La pagana saracena di Saro Villari

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Leggenda popolare

di Saro Villari (1893-1961)

Prologo della leggenda

Bagnara Calabra, città marinara, si è sempre distinta per i suoi uomini audaci, valorosi e qualche volta anche temerari. Fra questi ultimi, il grande navigatore Vincenzo Fondacaro, vanto e gloria d’Italia. Grosse barche a vela salpavano dalla nostra spiaggia per raggiungere le terre d’Oriente ove scalavano i carichi di doghe, cerchi, tronchetti, verghelle, ecc. In cambio portavano da quelle terre, lana zucchero, spezie e quanto altro poteva necessitare alla nostra penisola. Ciò veniva esercitato dai nostri marinai nonostante lo scorrazzare nel Mediterraneo e nel Tirreno di barche pirata. Un brutto giorno la nostra gente di mare ebbe la peggio, perì, unitamente alle barche messe a fuoco dopo la spoliazione di tutta la mercanzia. Un legno nero, con equipaggio di saraceni senza Dio, agli ordini di una bella quanto crudele donna; di una pagana anch’essa saracena, seminava il terrore nel nostro mare. Mai più un veliero osò salpare dalla nostra spiaggia; si sapeva che la nave corsara aveva trovato porto dentro la grotta, anch’essa nera. Oggi si chiama grotta delle Rondini, perché in essa dimorano e nidificano le rondinelle. I velieri provenienti da altre spiagge, pur tenendosi al largo della grotta, mai raggiunsero la meta. In una notte di luna, di quel plenilunio che fa vedere la Calabria e la Sicilia unite da una fascia d’argento, la ciurma della nave corsara riposava sulla tolda. Vegliava la pagana con la sua abituale ingordigia. Quando la luna è piena, si sogna anche ad occhi aperti, specie se il canto delle sirene, che la leggenda vuole siano state nei mari della costiera di Bagnara, fanno sentire le loro melodie. La pagana saracena, anche essa con un cuore, ha subito il fascino della luna; ricordò le fattezze del suo “luogotenente” e, con passo lento avanzò verso prora ove vegliava pure, beato dal dondolar del legno alla leggera brezza. Al cenno del “capitano” di seguirla, raggiunsero la poppa della nave ove la” bella”, non più con fare autoritario, lo pregò di cantare una “nenia” per lei. Ubbidiente come sempre, il luogotenente ha cantato; con le nocche delle dita picchiava il ritmo lento sulla panchetta del timoniere, per stabilire ordine alla danza. Ha cantato per la bella condottiera innamorata, per la invitta ed invincibile, le nenie più appassionate. Ferma sui piedini scalzi, a mani aperte posate sulla nuca, la pagana ha danzato. Un sussultar di ventre non coverto, un tremolar di seni nudi, un palpitar di cuore…. le anche della bella cominciarono a vacillare. Quando la luna e piena, è tanto bello amare. Le “Sirene” non turbarono quell’idillio nato nel “legno” che altro non conobbe all’infuori dello scempio delle ire. Dagli occhi languidi della danzatrice sprizzano riflessi d’oro che, soltanto per quella notte la luna ha voluto donare. Due corpi avvinti in un abbraccio pi passione a poppa della nave corsara segnano la fase di un amore; le sirene riprendono il loro canto, la ciurma continua a dormire, il legno in abbandono, si culla dolcemente sulle onde. Quando il frutto è maturo, pende e …cade.

Leggenda

Sul vasto litorale di Bagnara, a destra di chi guarda il sol che muore, s’erge imperante a picco una scogliera che il mar carezza quando ha l’acque chiare che batte forte s’è in tempesta dura. Fra tanta massa tristemente scura appare qual balena immensa e nera profonda larga ed alta una fessura, “quartier general” della corsara . Nessuno seppe dire dei vagiti d’una bambina che qui vide luce in quanto soffocati dai muggiti dell’onda che in quel dì non era in pace. Per qualche tempo fé da dura culla una meschina “crepa” entro la grotta ma quando la corsara vide ritta sulle gambette la di lei fanciulla, frutto d’un amor selvaggio abbietto, allora la condusse sul “natante” per qui vestirla da “corsare infante”. Cosi durò fin quando adolescente la bella non ferì coi sui dardeggi; addio temerità negli arrembaggi al guardo suo maliardo niuno regge! Per porre fine a tanto scompiglio non esita un istante la corsara drizzar la proba nella grotta scura e quivi abbandonar quel casto giglio. In tale grotta visse la fanciulla negletta sola e sempre tanto bella. Si dice la tempesta presagisse e pria che il mar da cheto s’agitasse siccome belva nella grotta scura ruggiva a più non posso la corsara. Tremante allora il mite pescatore non esitava a divorare il mare spingendo i remi con grande stretta al cuore. E’ chiaro come appar dalla leggenda che dice la bambina abbandonata al suo destino, priva di merenda perché più di sua madre era carina. Al nostro pescator faceva pena la vita del “selvaggio” fiorellino infatti tutti i giorni con gran lena la ricordava con il pane e vino. Ed anche una bottiglia d’acqua chiara portava il pescator all’infelice; senz’esser visto, presso la scogliera lasciava il tutto in men che non si dice. Dal tempo duramente incrudelita per quella vita angusta e desolata, la saracena errante ed impigrita visse tra monti e valli ognor braccata or vuoi da zitelloni, or da monelli che in quelle carni dal color di rosa vedevano un assieme di gioielli mai visti a corpo di una bella sposa. Ed erano gioielli naturali di tinta pari sotto scarsi veli. Venuto a conoscenza il buon pievano che la credette dal maligno invasa con dolce dire e con suo fare sano la fé condurre nella santa casa. Le porse il Cristo in croce ed in suo nome cominciò a parlare; un urlo, un echeggiar d’immonda voce mise scompiglio ai piedi dell’altare. Da qui si fece largo tra la folla siccome belva punta la fanciulla; gli astanti non osarono sfiorarla per non contaminarsi, e, allor la bella dal seno acerbo, voluttuosa e arcana tornò alla grotta come pria “pagana”. I pescatori affermano che a sera, tuttora se in burrasca tende il mare, s’ode venire dalla grotta nera un grido che le vene fa gelare. Dan forza allora ai remi ed in preghiera si fan premura verso il casolare.

Post Author: Gianni Saffioti