La grande importanza della cultura e delle tradizioni popolari

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La grande importanza della cultura e delle tradizioni popolari

di Gianni Saffioti

8 novembre 2004 agg. 18 settembre 2011

La ricerca che riesce ad andare avanti nonostante i soliti e nuovi prepotenti.

La grande importanza che hanno le tradizioni popolari ed il loro studio: come concezione del mondo e della vita e non in senso pittoresco; ci daranno in futuro dei risultati molto interessanti se verranno esaminate con metodo scientifico da veri studiosi e non da storici improvvisati.

 Se cosi non sarà, il buio persisterà ancora sulle nostre culture e tradizioni e si continuerà ad assistere al tentativo stupido e palliativo di associare le tradizioni popolari alle locandine, agli opuscoletti pubblicitari, libri o supporti magnetici di vario tipo, che periodicamente vengono distribuiti in maniera massiccia con la scusa di dare incentivo all’economia ed alla cultura. Il contenuto di questo materiale è sempre misero e lacunoso, quando non è zeppo di grossolani errori grammaticali, che fin quando sono fatti da dilettanti come noi, possono anche passare, ma quando portano la firma di amministrazioni o scuole, la cosa diventa molto più seria è preoccupante, gravissime sono anche le copiature di idee già realizzate gratuitamente ed imbellite a festa per sprecare soldi pubblici alla faccia del cittadino onesto,

Il folclore bagnarese è fatto di intrecci culturali che nel corso dei secoli si sono sempre più complicati man mano che il potere ed il dominio sul popolo e sulla nostra terra cambiava colore e nazionalità.

Dopo tutti i padroni che sono passati sulle nostre terre precedentemente all’epoca normanna che hanno lasciato segni più o meno tangibili della loro presenza; dicevamo, dopo i normanni che storicamente segnano l’anno zero della nascita della nostra cittadina, ancora nuovi padroni ad influenzare la nostra cultura, arabi, svevi, angioini, borboni, francesi, piemontesi, e fino alla seconda guerra mondiale col passaggio ancora degli alleati inglesi e canadesi dietro ai tedeschi.

Tutt’oggi la nostra vita e la nostra cultura vengono enormemente manipolate dai mezzi di comunicazione che volontariamente o meno, tutti, dai giornali alla televisione, dalla radio ad internet, fanno a gara ad imporci la loro verità e volontà.

Se è vero che « a cardata ra cruci » simbolo di prosperità inciso con le unghie dal fiocinatore sulla guancia destra del pescespada infiocinato, non è altro che la trasposizione di un antichissimo simbolo che i cacciatori di orsi usavano incidere sulla parte destra della testa dell’animale ucciso, volendo simboleggiare il rombo della sezione del midollo spinale della preda, di cui erano ghiottissimi; è anche vero che quotidianamente usiamo sofisticatissime tecnologie derivanti da evoluzioni di scoperte ed esperimenti semplicissimi che ci portano indietro nel tempo, alle scienze più elementari senza le quali oggi non usufruiremo di molti servizi.

Esempi di intrecci di influssi culturali di epoche diverse si trovano si trovano un po’ ovunque nella quotidianità cittadina.

Li troviamo nei racconti popolari che ci parlano di saraceni che avevano il loro nascondiglio nella grotta delle rondini e che saccheggiavano il paese e rapivano le donne; oppure nelle storie confuse di monaci incappucciati che nella notte terrorizzavano la popolazione.

Si trovano anche nel dialetto, anche se personalmente ritengo prevalentemente mamertino, dove però ci sono influssi fortissimi del greco, del latino, dell’arabo, dello spagnolo, del francese e poco anche dell’inglese.

E’ soprattutto si trovano nel modo di essere e di vivere differente da rione a rione, con maggior attenzione a quello di Marinella dove varie razze formano una popolazione non certamente omogenea ma che fino a qualche decennio fa si occupava esclusivamente di pesca. Grandi uomini bruni di carnagione e neri di capelli, tipicamente mori, vivono assieme ad altri di tipo biondo e di carnagione chiara. Gente ancora oggi vigile ad antiche tradizioni che nel resto del paese sono andate perse, come “ a Cunsinna” ovvero la presentazione della dote della sposa; ed ancora il ballo della tarantella, con tanto di mosse e parole sconce, ballata prevalentemente il giorno della festa della madonna del rione.

Usanze vecchie e realtà nuove rendono difficile una ricerca lineare delle tradizioni popolari, sia a Marinella che nel paese tutto, dove fino alla fine della seconda guerra mondiale, si viveva quasi a camere stagne, ed ogni rione si interessava delle proprie attività: la pesca quasi totalmente a Marinella ed al Canneto, il commercio e quindi l’approdo dei bastimenti al Rione Valletta, i boschi ed il taglio dei castagni ai mannisi del rione Porelli, i coffari al centro, al rione inglese ed alla Valletta, gli artigiani in prevalenza nel vecchio centro cittadino di via Arangiara e dintorni, assieme a molti agricoltori e molti depositi di olio o altro genere lungo le vecchie strade del centro storico aggrappato da Maturano alla chiesa del Carmine.

Grazie a questo modo di vivere, scarso di comunicazioni, durato fino alla caduta del fascismo e la fine della seconda guerra mondiale, le influenze dialettali variano sensibilmente, (ogni anno comunque sempre meno), da rione a rione, e lasciando da parte Marinella che in proposito merita uno studio più approfondito, e non tenendo conto delle frazioni di Solano, Ceramica e Pellegrina, che hanno dialetti tutti particolari e completamente diversi dal centro; passando da una periferia all’ altra della cittadina, in poco più di un chilometro quadrato di territorio densamente popolato, le differenze dialettali, soprattutto delle persone anziane, di chi ha vissuto sempre nello stesso rione, si sentono tutte.

Di diverse sfumature sono anche i racconti di fatti accaduti e che hanno fatto storia nella memoria della gente: a secondo se chi li racconta è o era pescatore o contadino e quindi della parte bassa o alta del paese, era carmelitano o rosariano, se nella guerra era stato pro o contro i fascisti, se i suoi antenati erano del partito dei Bianchi o del partito dei Rossi, se erano benestanti o vivevano alla mercè di questo o di quel padrone; e tante altre cose ancora che ci confermerebbero la difficoltà di trovare una cultura popolare omogenea tornando indietro di soli pochi decenni.

Fino agli anni del primo dopoguerra(1943 / 45), dunque una concezione di vita molto più semplice e priva degli interessi e delle problematiche di oggi, ci dava Bagnara divisa in piccole società dentro la società, dove si era carmelitani o rosariani, per De Leo o per Morello, per i Bianchi o per i Rossi, e si arrivava a litigare in malo modo per difendere questa o quella fazione.

Discussioni accese e violenti diverbi accompagnavano le bande musicali cittadine, le decisioni politiche, le feste religiose.

Si racconta che durante il ventennio, due musicanti per un diverbio venutosi a creare con una persona del circolo Bianco, uccisero quest’ultimo.

Ed ancora spaccature politiche e posizioni dure ed opposte tra i partiti quando si doveva decidere di costruire il campo sportivo occupato abusivamente dai commercianti di legname che li depositavano i carichi per l’imbarco sui bastimenti.

Per non parlare delle diatribe fra le congreghe del Carmine e del Rosario, che sfociavano, e spesso anche oggi sfociano, nel fanatismo più ridicolo possibile. Da sottolineare alcuni episodi che vedono come protagoniste alcune donne strettamente rosariane che la domenica di Pasqua in occasione della “ffruntata” , se per caso il tempo si metteva a male tanto da pregiudicare lo svolgimento della funzione religiosa, buttavano giù in strada le polpette che avevano preparato per il pranzo e le lasciavano rotolare lungo la discesa del Rosario dimenandosi il petto ed invocando la Madonna del Rosario che aveva dato cosi grande soddisfazione alla congrega “nemica” che gioiva perché la festa non poteva svolgersi « Maria rosariana chi soddisfazioni chi ‘nci rati. » Gli ultimi episodi del genere,documentati, risalgono agli anni cinquanta.

Molti altri esempi come quello citato, alcuni molto gravi, in special modo se si legge la storia delle due congreghe del centro, ci spingono ad osservare, fino a quel periodo, un popolo aggrappato a questa o quella bandiera pronto ad affrontare ingiustizie ed umiliazioni per difenderla, ed una classe di padroni che impera su di esso in maniera quasi totalitaria.

Ed era quasi uno scandalo se un pescatore o artigiano o contadino andava al bar a consumare un gelato o se camminava con le scarpe in un giorno lavorativo. Ed anche questo, fino agli anni cinquanta, quando non c’erano ancora i servizi igienici in casa ed i garzoni delle botteghe degli artigiani in genere, prima di prendere in mano un ferro del mestiere, portavano per anni alla sera in spiaggia i vasi, colmi dei bisogni che si riempivano in bottega, in gergo chiamato “càntaru”.

Quando ci si rivolgeva al padre con rispetto dandogli del voi e mogli e figli lavoravano anche pesantemente per contribuire all’economia familiare.

Quando la vita sociale del paese, le problematiche legate ad una cittadina circondata dalle colline ed isolata dagli altri paesi, era regolata dal coraggio e la forza delle bagnarote che erano oltre che grandi lavoratrici, unico mezzo di comunicazione con il mondo esterno.

La festa, la curiosità all’arrivo dei bastimenti che significava lavoro di carico e scarico per le donne, e divertimento per i bambini che ci salivano per tuffarsi in mare dai punti più alti.

Le numerose feste religiose che diventavano l’evento più importante dell’anno oltre che per il rito stesso, anche perché si sfoggiavano abiti decenti e si portavano le scarpe sapendo che quel giorno si sarebbe potuto mangiare la carne.

E’ soprattutto il popolo, la gente comune, protagonista della cultura popolare, perché nonostante invasori, principi, signorotti, duchi e politicanti vari, che vediamo ieri come oggi gabellare sempre il cosi detto basso ceto, la storia del paese, quella vera, fatta di lavoro, sudore, sangue, morte, è la storia della gente comune, che muore in mare per dare il pane ai propri figli, che emigra perché non ha da lavorare, che si risolleva dopo i terremoti e le alluvioni, che riesce ad andare avanti nonostante i soliti prepotenti.

8 novembre 2004

Gianni Saffioti

agg. 18 settembre 2011

Post Author: Gianni Saffioti