Le donne di Bagnara. Articolo del 1959 tratto dal quotidiano la nuova stampa

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LE DONNE DI BAGNARA

Articolo del 1959 tratto dal quotidiano la nuova stampa

Avanzando sotto i carichi immani, grondando sudore, le «bagnarote» si sono messe a cantare. Sono donne fortissime, si mettono in testa un pesce-spada di 150 chili, come fosse un cappellino di piume Chi può cimentarsi con loro? – Gli stessi mariti e fratelli (gente virile e intrepida) dicono: «Non siamo noi a sottometterci, sono loro a imporsi» – E queste donne sono anche belle, costumate e fedeli!

(Dal nostro inviato speciale)

Bagnara Calabra, luglio. Giorni or sono un diafano turista inglese, vedendosi apparire dinanzi all’improvviso due donne di Bagnara (inimmaginabile apparizione), cercò di fotografarle; ma venne impugnato per la giacca da una di queste e riempito di botte, mentre l’altra gli faceva a pezzi la macchina. Sottratto a quelle furie da certi ardimentosi di passaggio, non appena il naso gli smise di sanguinare, a fontana, balbettò: < Are these Calabria’s women ? (Sono queste, le calabresi?) ». Poi si seppe che, giunto per via mare da Genova, era al suo primo incontro con le donne del Sud. E fu inutile cercare di spiegargli che quelle di Bagnara non sono,tanto da considerar calabresi, quanto bagnarote: come dire un fenomeno a sè, unico in tutto il Meridione, anzi in Italia e magari in Europa. Per vederle nel pieno della loro eccezionalità, che si manifesta soprattutto ad ore impossibili, io un mattino dovetti fare una levataccia. Prima delle quattro uscivo dalla rocca medioevale dei Ruffo di Calabria, oggi adibita ad albergo, e per ripidissimi vicoli già solcati da polli, in uno sventolio ,di panni stesi, un brusio di voci musicali, raggiungevo il porticciolo. Le donne si trovavano già sulle spiazzo della cooperativa-pescatori e al mio arrivo non mossero ciglio, benché la mia sola qualità di forestiera curiosa bastasse a rendermi importuna. Erano duecento o forse più, in gran parte giovani, con la pelle color biscotto e gli occhi scuri; però non mancavano gli occhi verdazzurri dovuti ai  barbari  del Nord, nè quegli strani volti d’un bianco di magnolia, che sono abbastanza frequenti in Calabria e sembrano una sfida al sole. Vestivano tutte a un modo, senza distinzione di stato (in altri paesi della costa, Tropea, per esempio, Belvedere o San Domenico, le nubili si riconoscono per la gonna bianca o celeste dalle maritate, che la portano scarlatta e dalle vedove, che sono votate al bruno seppia), con un’umpia sottana a pieghe, ‘u saiu, che nasconde cinque o sei sottogonne e un ginepraio di tasche; un giubbino lungo, ‘u sciammisu, stretto da una cintura sotto il seno; dei gambali di lana dalle caviglie al ginocchio, e i piedi scalzi.

Hanno tanti bimbi

La piazza è ingombra di sacchi, casse, enormi ceste di pesce ancora guizzante, giare alte più d’un metro e canestri colmi di frutta, che le donne sollevano da terra, l’una aiutando l’altra (sono carichi, badate, intorno al quintale) e si mettono sulla testa. Nessuno degli uomini presenti, molti dei quali appena rientrati dalla pesca, alza un dito per aiutarle. Quando sono pronte si muovono in fila indiana, larghe, lente, la testa rigida sull’asse del collo, le braccia alzate a sorreggere il terribile pondo e sciamano a gruppi, dirigendosi alcune verso la stazione per prendere il primo accelerato per Villa San Giovanni (da dove parte ti ferry-boat per Messina), altre imboccando i sentieri dell’Aspromonte; e altre ancora, puntando, lungo la via marina, ai paesi del litorale.

Malgrado faccia giorno, la luna continua a specchiarsi una guancia nel Tirreno, tutto soffuso di luci violette, sul quale si profilano in lontananza le isole Eolie; paiono bolle di sapone e ci si aspetta che la brezza, da un momento all’altro, le deponga sulla spiaggia (qui, tutto è possibile: siamo, non dimentichiamolo, nel mare di Ulisse, proprio là dove l’eroe si fece legare all’albero della nave per resistere al canto delle Sirene). Il richiamo viene spontaneo: le bagnarote si sono messe a cantare. Avanzano sotto i carichi immani, grondando sudore; e mugolano una specie di nenia orientale, ricca di toni acuti. Le strade di Calabria sono avvezze, da secoli, al passo saltellante (e al respiro affannoso) di queste canefore; ma solo qui, tra Palmi e Scilla, le sentono cantare. Che hanno in corpo queste bagnarote? Sa Iddio. Anche a sessantacinque anni, come la Greca, portano pesi sulla montagna, e a trenta, come donna Catuzza, si mettono in testa un pesce-spada di centocinquanta chili, quasi fosse un cappello in piume di colibrì. Poi c’è la storia del pianoforte che, nel periodo dello sfollamento, tre uomini di Reggio Calabria non sapevano come trasportare da una casa in fondo al giardino a un camion in attesa sulla strada, e che una bagnarota si sarebbe fatta issare sul capo, percorrendo fieramente una trentina di metri sotto la pancia dell’armonico pachiderma. Donne simili chi le tocca! chi può cimentarsi con una di esse, rischiando di avere addosso tutte le altre? Infatti, nessuno ci si prova. Non i ferrovieri, che si tengono al largo il più possibile dai carri-bagaglio su cui le bagnarote prendono posto con le loro merci (non molto spesso in regola col peso dichiarato). Non i finanzieri addetti al ferryboat, i quali cercano di non accorgersi che le bagnarote, sempre piuttosto ubertose di forme, sono tuttavia meno grasse nel viaggio di andata, da Villa San Giovanni a Messina, città dei loro scambi in natura (portano frutta, uova, polli, pesce e prendono aghi, filo, calze, tessuti), che nel viaggio di ritorno; fatto inesplicabile se non si pensasse alle cinque o sei sottogonne di cui ho detto, fornite d’un labirinto di tasche, ognuna delle quali può contenere uno o due chili di roba: sale, mettiamo. In Sicilia, per una vecchia legge borbonica, il sale viene venduto in libero commercio a dodici lire al chilo, mentre dall’altra parte dello Stretto costa, a prezzo di Monopolio, quaranta lire. Certe grassezze  possono albergare fino a trentacinque chilogrammi di sale (e persino cinquanta, record segnato di fresco da donna Peppina). Queste cose le sanno tutti. Ma le bagnarote sono quasi sempre povere e hanno una quantità di bambini a casa; poi sono coraggiose; infine, sono bagnarote, le uniche donne che abbiano vinto — se cosi posso dire — la guerra dei sessi. Bagnara, cittadina grande su per giù come Chieri, è un matriarcato. In tutto il resto della Calabria, domina il maschile; e qui, invece, il femminile. Le donne sono la mente che dirige, U braccio che opera. Le iniziative e le culture locali dipendono da esse. La montagna che scende a terrazze sul lido della Marinella è tutta un vigneto perchè le donne vi han portato con la barca il terriccio, le pietre, le barbatelle e se le sono trascinate su per la scogliera. E se il paese, straricco di bellezze naturali, ma privo di tutto il resto, ha l’olio, la farina e le patate che gli occorrono, lo si deve ai traffici di queste donne, che a differenza delle altre di qui non stanno mai a casa (si spingono fino a Catania e Palermo, Napoli e Roma. Nel ’45, al seguito della 5* Armata di ‘Clark, attraversarono i ponti di barche sul Po con degli orci d’olio sulla testa, olio che fu barattato a Piacenza con i cotoni grezzi di cui Bagnara aveva urgente bisogno). A casa stanno i loro mariti che oltre a pescare e rammendar le reti, scopano, lavano, preparano un boccone da mangiare e cantano la ninna-nanna ai piccoli. C’è chi dice che tutto questo sia cominciato al tempo in cui gli uomini dovevano andarsene per tre-quattro settimane alla volta sul mare, se volevano strappargli un po’ di nutrimento. Abbandonate a se stesse, le donne eran costrette ad aguzzare l’ingegno, darsi da fare,- e si sa come temprino il carattere, le difficoltà e i digiuni. C’è invece chi risale all’epoca in cui Bagnara si chiamava Portus Balarus e i senatori romani venivano a curarcisi con un’acqua solforosa, di cui in seguito scomparve la polla. Da quegli antichi, famosi per il carattere e l’impassibile dignità (si rammenti l’episodio del gallo Brenno che, irrotto coi suoi nella Curia, dove i senatori romani attendevano l’invasore, fu indotto dalla loro straordinaria immobilità a crederli di marmo e andò a tirar la barba d’uno di essi), le donne di Bagnara avrebbero assorbito, per una specie di osmosi, tutto il meglio, non esclusa la virile intrepidezza.

Una caccia in mare

Può darsi, ma il bello è che anche i loro uomini sono virili e intrepidi. Basta vederli alla « caccia » del pesce-spada, questo nomade dell’amore, che ogni anno trasmigra dai mari freddi, al pari del salmone e delle anguille, nelle calde acque meridionali, per trascorrervi la luna di miele. (Varrebbe la pena di descrivere questa caccia, non meno emozionante di quella delle balene, raccontata da Melville; ma si andrebbe per le lunghe. Dirò solo che dura due mesi, cominciando dai primi di maggio, allorché folti branchi di pesci-spada maschi, seguiti a poca distanza da branchi di romantiche femmine, compaiono all’imbocco  del golfo, subito avvistati dal « falere », la vedetta di collina. Prima dell’alba vengono messi in mare i « luntri », barche a quattro remi variopinte e snellissimo che ricordano la canoa indiana e sono provviste d’un albero di quattro o cinque metri su cui si issa il « faleroto ». Per ore e ore questo stilita marino, spiando l’azzurra distesa, guida le mosse dell’equipaggio e del lanzatore, che sarebbe l’uomo ritto a prua con la lunga asta della fiocina ad alette, vecchia di secoli. Tutto si svolge secondo un rito antichissimo, restato intatto anche nelle segnalazioni e i richiami lanciati dal « falere », in greco arcaico). Dicevo dunque che gli uomini di Bagnara, rotti alla dura e rischiosa battaglia quotidiana col mare, sono tutt’altro che pusillanimi. Come si spiega, quindi, la loro sottomissione alle donne! Non siamo noi a sottometterci — mi risponde uno — sono loro a imporsi». E la risposta mi pare eccellente. Ah, queste bagnarote. Forse non ho detto che sono anche belle, con un portamento da regine, dovuto allo star sempre diritte sulla schiena, sotto i pesi; e hanno fama di grande costumatezza», malgrado l’estrema libertà di cui godono. Ve ne sono che attendono fedelmente, per cinque e anche dieci anni, il ritorno dall’America del proprio uomo: il quale prima di emigrare le sposò in Municipio per  impegnarle », ma non consumò le nozze, sia per non lasciare alla donna l’aggravio d’un figlio, sia perchè qui il matrimonio è considerato « giusto » solo se benedetto in Chiesa. Le bagnarote che si trovano in questa particolare situazione sono le più inavvicinabili, pare, e selvatiche: non tollerano di esser fotografate da nessuno e portano in tasca un coltello a serramanico, perchè in un paese dove tutto è fuoco, i pensieri, gli sguardi e le parole, non si sa mai.

Clara Grifoni

Post Author: Gianni Saffioti