Castello – palazzo, Che confusione!!!!

<>
<>
<>

 tra ignoranza popolare e opportunismo politico

 

Specificazioni cronologiche tratte da una semplice nota di uno studio sulla Bagnara del cinquecento a cura del dott. Alessandro Carati di prossima pubblicazione.

Per fare chiarezza su un luogo dove tutti tentano di trovare origini antiche per vanto o per opportunismo, riteniamo sia utile dare un brevissimo cenno cronologico delle varie denominazioni storiche. Specificazioni ulteriori e dettagli saranno esposti nella pubblicazione dello studio su Bagnara nel cinquecento a cura del dott. Alessandro Carati.

Nota numero 1 dalla pagina 1 del libro citato

“A premessa di quanto in seguito si tratterà, diamo le varie denominazioni a cui il castello ed il palazzo (che spesso vennero confusi tra di loro), andarono incontro.

Castello reale (sorto per volontà regia a fine XIV inizi XV sec.), poi castello Ruffo (allorchè questi ne divengono signori a partire dal XV – XVI sec); il castello in breve volgere di tempo convive con il palazzo padronale costruito attorno alla seconda metà del cinquecento a ridosso della cortina muraria che stava all’ingresso della città); poi palazzo ducale (sorto verso la fine del 600 a fianco della chiesa normanna, occupando quasi per intero il suolo del castello regio oramai distrutto); infine Castello Emmarita, impropriamente detto Castello Ruffo, costruito ai primi del ‘900 su luoghi di pertinenza al castello regio, ovvero presso le fabbriche del corpo di guardia e del mastio, a fronte del ponte levatoio. Il suddetto Castello Emmarita non ha nulla a che fare con il casato dei Ruffo, e coi duchi di Bagnara in particolare. Costoro, fin dai primi decenni dell’ottocento avevano perso tutti i beni che avevano in Bagnara e altrove in Calabria, e già dagli inizi di quel secolo potevano ritenersi completamente estranei alla città. Come si può notare le varie denominazioni che si susseguirono nel corso dei secoli, e di cui la memoria popolare e scarsi documenti tramandano il nome, confondendo talora il palazzo con il castello, alla luce di una nuova interpretazione delle fonti, trova, anche laddove si son formulate ipotesi, una perfetta definizione. Dopo il terremoto del 1783 una porzione di terreno semplicemente omologata come castello << diruto>>, e che, a quanto sembra, corrispondeva quasi per intero all’area del castello regio, diviene proprietà della società Patamia-De Leo, e su di una parte terminale di quelle rovine, dove mai sorse un palazzo o un castello, a levante, lato monte, presso le fabbriche del mastio e del ponte levatoio (come accennato in precedenza) verrà fabbricato, ai primi del ‘900 l’odierno edificio che poi sarà chiamato Castello Emmarita, (albergo e ristorante), che l’ignoranza popolare e l’opportunismo politico denominarono Castello Ruffo.  Lo tratteremo sommariamente, per grandi linee, soprattutto perché in esso sono confluiti pochi avanzi, sopravvissuti al terremoto del 1783, già appartenenti al palazzo Ruffo e alla zona militarizzata dove sorgeva il castello e anche perché sorto presso il luogo dove venne costruito il mastio che può ritenersi il fulcro di un castello ancora più antico e dunque precedente a quello. Per quanto concerne l’altra parte di suolo adiacente a detto Castello Emmarita, anch’essa un tempo occupata dagli ambienti militari, e divenuta proprietà dei Patamia, già nel 1847 vi risulta costruito un edificio di due o tre piani (come chiaramente mostra un disegno di E. Lear eseguito in tale anno), e su di essa non abbiamo riferimenti particolari, considerando che anche le scarse o minime emergenze recuperate, vennero disperse o confluirono poi nel Castello Emmarita. Nel complesso, poco o niente ci rimane di quanto apparteneva alla zona militarizzata e a all’antico palazzo accennato, si trova sepolto sotto le macerie e in minima parte presso l’atrio all’entrata del Castello Emmarita, ad ornare quella che definiremo una ricostruzione di loggia massonica. Per tante altre svariate seducenti ipotesi e tesi si possono consultare i vari siti internet che ne offrono a sazietà, e che non di rado sanno trasformare la storia in una bella favola per grandi e piccini.”

<>

Post Author: Gianni Saffioti