Il pescatore: storie di uomini, pescespada e pescecani

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Il pescatore: storie di uomini, pescespada e pescecani

un mestiere, una famiglia, una soria

di Pietro Bagalà

 

Il mestiere del pescatore non si imparava a scuola. Si diventava pescatori subito appena nati e, volenti o meno, a questa attività si dedicava tutta una vita intera. Prima di inoltrarci dentro questo mondo misterioso e rude, è bene ricordare che al giorno d’oggi tante cose si sono trasformate e spesso scomparse del tutto. Le trasformazioni si sono velocizzate nella seconda parte di questo secolo, ma ciò non significa che per millenni e fino all’avvento dei motori tutto sia rimasto uguale ed immobile. I bambini, e ci riferiamo alle generazioni di questo secolo e fino alla seconda guerra mondiale, già in tenera età cominciavano a collaborare con i più grandi, facendo dei lavori di manovalanza, tipo: trasferire sulla barca il necessario per la giornata di pesca, oppure ungere le falanghe e spostarle in avanti man mano che la barca scivolava su di esse verso il mare. Spesso stavano tutta la giornata sulla barca ad aiutare e vedere come si fa il mestiere del pescatore.

Questo succedeva quando si svolgeva un tipo di pesca leggera che non richiedeva tanta manodopera. Già a 12-13 anni un ragazzino era capace di governare una barca di medie dimensioni mentre il padre o uno più esperto lanciava in mare il conso oppure lo raccoglieva. Sempre a quell’età, dall’avvento delle passerelle, il suo compito era di stare vicino alla sagola, a prua dell’imbarcazione. Il conso consiste in una lenza lunghissima a cui sono attaccati, tramite braccioli sempre di nailon, dai 50 ai 500 ami. In base alla grossezza del filo e degli ami serve, ancor oggi, per diversi tipi di pesca. Adoperando il conso si possono pescare sia gli squisitissimi surici e pettini, con ami piccoli e lenza corta, sia le alalonghe e pescespada, con ami grossi e lenza lunga. Naturalmente questa pesca, come tutte le altre cambia al variare delle stagioni. La tecnica ed i segreti di essa, come delle altre pesche, si tramanda a via di pratica. Non ci sono carte scritte ma solo occhi per vedere e mani per provare. Solo così si diventava grandi ed autonomi. Un forte contributo al mantenimento del nucleo famigliare lo davano anche le donne ed in special modo quelle sposate. In tutte le foto in cui le vediamo protagoniste, sono sempre al lavoro, lavoro faticoso e duro che le rendeva forti e rappresentative come gli uomini. Ma ciò non deve trarci in inganno e farci pensare che, come molti stupidamente vogliono farci credere, a capo della famiglia ci fossero proprio le mogli e non i mariti oppure che la donna veniva tenuta in così scarsa considerazione da essere soggetta a prestazioni di grande fatica. La realtà era tale che tutti, nessuno escluso, dovevano dare il loro contributo alla famiglia; altrimenti era la fame. La caccia e la pesca al pescespada nello stretto di Messina ed a Bagnara in particolare, sono due attività antichissime che al loro inizio servivano a sfamare gli indigeni del luogo.Con il susseguirsi delle conquiste dei vari popoli che nel corso della storia hanno occupato queste terre, sono invece divenute stretto monopolio delle classi dominanti che si servirono dei pescatori per arricchirsi ed imporre la loro volontà su tutto e su tutti. I pescatori come i contadini e la maggior parte del ceto lavorativo erano considerati fino a qualche decennio fa le classi sociali più basse e quindi più sottomesse e mal ripagate. I Ruffo, che per secoli hanno dominato l’intera zona, furono certamente la famiglia che più di ogni altro in assoluto ha sfruttato la gente e l’economia a discapito di una evoluzione politico economica ed a favore dei propri interessi, creando insieme alle altre famiglie baronali della Calabria e del meridione in generale, le basi dell’attuale sistema di degrado sociale ed economico che oggi subiamo. Un po’ tutte le classi dominanti si servirono del lavoro dei pescatori usurpando loro parte del pescato. E’ documentato che cominciarono i Normanni ad impossessarsi di due poste per la caccia allo spada per donarle ai monaci dell’abbazia costruita su Marturano insieme a tanti altri privilegi su ogni tipo di pesca. Al giorno d’oggi è tradizione per i pescatori di Marinella, che con il passare degli anni hanno avuto un’evoluzione economica non indifferente, lasciare alla chiesa parte del guadagno del pescato. Un rapporto di interessi, e mi riferisco solamente all’ultimo secolo, c’era anche fra il proprietario della barca ed il padrone del terreno dove era situata la posta del guardiano che indicava alla vedetta posta sul falere i movimenti del pesce. Per l’occupazione del terreno, un metro quadrato circa, il contadino ed il suo padrone pretendevano una adeguata ricompensa. Con l’arrivo delle passerelle i pescatori, con grande sollievo, poterono fare a meno del guardiano sulle colline, ponendo fine all’estenuante lavoro di avvistamento che impegnava una persona per dieci dodici ore al giorno tutti i giorni per quattro mesi all’anno.

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Post Author: Gianni Saffioti