo svincolo di Bagnara dell’A3 conduce al Monastero dello Speleota e a Melicuccà. Certo sappiamo che nella lite insorta tra il Monastero di S. Eufemia e la Chiesa di Bagnara, S. Eufemia presenta a testimoniare in suo favore gente del Monastero di S. Elia lo Speleota, di Melicuccà e di Seminara, città quest’ultima che ai tempi di cui trattiamo, aveva la giurisdizione sulla maggior parte dei territori dei pianori della Corona, specie quelli prossimi alla costa.

E’ comunque appurato che la Chiesa di S. Eufemia possedeva, in quelle contrade, le terre che a suo tempo il conte Ruggero le aveva donato.

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CONCLUSIONE

Se le istituzioni in questione non fossero così importanti, e messaggere, ognuna a suo modo, di così alti valori a livello religioso, politico e sociale, certo non avrebbero meritato l’onore della cronaca. A nostra parziale discolpa basta quanto sopra, mentre siamo perfettamente consapevoli che ognuno di questi monasteri avrebbe meritato più attenzione e approfondimenti. Molte delle nostre considerazioni nascono da studi già fatti, come l’ipotesi dello smembramento del Monastero Imperiale, della donazione alla nascente chiesa normanna di Bagnara della maggior parte delle sue terre, e dunque non ci siamo soffermati più di tanto. Lo stesso si può dire per il casale di Clazano, di cui abbiamo proposto l’ubicazione proprio su Calabria Sconosciuta, e le terre cosiddette Sparta, che non siamo riusciti a localizzare. Risalta comunque il fatto che ogni monastero fa capo ad una tenuta agricola non irrilevante, e tutti e quattro si trovano ad operare nello stesso territorio gomito a gomito, e le tenute dell’uno stanno a contatto con quelle dell’altro, e così i loro allevamenti di bestiame.

Poi, scomparso il Monastero Imperiale, rimarranno gli altri tre, e fra questi quello di Bagnara di più recente fondazione sarà quello che nell’immediato finirà per imporre la sua supremazia territoriale, mentre, come accennato, il monastero dello Speleota sembra rimanesse nell’orbita di quello di S. Eufemia per venire secoli appresso, in certo qual modo, fagocitato nell’ambito della giurisdizione dei Cavalieri di S. Giovanni di Gerusalemme (cui il monastero di Sant’Eufemia era stato sottoposto), e dunque a partire dal XVII sec del Priorato di Melicuccà (sempre dei suddetti Cavalieri). Sono tutti argomenti della nostra storia locale sui quali non si è fatto ancora pienamente luce, e forse non ci riusciremo mai; su diversi particolari resteremo allo stato delle ipotesi, ma è doveroso, per quel poco che ancora a livello archeologico e documentario ci resta di quei secoli (il monastero dello Speleota, le grotticelle di Caforchi, le citazioni delle terre, delle colture, degli allevamenti e quant’altro), tenere viva la memoria ed in special modo l’interesse per queste gemme della nostra storia.

[1] Gli anni di nascita e di morte di entrambi sono frutto di una ricostruzione cronologica basata soprattutto sui rispettivi bios, e non sono scevri da qualche dubbio e perplessità, soprattutto nel caso dello Iuniore. Quelli da noi offerti sono i dati comunemente accettati.

[2] Vedi Carati Alessandro, Vertenza tra il monastero benedettino di S. Maria di Sant’ Eufemia e la Chiesa di s. Maria e dei XII Apostoli di Bagnara sulle terre in quel della Corona e Sparta, in Rivista Storica Calabrese, Anno IX, Numeri 1-4, Gennaio – Dicembre 1988, donde entrambi i documenti del 1110 e 1168 vengono analizzati e discussi. Kehr Karl Andreas, Die urkunden der normannisch-sicilischen konige – Eine diplomatische untersuchun – Buchhandlung, 1902, pp. 413-15 per il diploma di Adelasia. Evelyn Jamison, Note e documenti per la storia dei conti normanni di Catanzaro, p. 465 e segg. in Archivio Storico per la Calabria e la Lucania, Anno I – MCMXXXI donde si riporta il testo critico del diploma del 1168; vedi anche Carati Alessandro, Clazano, fuori dalla storia e nella storia., in Calabria Sconosciuta (Rivista trimestrale di cultura e turismo), Anno XII (Lug. -Sett. ) 1989, pp.55-58.

[3] Si rimanda ai pochi e scarni studi in materia e soprattutto ai bios dei due santi: Giuseppe Rossi Taibbi (a cura di – ), Vita di sant’Elia il Giovane, ISSBI, Palermo 1962; Giovanni Minasi (a cura di -), Lo Speleota, ovvero S. Elia di Reggio di Calabria, monaco basiliano nel IX e X secolo, NA 1893.

[4] Le terre della Scrisa, che seguono quelle dei Piani di Sant’Elia, anche se ci sfuggono nei loro contorni storici, non vanno escluse dalle nostre attenzioni, perché formano quasi un tutt’uno con quelle dei Piani di Sant’Elia.

[5] Giovanni Minasi (a cura di -), Lo Speleota, cit. p. 167

[6] G. R. Taibbi, Vita di Sant’Elia il Giovane, cit. p.75

[7] Per tutto quanto sopra e per ulteriori particolari si rimanda al bios del santo a cura di G.R.Taibbi. Delle donazioni si parla a p. 121.

[8] NILO, Vita di S. Filareto di Seminara, a cura di Ugo Martino, Falzea ed., Reggio Calabria 1993, p. 135.

[9] Carati A., Clazano, cit., p. 55 e segg., donde si parla più in dettaglio delle terre e dei documenti che ce le presentano, nonché delle attività agricole e pastorali in uso, e non per ultimo delle attività di pesca.

[10] La sorgente Caforchi nasce da una parete nascosta tra i rilievi, in mezzo ad una cesura di questi, dando origine ad un fiumiciattolo che poi scorre lungo il vallone omonimo fino ad arrivare a Seminara. A pochi metri da tale sorgente, sul lato sx lungo la parete del rilievo si aprono alcune grotticelle, non profonde, di piccolo ambiente, con qualche mensolina scavata all’interno, piene di graffiti di varia epoca, il cui ingresso e le cui dimensioni sono del tipo di quelle che ancora si possono ammirare in quel di Terreti, essendo però queste ultime di gran lunga più vaste ed articolate. Le nostre grotte, a differenza di quelle di Terreti,  sembra ospitassero pochi frati che li vicino possedevano, tra le altre cose, i loro orti e giardini; infatti, come per miracolo, poco appresso le grotte la parete s’interrompe, il rilievo si appiana, e si distende un amena radura, a cui pone termine un nuovo incalzare dei rilievi che concorrono a formare il cuore del Vallone Caforchi, lungo la cui stretta gola il torrentello discende alla volta di Seminara. E’ al momento impossibile stabilire a quale dei nostri due monasteri appartenesse l’insediamento monastico di Caforchi. Dista poco più di tre chilometri in linea d’aria dal monastero dello Speleota; mentre essendo in contrada Paparone è confinante con Madonna delle Nevi da cui agevolmente lungo il piano si perviene al vicino Monte S. Elia ed alle relative contrade.

[11] Possiamo grosso modo prendere come data orientativa dell’avvenuta conquista la caduta di Reggio nel 1060, osservando che sottomettere militarmente non significa necessariamente ottenere subito il diretto e totale controllo di luoghi e città.

[12] <<Dedi quoque Imperiale Monasterium Sancti Eliae cum villanis et omnibus pertinentibus et appendicibus suis,  sicut in monumentis eiusdem Ecclesiae continentur;…>> così dice il diploma di fondazione del 1062, a noi pervenuto in copie di diversi secoli posteriori, manifestamente manipolate e non scevre da lacune , soprattutto a carattere diplomatico e storico, di cui la versione offertaci dall’Ardito (Spigolature storiche sulla città di Nicastro, Nicastro1889), sembra, nonostante il permanere delle diverse inesattezze, avere trovato forme e modi espressivi  più “corretti e conformi”.  Al riguardo la Falkenhausen  dice che “presumibilmente si tratta del monastero di S. Elia Speleota” [ Vera Von Falkenhausen, Mileto tra Greci e Normanni, in AAVV, Chiesa e società nel Mezzogiorno, Studi in onore di Maria Mariotti, Rubbettino ed., Soveria Mannelli 1998, Tomo 1, p. 122]. Sta di fatto che il monastero dello Juniore venne detto Imperiale per le donazioni ricevute, e che sulla sua scia di quelle, anche il monastero dello Speleota ricevette delle donazioni,  e poi, scomparso il primo, il monastero dello Speleota, che gli sopravvisse fino alla catastrofe del 1783, rimase più nell’orbita del monastero di S. Eufemia o sarebbe meglio dire in quella del priorato dei Cavalieri di San Giovanni di S. Eufemia, cui nel corso del XV secolo venne sottomesso, pittosto che in quella del monastero di Bagnara. Sta di fatto, e la lunga controversia della chiesa di S. Eufemia con quella di Bagnara lo dimostra, che entrambe queste fondazioni normanne possedevano beni che con ogni probabilità erano appartenuti al Monastero Imperiale di S. Elia, a loro pervenuti (come chiaramente ci riferiscono i diplomi del 1110 e 1168), per donazione del conte Ruggero, e che anche il monastero dello Speleota possedeva beni in quegli stessi luoghi.

[13] SCADUTO MARIO, Il monachesimo basiliano nella Sicilia medievale (Rinascita e decadenza: sec. XI-XIV), Roma 1982, pp. 185 e segg.

[14] In particolare il cosiddetto Diploma di Adelasia del 1110, e la sentenza del 1168, per i quali rimando ai miei studi sopra citati.

[15] PONTIERI  ERNESTO, Tra i Normanni nell’Italia Meridionale,  …..pp. 300 e segg.

[16] Valente Gustavo, Il sovrano militare ordine di Malta e la Calabria, Laruffa ed., RC 1996, p.101. L’A. afferma che l’insediamento dei Cavalieri di S. Giovanni di Gerusalemme (noti in seguito come Cavalieri di Malta),  “si realizzò tra il 1275 e il 1279, cioè nel giro di appena quattro anni.”

[17] Goffredo Malaterra, Ruggero I e Roberto il Guiscardo (con introduzione, traduzione e note di Vito Lo Curto), F. Ciolfi ed., Cassino 2002, l. II, c. 38, p. 159.

[18] Pontieri, idem p. 307. Sulla consacrazione dell’abbazia ed i rapporti con essa avuti dal Guiscardo Cfr. PRATESI ALESSANDRO, Carte latine di abbazie calabresi provenienti dall’Archivio Aldobrandini, Città del Vaticano 1958 (rist. anastatica Dini, Modena 1981), p. XIII.

[19] Lynn Townsend White jr.,Il monachesimo latino nella Sicilia normanna (traduzione di Andrea Chersi), Dafni Ed., CT 1984, p.164 n.6.

[20]  N. Kamp[20], I vescovi siciliani nel periodo normanno: origini sociali e formazioni spirituali, pp. 63, 89, in AAVV,  Chiesa e società in Sicilia, L’età normanna, a cura di Gaetano Zito, Soc. Ed. Internazionale, Torino 1995.

[21] Spinelli Giovanni, Il monachesimo benedettino della Sicilia orientale nella prima età normanna, in AAVV,  Chiesa e società, cit., p. 161; Zito Gaetano, Storia delle chiese di Sicilia, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2009, pp. 361-362.

[22] E non è da escludere che fra costoro vi fosse anche quel W. Presbitero di cui si parla nel diploma di fondazione della chiesa di S. Maria e dei XII Apostoli di Bagnara (a. 1085).

[23] In separata sede, in base ad un disegno riportato in un documento ancora in fase di pubblicazione, stiamo trattando l’ipotesi che prima che venisse fondata la chiesa di Bagnara, sulla Rupe di Marturano ci fosse un avamposto militare del conte Ruggero, ceduto dallo stesso alla nascente Chiesa di Bagnara  assieme all’ intera rupe ed alla “terra Balneareae”.

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