Abbazia normanna, la vertenza tra Bagnara e S. Eufemia

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Di alessandro Carati

VERTENZA TRA IL MONASTERO BENEDETTINO DI S. MARIA DI SANT’ EUFEMIA E LA CHIESA DI S. MARIA E DEI XII APOSTOLI DI BAGNARA SULLE TERRE IN QUEL DELLA CORONA E DI SPARTA

Estratto da: Deputazione di Storia Patria per la Calabria RIVISTA STORICA CALABRESE N.S. – Anno IX – Numeri 1-4 – Gennaio-Dicembre 1988

In questo studio ci siamo prefissi di far luce, per quanto possibile, sulle cause che stanno alle radici della vertenza che per quasi tutto il corso del XII sec. vide impegnati il monastero di S. Maria di S. Eufemia e la chiesa di S. Maria e dei XII Apostoli di Bagnara. I documenti in nostro possesso sono essenzialmente due*, entrambi però di capitale importanza: non solo ci permettono di fare parzialmente luce sulla vertenza fra queste due rilevanti istituzioni del nostro estremo meridione cristiano, bensi ci offrono tutta una serie di informazioni, specialmente di carattere geografico, che ci aiutano a ricostruire una gran parte della storia della chiesa di Bagnara, e che per ragioni di ordine e di spazio abbiamo trattato in separata sede, laddove, cioè, è stato possibile avvalerci dell’aiuto e del supporto di altre fonti. Ritornando, dunque, ai nostri due documenti, il primo possiamo definirlo un diploma- sentenza datato gennaio 1110, che per comodità spesso chiameremo “della contessa Adelasia”; l’altro è la sentenza datata febbraio 1168 dell’arcivescovo Ruggero di Reggio. Prima di entrare nel vivo della questione è utile dare un quadro d’insieme su alcuni contenuti e indicazioni che entrambi i documenti nell’ordine ci offrono. lì testo dell 110 è redatto in Messina, dove la contessa Adelasia è riunita con la curia al completo. Fa seguito alla querela (citatio) sporta da Uberto. abbate di S. Eufemia, contro Costanzo, priore di Bagnara, che replica duramente (contestatio), dando adito ad un acceso alterco, cui segue la vera e propria institutio actionis. Piu che una vera e propfla sentenza pro o contro l’una o l’altra delle parti, esso dimostra l’impegno della curia, che facendo luce su alcuni confini controversi, tende a riportare la pace e l’armonia tra i due insigni contendenti, avvalendosi in ciò delle prove documentarie, di quelle testimoniali, nonché dei dati acquisiti previa una diretta perizia sui luoghi incriminati. E la prima volta, per quanto ne sappiamo, che le parti entrano in causa fra di loro, e il nostro documento, dunque, non contiene altri rimandi cronologici se non direttamente al gran conte Ruggero, ovvero a colui che tali confini fra le parti aveva stabilito, allorché, in tempi e modi alquanto differenti, cedeva a S. Eufemia e a Bagnara i diritti su quelle terre adesso oggetto di si dura contesa. Il documento riveste per noi somma importanza, e per il su citato riferimento alla suddivisione feudale operata dal gran conte Ruggero, e allorquando definisce i confini pertinenti alla chiesa di Bagnara, situati a nord-est del vallone di Rocchi (dunque relativamente ad una parte dei beni feudali di Bagnara) nel tentativo di giungere ad una ricostruzione fedele di essi, ovvero di com’erano “a tempore comitis beate memorie”. lì diploma del 1168, viceversa, è molto più ricco di riferimenti cronologici e di varie altre indicazioni, non mancando, in questo, di offrirci diversi particolari su come la vicenda andò trascinandosi attraverso i decenni fino addirittura a degenerare in veri e propri atti di forza e di tirannia. É senz’altro piu ricco di notizie, nell’insieme, e non meno vivace di quello del 1110, del quale può considerarsi continuazione ed epilogo. In esso, finalmente, si giunge a una definitiva risoluzione della vicenda, della quale adesso si occupa una giuria ecclesiastica, istituita e promossa per diretto interessamento di re Guglielmo lì (1166-1189). La presiede Ruggero, arcivescovo di Reggio (del quale cosi poco lusinghieramente ci parla il Falcando’) e ne fanno parte i vescovi W. anglonense (o di Angiona), Giovanni di Malta e Tustano (in altre fonti conosciuto come Rustanus, Tustino, lustino, lusto) di Mazara. Qui la causa trae specifica origine dall’accusa promossa, questa volta, dal priore di Bagnara Tommaso, che porge querela contro Landrico, abbate di S. Fufemia,

quod scilicet precepto et iussione ipsius abbatis: homines monasterii cum armis intraverint silvam ecclesie que vocatur corona: et terram que dicitur sparta et alia tenimenta adiacentia que prefate ecclesie de privilegiis [~ .1 principum pertinebant: et per violentiam ceperunt porcos ecclesie. Et ah aliis hominibus qui licentia ipsius ecclesie animalia pascebant in eisdem tenimentis herbaticum violenter tulerunt arbores inciderunt nec hoc semel sed sepius fecerunt et eorum iustam possessionem homines monasterii abbatis iussione sepius inquietabant contra pacem regiam et contra quod iussum fuerat ab illustri comite Hugone catanzarii magistro iusticiario et comestabulo totius Calabrie.

Ecco, dunque, tra l’altro, dei riferimenti di luogo mancanti nel documento del 1110, ovvero le specifiche menzioni della “silva ecclesie que vocatur corona”, della “terra que dici tur sparta et alia tenimenta”, cui segue un preciso richiamo alla sentenza di Ugone di Catanzaro, maestro giustiziere e connestabile di tutta la Calabria2. Non si esclude l’ipotesi che la sentenza di Ugone non sia che l’epilogo di una prima fase processuale che prese l’avvio proprio dalla sentenza del 1110; essa, come vedemmo, mirava a ricostruire i confini quali il gran conte Ruggero li aveva ordinati, non a sentenziare circa i diritti su di essi eventualmente acquisiti dal monastero di S. Eufemia. E Landrico non desiste dal difendere il suo operato:

iam dicta tenimenta ad ius monasterii pertinere privilegio regio principum. Monasterio fuisse oblata: tam silvam predictam quam cetera tenimenta non tantum ecclesie balnearie, sed etiam monasterio S(an)c(t)e Euphemie. Denique se iussisse hominibus. et foresteriis suis: de predictis silvis herbaticum tollere, et ligna incidere, sicut predecessores sui fecerant et sicut in rebus que ad ius monasterii pertinebant.

Tommaso nega risolutamente al monastero di 5. Fufemia ogni diritto su tali terre. Richiama a suffragio la causa celebrata sotto l’egida dei giustizieri di Calabria Andrea Cafutro e Matteo di Salerno, alla quale intervenne pure Ruggero arcivescovo di Reggio “et alii multi”, causa celebrata allorché era in vita Guglielmo 1(1154-1166). In tale causa l’allora abbate di 5. Eufemia Filippo,

priusquam ad calculum diffinitive sententie venirent, videns se in prefatis possessionibus nihil iuris habere, remisit ecclesie Balnearie predicta tenimenta in perpetum quiete et tranquille possidenda, secundum quod in eorum privilegio continetur, sine ulla sua suorumque successorum contradictione vel molestia.

Ma Landrico è ostinato: nega il tutto, non si fida delle prove addotte dai chierici di Bagnara, e così facendo, spinge la giuria ad una seria verifica. Essa, infatti, in sede di consiglio, decide di consultare direttamente i giustizieri Andrea Cafutro e Matteo di Salerno per sapere della loro viva voce la verità. Costoro, interrogati, dicono che “rem ita fuisse sicut canonicorum allegatione asseveratum est. curiam videlicet in Calabria precepto summi tunc principis celebratam dominum Rogerium archiepiscopum et multos alios interfuisse”. In quella sede la questione in merito alle terre contestate era stata trattata “satis superque”, a sazietà, diremmo noi, e l’abbate Filippo, vedendo che il suo monastero in dette cose non possedeva alcun diritto, non aspettando la sentenza, rimise tali terre alla chiesa di Bagnara e ai suoi canonici affinché le possedessero in quiete e in libertà secondo quanto era scritto nel privilegio in loro possesso. Dunque si pronuncia sentenza favorevole a Bagnara. Così, dunque, termina la dichiarazione dei due magistrati. L’arcivescovo Ruggero, dando finalmente credito a quanto da essi dichiarato “presertim cum ego qui supra Rogerius archiep(iscop)us reginus sicut allegatum est interfuissem)>, dopo avere radunato i vescovi a consiglio, e ottenuto parere unanime, pronuncia la sentenza. La selva della Corona e le rimanenti terre devono restare in possesso della chiesa e dei canonici di Bagnara in perpetuo, e quanto ingiusta-mente preso dall’abbate e dai suoi uomini, ovvero il legname ingiustamente reciso, i maiali degli stessi canonici presi sotto il pretesto di dover fare erbatico, devono essere integralmente restituiti. E in particolare si precisa:

Sane intra ipsa tenimenta, in loco qui vocatur Ulazano, est quidam ager laboratorius usque ad mare discendens; et quedam vinea in eodem agro que ex utriusque partis asseveratione, constat esse iuris monasterii: et ad ipsum monasterium sine aliqua contradietione pertinere, sicut continetur in privilegio balnearie de divisis. est autem tam prefata silva quam et cetera tenimenta babearie his circumdata finibus: sicut in canonicorum ut dictum est privilegio continetur. Sicut ascendit vallis rocchii et vadit usque ad divisas episcopi..

Il documento dunque si chiude con il diretto e testuale richiamo alla suddivisione dei confini di Bagnara che possiamo leggere anche nel documento del 1110. Di tutta quella documentazione in merito che dal 1110 si spinge al 1168, che senz’altro esistette (così come apprendiamo dai vari rimandi e appelli dei religiosi di Bagnara) per il momento non possediamo alcunché: personalmente non escludo positive scoperte.

Premesso questo e i dati su riferiti, cerchiamo di indagare un po’ più da vicino, in quella che possiamo ritenere e per la peculiare importanza delle parti in causa, e per il lungo protrarsi, una delle vertenze senz’altro più significative e singolari che allora si ebbero in Calabria. In verità, la chiesa di Bagnara sembra appagata dai vari responsi o sentenze o giudicati che dir vogliamo. Ma è il monastero di S. Eufemia che, a torto o a ragione (sembra più a torto che a ragione), ogni volta trova il modo di appellarsi o aggrapparsi a sempre nuovi cavilli legali, in base ai quali tenta di giustificare dei modi di procedere non sempre limpidi. Donde deriva dunque tanta ostinazione e tenacia? Gli interessi lesi erano davvero così vasti da giustificare tale operato? Abbiamo avuto modo di osservare come la vertenza fin dalle origini si impernia sulla definizione dei confini, ovvero sulla legittimità derivante dall’interpretazione dei documenti originali in possesso e del monastero di 5. Fufemia e della chiesa di Bagnara. Così, di primo acchito, fummo portati a considerare la eventualità di una ambigua definizione dei confini, oppure che qualcuna delle parti a dispetto di essi tentasse un’usurpazione a danno del vicino. E pensammo questo considerando, tra le altre cose, che a quei tempi non era infrequente che nel designare i confini, specie in località ufficialmente poco conosciute (non è pero questo il nostro caso), e massime in particolari contesti storici, quali per l’appunto l’inserimento di nuovi padroni e signori, si giungesse per varie ragioni a delle definizioni errate o imprecise dei medesimi. Ad una considerazione di carattere generale (ovvero tralasciando di prendere in considerazione le varie fattispecie delle errate o imprecise demarcazioni di territorio) permane il fatto che le linee di confine tra un feudo e l’altro, mentre nei documenti figurano coi vari nomi, talora vaghi ed aleatori, delle località, nella realtà quotidiana sono tenute attive dalla vigilanza, più o meno costante, da parte dell’uno o dell’altro feudo; ciò perché non esistevano, a differenza di quanto avviene ai nostri giorni, demarcazioni o denominazioni sicure per tanti luoghi, specie quelli allo stato selvaggio o inesplorati, nè tanto meno carte topografiche dettagliate; e ciò faceva si che i diritti di un feudo su un territorio venissero sanciti e ufficialmente riconosciuti, spesso più con il trascorrere del tempo e con l’affermazione del proprio dominio su quel territorio che con l’atto scritto di possesso, che, come già accennammo, poteva risultare impreciso o incompleto. E, come è logico, poteva accadere che un feudo, anche se in buona fede, affermasse il proprio diritto su delle terre non sue, o, all’inverso, che si tentasse di approfittare della imprecisione con cui erano stabiliti i confini, per allargare i propri possessi a danno altrui; e in generale ognuno può immaginare le innumerevoli controversie, a torto o a ragione, che scaturivano dalla mancanza di precisione con cui talora i confini erano delimitati; ragion per cui le forme scritte dovevano spesso essere riviste ed aggiornate, anche in relazione allo sviluppo ed al progresso cui si andava incontro. E poiché non sempre la prima puntualizzazione era quella buona, poteva accadere che ciò creasse lo strascico per lunghe ed interminabili vertenze. Ad un esame superficiale saremmo portati a credere che la vertenza tra la chiesa di Bagnara e il monastero benedettino di S. Eufemia avesse all’origine una designazione imprecisa dei confini, o un’errata interpretazione di essi; mentre, osservando meglio tra le righe dei nostri documenti, in particolare in quello del 1168, mi convinco sempre più di un’altra cosa: a prescindere dalla primitiva designazione e assegnazione delle terre, qui si tratta del mantenimento di una consuetudine di godimento, della quale i benedettini erano soliti avvalersi e che risaliva a tempi anteriori alla fondazione della chiesa di Bagnara, o quanto meno a tempi alquanto prossimi a quella data (per intenderci, attorno al 1085). I benedettini, del resto, sapevano bene che le loro tenute in certe località, per es. in Clazano, corrispondevano a quel campo e a quella vigna, a quelle terre, a quelle “divise”, ma erano soliti operare anche nelle terre demaniali del gran conte Ruggero, che d’appresso circondavano tali loro tenute, con la massima libertà; per cui è da credere che il gran conte avesse dato il beneplacito, così come i benedettini stessi, già a partire dal 1110 (e però qui in maniera ancora ambigua, contorta, ed in ogni caso volutamente indirizzata verso le proprie finalità) affermano. Resta di fatto che la giovane e neonata chiesa di Bagnara fin da questi esordì, nel riaffermare perentoriamente i suoi diritti, è destinata a mutare profondamente il ruolo delle forze in campo, quale allora andava definendosi lungo la riviera tirrenica della attuale provincia di Reggio e della Calabria in genere. E obiettivamente essa sorse con tutti i presupposti atti a garantirle una buona base di progresso, e, nel caso specifico, il gran conte le assegna in dote, tra le altre cose, anche quelle stesse terre demaniali della Corona e di Sparta delle quali i benedettini, quasi fossero le proprie, erano soliti avvalersi; e per far legna e per l’erbatico e per altro ancora. Tali terre adesso appartengono alla chiesa di Bagnara, ed essa ne reclama l’uso esclusivo ed assoluto; solo che i benedettini non intendono rinunciare a quei privilegi divenuti col tempo consuetudinari ed in base ai quali per tanti e tanti anni l’avevano fatta da padroni. Fino a che punto conoscevano, o avevano deliberatamente ignorato o finto di ignorare, i privilegi che la chiesa di Bagnara possedeva su quelle terre? Ci sono comunque radici profonde che li spingono ad un comportamento intransigente e cieco: non desiderano, tra l’altro, restare intrappo lati e come immobilizzati entro i domini di un altro feudo, perdendo in maniera alquanto drastica ogni antica libertà d’azione~ Risalta adesso in maniera evidente la posizione di prestigio da essi goduta in queste contrade. Ma la concessione fatta dal gran conte alla chiesa di Bagnara sminuisce ed annulla drasticamente ogni privilegio che egli stesso abbia concesso per il passato, anni ed anni prima, su quelle terre già demaniali. La concessione di godimento della quale i benedettini così lautamente si avvalevano, era, crediamo, dello stesso tenore di quelle dallo stesso Ruggero elargite alla chiesa di Bagnara nel suo diploma di fondazione3, allorché diceva: “vi concedo di far pascolare liberamente i vostri animali in tutte le mie terre assieme a quelli miei”; e ancora: “vi concedo di tagliare liberamente dai miei boschi anche il legname che a voi fosse necessario per costruire le vostre case ed accudire alle vostre vigne”; magari, non è escluso, si intendono anche concessioni di più larga e generale portata. Di tale tenore era dunque il documento scritto in mano ai benedettini: testimoniava una concessione, un favore, diremmo, del tutto caduco, nonostante quelli, con l’uso prolungato e continuato, se ne avvalessero come fosse casa loro. Fino a quando quei beni restano demaniali, l’uso e il possesso di essi non assume alcun significato nei confronti della proprietà sui medesimi. I beni restano saldamente in mano al sovrano, ed ecco dunque spiegato perché il gran conte Ruggero con la massima libertà avesse devoluto quelle terre in favore della chiesa di Bagnara. Cessando, adesso, quelle terre di essere demaniali, divenute beni privati, parte di un feudo, i benedettini che sempre vi continuarono ad operare come fossero di loro appartenenza, possono sperare, col trascorrere degli anni, di trasformare quella presa di possesso in una vera e propria padronanza legalmente riconosciuta: ed è quello a cui mirano! Naturalmente ciò accade se la chiesa di Bagnara non reclama in tempo e non fa valere i suoi diritti. Essa, per sovrana concessione, è l’unica, a quanto ci sembra, a possedere la documentazione necessaria a garantirle l’assoluta proprietà su quelle terre. Ma è proprio allorché tenta di far valere i suoi diritti che sorgono le difficoltà. I benedettini, poiché il gran conte era da tempo passato a miglior vita, e poiché da anni e anni operavano nelle terre in contesa come fossero le proprie, rifiutano ostinatamente di riconoscere alcun diritto alla chiesa di Bagnara, ovvero, com’è ipotizzabile, respingono in toto come falsa o poco convincente la documentazione in mano ai religiosi agostiniani: d’altronde l’unica persona, il gran conte Ruggero, che con la sua autorità avrebbe potuto sedare all’istante ogni contrasto, non era più fra i vivi. Fra le due parti si passa dalle parole, ovvero da una mancata pacifica risoluzione, alle vie di fatto. E se i benedettini con orecchie da mercante possono continuare tranquillamente a possedere quanto a loro non appartiene, la chiesa di Bagnara, viceversa, si vede costretta ad assumere atteggiamenti ben più decisi: non può, restando inerte, perdere quanto di diritto le appartiene. Sta dunque ad essa la prima mossa: andare per le vie legali o per le vie di fatto~ La via burocratica già a quei tempi non doveva essere tanto piacevole, con le sue lungaggini, i suoi labirinti, le sue incognite. E Costanzo, allora priore di Bagnara, era restio senz’altro alle vie legali. Egli ordina di agire in maniera alquanto risoluta e drastica: fa occupare con la forza le terre che riteneva di proprietà della sua chiesa; e le tiene saldamente in possesso, facendo cosi rimbalzare l’onere di ogni nuova iniziativa sui benedettini. Questi decidono di agire per le vie legali: quanto pregna di conseguenze si rivelerà questa decisione (alla quale prima o poi l’una o l’altra delle parti doveva pervenire), lo si vedrà nel corso dei successivi decenni. Al momento resta il fatto che i religiosi di 5. Eufemia ritengono di aver subito un atto di forza, di essere le vittime di una violenza armata: è loro pieno diritto ricevere giustizia. Siamo nel gennaio dell 110; Adelasia, reggente i domini di Calabria e di Sicilia per conto del figlio Ruggero, ancora minorenne, si trova con la curia al completo in quel di Messina. Uberto, abbate di S. Eufemia, si fa avanti: sporge querela; egli accusa il priore di Bagnara, Costanzo, e i suoi uomini (che designa col termine di “fratres”), di avere invaso con la forza delle armi, e quindi di possedere illegalmente “diverse terre loro concesse dal conte Ruggero”. Costanzo vien fatto chiamare, dunque egli si presenta dinnanzi alla curia e nega come false le asserzioni di Uberto: mai da lui o dai suoi erano stati trasgrediti o violati i confini delle terre che il gran conte Ruggero aveva loro assegnato. Nasce, dunque, tra lui e l’abbate di S. Eufemia un acceso alterco che getta Adelasia e la curia tutta nel più profondo rammarico: gli uomini dediti alla religione devono occuparsi delle cose dello spirito (innanzi tutto!), non bisticciare correndo dietro agli interessi di questo mondo! Il documento dice:

Super his autem multis verbis habitis et contentionibus, nos nolentes diu eos in discordia manere et occupatos esse secularibus, sed quasi deo dicatos in bis, que dei sunt, sollicitos esse et pro salute animarum nostrarum assidue curam gerere, consilio et consensu principum curie nostre unicuique eorum, quod antiquitus constitutum erat et pertinens, conferri statuimus, quatinus in pace et quiete permanentes et abstinentes ab omnibus secularibus negociis ea, que ad utilitatem nostram et salutem animarum nostrarum sunt, propensius considerent.

Un duro monito dunque per le parti in causa, cosi ostinatamente e platea lmente (se ci è concesso) impegnate nelle loro diatnbe e le reciproche accuse che i due uomini si scambiarono, ognuno a difesa e a sostegno delle proprie tesi, possiamo solo ipotizzarle: a riguardo il documento non dice più di quanto, tra l’altro, abbiamo sopra riferito. Ma è più che probabile che Uberto abbia rimproverato a Costanzo i metodi violenti e poco ortodossi che egli aveva adoperato invadendo con la forza quelle che Uberto riteneva “le sue terre”; e che Costanzo molto probabilmente abbia replicato dicendo che non aveva assolutamente violato alcun confine, nè usato violenza, dal momento che aveva agito nell’ambito dei “propri domini”. Cosi, dunque, il baricentro della disputa si sposta dal presunto atto di forza ordinato da Costanzo, alle terre, ai loro confini, e a chi fra essi di diritto pertinevano. E accendendosi oltremodo la diatriba, ecco dunque il monito ad entrambe le parti in causa, e la decisione della curia di far luce sulle relative competenze, nonché di assegnare ad ognuno dei contendenti ciò che fin dall’inizio era stato stabilito dal gran conte Ruggero. Vengono, dunque, designati i periti affinché, sentiti i testimoni dell’una e dell’altra parte, vaglino e decidano sui legittimi confini. Essi sono: Roberto Borrello, Josberto de Luci (o Luciaco) e dominus Bono4. Il primo fra essi, ovvero Roberto Borrello, apparteneva ad una delle famiglie nobiliari più influenti del suo tempo, egli stesso era uno degli esponenti più significativi della nobiltà militare fin dai tempi del gran conte: troviamo un Roberto Borrello che sottoscrive, addirittura subito appresso al gran conte, nel nostro diploma di fondazione, dinnanzi ad altri insigni personaggi nonché allo stesso figlio ed erede (al momento) del gran conte, cioè Goffredo. Possiamo ritenere, se il Borrello del nostro diploma di fondazione, datato 1085, è lo stesso chiamato in causa in quest’altro diploma di ben venticinque anni posteriore, che possedesse una discreta conoscenza dei luoghi in questione; altrettanta perizia dei luoghi incriminati, se non addirittura maggiore, la possiede dominus Bonus, che nel 1091 troviamo come notaio aUa corte di Ruggero in Mileto5, e che adesso (sembra che si tratti della stessa persona, e non ci sono a riguardo seri motivi per dubitare) è chiamato “protonovellissimus” a significare la sua grande ascesa nella scala degli onori. Infine, a noi meno familiare è Josberto de Luci, ma, rileviamo, egli non è meno importante di Roberto Borrello nella gerarchia della nobiltà che sta attorno ad Adelasia e che compone la sua curia. Infatti, a lui e a sua moglie Muriella, figlia di Ruggero gran conte, fa capo la famiglia dei De Luci (o Luciaco), che si affermarono in Sicilia dando origine ad uno dei rami di massima nobiltà dell’isola6. Questi insigni periti, prima di recarsi in loco a designare gli esatti confini territoriali, quali competono all’una e all’altra delle parti, sentono le dichiarazioni dei testimoni e dunque assieme ai medesimi e alle parti in causa si recano nei luoghi della vertenza. I testi di 5. Fufemia sono di gran lunga più numerosi e non per questo di minor prestigio sociale. Essi appartengono per lo più ai comuni di Seminara e Melicuccà; e sarebbe utile presentarli secondo i luoghi e i centri di appartenenza, ma, così facendo, comprometteremmo l’ordine che il documento ci offre; inoltre, riteniamo, è questo uno schema che ognuno, volendo, può compilare, definire e studiare da sé. Ecco, dunque, i testi di S. Eufemia presentati a noi allorché si è già sui luoghi incriminati:

Ris autem ibi adeuntibus, presente predieto abbate sancte Euphemie cum his, qui cum eo erant, videlicet Lamberto priore tunc temporis Melicoccan et Girardo monacho ipsius monasterii et Relia abbate sancti Helie de Spileo et Leone de Melicocca et presbitero Plutino et presbitero Anania tu Cacostrati et Nichiforo fratre eius et Caleplazario et Consta filio suo et Francopollo et Gregorio tis Callàs et pluribus aliis ex parte eorum. Presente eciam et de Seminario Jarnigòn eo tempore stratigoto et W. de Bussùn et Oliverio Terre Male et Curardo Flamingo et Uugone ~uri et Gosfrido sororio Arduini et Askitino de Perere et Neele filio Pagani de Gorges et Basilio protopapa et Andrea Logarà et Johanne nepote eius et Georgio Maurichi et Leone fratre eius et multis aliis et cum eis Chrisafio de Melicocca.

Non siamo pienamente sicuri se tutti i su citati personaggi si trovano al seguito dell’abate di S. Eufernia in qualità di testimoni in suo favore; oppure, alcuni, solo perché direttamente interessati all’evolversi della vicenda. L’ipotesi più probabile è che tutti indistintamente, stando ai legami di vecchio vicinato e, se vogliamo, di amicizia, che li legavano ai benedettini, nonché alla specifica natura della testimonianza loro richiesta, si rivelino testimoni a loro favore. Va segnalato che alcuni fra essi, Elia abate del monastero di S. Elia de Spileo e Leone di Melicucca, possiedono terre che, così come avviene per alcune tenute dell’abbazia di S. Eufemia, sono pressoché interamente circondate dai domini della chiesa di Bagnara, e che si spingono fino al mare. Il documento del 1110 c’informa che quando “dominus Bonus” passa alla suddivisione delle terre così come si era stabilito giusto, “infra divisas istas (Bonus aveva appena concluso di definire i confini pertinenti alla chiesa di Bagnara) divisas terrarum sancti Helie de Spileo in loco qui dicitur Clazano in medietate Clazano ab octho usque ad mare, quemadmodum ab omnibus manifeste cognoscitur. Similiter etiam ostendit terram Leonis de Melicocca ab ipsa terra saneti Helie, quemadmodum descendit usque ad mare”. Dunque il notaio fa confermare con giuramento ai testi greci e latini ivi convenuti “quod ab antiquo vere ita erant divise”. Noi ignoriamo l’esatta e primitiva suddivisione di dette terre, ovvero quella operata dal gran conte Ruggero, e, in definitiva, pure quanto “dominus Bonus” e gli altri insigni periti adesso confermano. Tuttavia, sbirciando e frugando tra le righe dei nostri documenti, riusciamo a darci un quadro pressoché completo ed esauriente, se non delle terre, certo delle molteplici e complesse cause che ad esse legate, possono aver contribuito ad alimentare e a sostenere la vertenza per tempi così lunghi. Partiamo, dunque, con il constatare la massiccia presenza di testimoni a favore di S. Fufemia, e che in parte ci ha ulteriormente indotto a pensare, alla luce del ruolo che sembra rivestano, tutto sommato non decisivo (massime nei confronti della documentazione data in mano alla giuria), che Uberto tentasse, con dichiarazioni che in ultima analisi non facevano altro che confermare un usufrutto, giammai una proprietà, di giungere al pieno possesso di quelle terre sulle quali egli, molto probabilmente, non possedeva alcuna concessione scritta sufficiente e bastevole a farle totalmente sue. Tenta, dunque, il tutto per tutto tramite le affermazioni di quei testimoni, che, in fede loro, non mentivano: infatti era verità sacrosanta che i benedettini in quelle terre avevano sempre agito come fossero le proprie, e però, inconsciamente o meno, essi si prestano alle subdole ed ambiziose mire dell’abate Uberto, che quelle dichiarazioni strumentalizza; così, infatti, deduciamo dal raffronto tra il documento del 1110 e quello del 1168, dove finalmente i toni assunti dai benedettini si fanno moderati, meno pretenziosi, più vicini al vero. Senza dubbio meno numerosi sono i testimoni della chiesa di Bagnara, dei quali, a quanto si deduce, vengono menzionati quelli di maggior prestigio:

a parte autem Bainearie convenientibus priore Costancio magistro Guarino Ranerio domino Rogerio Viviano et aliis cum eis…

Ma, ciò che é più importane, essa dovette imperniare la propria difesa quasi esclusivamente sui documenti in suo possesso, ad essa devoluti dal gran conte Ruggero, non avendo dalla sua parte, testi come quelli addotti dai benedettini

che ne comprovassero la reale presa di possesso nel tempo, ovvero l’avviato godimento di quelle terre. La sentenza a favore o contro l’una o l’altra delle parti, sta chiusa, diremmo che è insita, nella definizione dei confini fatta dai periti previa una adeguata e ampia valutazione degli atti e delle fonti testimoniali. In questa prima fase della vertenza, a cui offre soluzione il documento del 1110, viene giustamente da chiedersi: è stata tale definizione dei confini favorevole o contraria alla chiesa di Bagnara? Il documento ci illustra in maniera chiara e precisa più che mai, i confini di Bagnara così come a seguito dell’inchiesta e della perizia in loco furono ricostruiti, grazie soprattutto all’indiscussa autorità in questione goduta da “dominus Bonus” che “omnes unanimiter elegerunt […] ut ipse hec omnia monstraret et divideret, quoniam ipse prescriverat omnia a tempore comitis beate memorie”. E dominus Bonus che tali luoghi ben conosceva, essendo stato egli stesso, a quanto apprendiamo, a descriverne i confini quando il gran conte era ancora in vita, “ceteris precedens et predicens eas, que postea vidende erant, divisas occulata fide sequenti bus se, ut predixerat, eas vere mani festas ostendit. Divisit autem eas sic. Sicut ascendit vallis Rocchii et vadit usque ad…”. Si ponga attenzione dunque alla puntuale e dettagliata conoscenza dei luoghi che dominus Bonus sembra possedere: egli infatti sembra in grado di descrivere e predire i confini prima ancora di arrivare in loco; nè, però, è meraviglia, essendo stato colui che su comando di Ruggero gran conte, aveva provveduto alla suddivisione e designazione di quelle terre: probabilmente in tempi anteriori, se non prossimi, al 1091, allorché lo troviamo in quel di Mileto presente a corte. Possiamo, a questo punto, prestar fede ad una giusta e precisa ricostruzione dei confini, dei quali in maniera dettagliata discuteremo in altra sede. Al momento vorremmo stabilire quale delle parti in causa sia stata favorita da tale perizia. Il Pontieri, dopo aver detto che il conflitto fu da parte di 5. Eufemia “il prodotto di un esasperato senso di gelosia, da tempo covato e appigliatosi al pretesto di una fortuita violazione di diritti”, dice che “dalle dichiarazioni raccolte e da altri dati di fatto presi in esame, risultarono conformi a verità le querele dell’abbate di 5. Fufemia; onde la causa si concluse con una sentenza di condanna a carico degli agostiniani di Bagnara”.7 Dello stesso avviso del Pontieri è padre Russo, per il quale “i monaci di 5. Fufemia poterono provare la violazione dei loro diritti e pretendere il risarcimento dei danni”.8 Ma le cose non dovettero andare in maniera così semplice e liscia come i due su citati studiosi sembrano affermare. La “violazione dei diritti” non fu per niente fortuita, come afferma il Pontieri, e ritengo anche alla luce delle cause che, come sopra detto, diedero a nostro avviso, origine al litigio, che in base ai soli dati offertici dal documento del 1110 (e però non ne possediamo altri, se non quelli offertici dal documento del 1168), noi non siamo ancora in grado di stabilire quale sentenza fosse stata emanata sull’intera questione, nè tanto meno le modalità e le puntualizzazioni che la caratterizzarono. Permangono molteplici interrogativi: se l’atto di forza ordinato da Costanzo sia stato punito e in che misura. Probabilmente questo episodio venne considerato in separata sede, e non è esclusa una condanna a carico di Costanzo e degli agostiniani. Per il resto, il nostro documento è volto principalmente ad uno scopo, più volte dichiarato: far luce sui confini. Come accennammo, data l’esperienza dei periti, massime di domi nus Bonus, nulla vieta di credere in una giusta definizione di essi. ~ella peggiore delle ipotesi possiamo ritenere che si sia corretto, ove la ragione lo avesse richiesto, ogni illegale sconfinamento armato degli uomini di Bagnara, e in ogni caso siano stati ridotti quelli di S. Eufemia (e di Bagnara), al rispetto più stretto dei confini adesso ricostruiti. Ad ogni modo, la precisazione “puntuale” (a quei tempi) dei confini delle terre di Bagnara, senza concedere a 5. Fufemia alcun aumento di territorio e, ammesso pure che ne abbia concesso, senza dare ai benedettini quei benefici che probabilmente si erano prefissi (già spiegammo il loro tentativo di volgere un diritto di godimento in diritto di proprietà), torna a tutto ed esclusivo vantaggio della chiesa di Bagnara. E la vertenza, ben lungi dal sopirsi, si trascinerà per un lungo arco di decenni; e crediamo, questa volta, sul terreno dei diritti acquisiti dai benedettini con l’usufrutto continuato e prolungato nel tempo; però, al momento, è proprio questa “sentenza di condanna”, come la definisce il Pontieri, che offre a Bagnara la prova indiscutibile dei suoi diritti su quelle zone nonché quella di un possesso di terre litoranee che da questo centro si spinge fino quasi alle foci dell’odierno Petrace; dunque anche di un monopolio marittimo che non potrà più essere contestato alla chiesa di Bagnara; e oltre a questo, che ritengo sia il privilegio massimo che Bagnara sia riuscita a salvaguardare e a difendere, le numerose terre in contesa, vengono, con tale sentenza, contenute nei loro confini, cosa che non poteva che giovare alla chiesa di Bagnara, che aveva il massimo interesse non tanto ad accaparrare l’altrui (essendo ancora agli inizi della sua fondazione e della sua ascesa: il portale della chiesa era ancora in costruzione) quanto a salvaguardare il proprio ed a contenere qualsiasi mira espansionistica dei suoi vicini. E il Codice Vaticano 8034 in testa al transunto del diploma del 1110 in questione, così dice:

Adelasia contessa col suo figliuolo Ruggieri conte di Calabria e di Sicilia sentenzia in favore di Costanzo priore della chiesa di Bagnara, contro Uberto abate di 5. Fufernia circa le divisioni de’ loro beni fatta già dal conte Ruggieri.

Segue la data MCXXV Gennaio, evidentemente errata ma subito corretta nel testo stesso del diploma. Ma non è errata l’intestazione: tutt’altro! E alla luce dei successivi strascichi che tale causa ebbe, ritengo che i periti, nel prendere in considerazione i confini, oltre che in base alla loro specifica conoscenza dei luoghi, abbiano agito in maniera quanto mai professionale, ovvero che, nel trarre le dovute conclusioni, abbiano agito nel massimo rispetto della documentazione originale in loro possesso In sostanza tutto ciò doveva tornare ad esclusivo vantaggio della chiesa di Bagnara: in effetti, per il momento, la constatazione in loco dei confini non significa altro che il prologo ad un loro ripristino sulle basi offerte dai diplomi di concessione. Copia del diploma con la relativa designazione dei confini, è riposta, come in esso si dice, nelle mani di Costanzo e dei suoi successori; e la chiesa di Bagnara non mancherà di avvalersene splendidamente, tanto è vero che ancora nel 1168, la descrizione dei confini in esso contenuta, è riprodotta integralmente; fino a tale anno infatti la vertenza si trascinò, trovando infine la sua definitiva e inappellabile risoluzione nel 1192 con la bolla pontificia di Celestino III in data 6 maggio, che conferma e sancisce quanto nel 1168 la giuria ecclesiastica presieduta da Ruggero, arcivescovo di Reggio, aveva stabilito. Tuttavia, data la grande e meritata autorità che il Pontieri gode, ci viene spontanea la curiosità di sapere in maniera piu dettagliata, come e in base a quali indizi, tale studioso giunga cosi decisamente alla con~usione che quella sentenza fu di condanna per la chiesa di Bagnara. Ci si domanda: è possibile che, come afferma il Pontieri, una lite così a lungo protratta, sia semplicemente il frutto di una “gelosia”, di una latente invidia di fronte “al prosperare della rivale, le cui dipendenze, grazie alle continue concessioni sovrane, si accrebhero anche al di là del Faro, in diversi luoghi della Sicilia”‘0? Queste affermazioni, pur corrispondendo alla realtà, sono alquanto limitative e riduttive di essa. Non possiamo accettarle perché insufficienti a prospettare il caso e far luce sulle vicende, ben più complesse di quanto a primo acchito si poteva credere, come abbiamo visto. Che il progresso continuo di Bagnara risultasse alquanto compromettente e lesivo degli interessi che S. Fufemia aveva in queste contrade, è quanto mai ovvio. Si può ipotizzare, tra le altre cose, un tentativo di riaffermazione e di rivalsa a tutti gli effetti (economici, politici, propagandistici…) da parte di 5. Fufemia, che tenta (presagendo il suo svantaggio e forse con grande anticipo sui tempi: e però vedemmo che fu la chiesa di Bagnara a costringerla all’azione), una replica da attuare tramite una concorrenza economica, in primo luogo, da portare fin “sotto le mura” di Bagnara. E, nel fare questo, data l’entità quantitativa delle terre che presupponiamo S. Fufemia possedesse in queste contrade (di gran lunga ridotta di fronte all’importanza di quanto costituiva il corpus dei possessi di Bagnara che le stavano appresso), balza evidente, tra l’altro, un importante dato di fatto: i benedettini tentarono, con la politica abilità nella quale, stando a qualche cronista, tante volte eccelsero, di far leva sui centri e sui proprietari adiacenti alle tenute di Bagnara, quasi ad isolarla con una coalizione quanto mai numerosa, volta se non a capovolgere, certo a compromettere il nascente prestigio di quella chiesa e ogni rapporto di supremazia che, come ci é dato scorgere, si andava volgendo a loro esclusivo svantaggio: S. Eufemia doveva trovarsi in queste contrade, sempre più “chiusa” e come “soffocata” entro i domini della chiesa di Bagnara. Certo i testimoni addotti da essa non mentono allorché, come riteniamo, affermano che i benedettini fin da tempi lontani (non abbiamo dati sufficienti per quantificare) erano usi operare in quelle terre; e però probabilmente essi sono completamente all’oscuro (o non si preoccupano affatto) delle reali implicanze delle loro affermazioni, che si prestano ad essere manipolate e strumentalizzate. Contro costoro la chiesa di Bagnara, di recente fondazione, ancora estranea, possiamo dire, in quelle contrade, e pressocché sconosciuta nella sua essenza (probabilmente meglio nota per il prestigio delle dotazioni e del gran conte), non avendo ancora saldamente affermato la sua presenza, può rispondere in una sola maniera: con la documentazione adatta che dimostri i suoi confini; con la testimonianza di quanti, grazie al loro personale credito, ne confermino ulteriormente l’autenticità. D’altro canto, come dicemmo, i benedettini tendono a trasformare, prendendo a spunto l’atto di violenza operato da Costanzo, quelle che erano semplici e larvate concessioni di godimento su terre demaniali, in uno stabile e duraturo diritto di possesso, che, fra le altre cose, consentirebbe loro di evadere (ma fino a che punto e sotto quali svariati aspetti non sappiamo!) dalla stretta che la chiesa di Bagnara andava tessendo loro intorno: progressivamente, col trascorrere del tempo, e nella misura in cui andava inserendosi nella realtà economico sociale del territorio. La tolleranza iniziale dimostrata dagli agostiniani nei confronti di questo potente ed illustre vicino, é, riteniamo, indicativa di una sua realtà in fieri, che purtroppo sta all’origine della posizione di forza e del desiderio di possesso dei benedettini, che non esitano dal reclamare il pieno possesso delle terre invase da Costanzo e pure da questi reclamate. Così Uberto accusa dicendo:

divisas terrarum concessas eis a comite Rogerio beate memorie transgredientes invaserunt terminos terrarum ecclesie nostre pertinencium et iniuste ut proprias possident..

e l’altro replica:

non esse vera, que opposuerant, neque illos divisiones factas a predicto beate memorie comite Rogerio aliquo tempore transgressos esse, sed ea inconcussa et immutata tenebant, quemadmodum ea a principio eis concessa fuerant, nichil in his adiacentes.

Chi fra i due ha torto? La situazione sarà definita, allorché, maturati i tempi e non potendo più restare nell’ombra le vere intenzioni dei benedettini, ovvero, l’appropriazione parziale e limitata della selva della Corona, della terra di Sparta e di altre tenute (luoghi tutti donde il gran conte a suo tempo aveva loro concesso ampi privilegi essendo ancora quelle terre quasi interamente demaniali), il monastero di S. Fufemia, in maniera drastica e perentoria, e in modo da non lasciare più adito a malintesi, sarà estromesso da ogni pretenzioso diritto. Ciò avviene nel 1168, ovvero piu di un mezzo secolo appresso. Dunque dobbiamo rettificare ed aggiornare, come parziali ed insufficienti, le conclusioni addotte dal Pontieri, cui sembra padre Russo faccia eco. E, tra l’altro, puntualizzare. V’è piu concorrenza, prestigio ferito e interesse di parte, che gelosia in tale vertenza; certamente non è pura gelosia che spinge il monastero di S. Fufemia a provocare (volutamente o meno) l’intervento armato di Costanzo e dei suo uomini; e ad armare, in seguito, gli uomini del monastero contro quelli della chiesa di Bagnara. C’è, in verità, una posizione di prestigio e di antica supremazia, che qui viene vitalmente intaccata e compromessa, e certo i benedettini di S. Eufemia non mancano di orgoglio, d’iniziativa, di preparazione, e di ostinazione. E di quale prestigio e autorità si avvalessero, di quale credito nei confronti dei vicini, possiamo constatarlo anche senza scrutare a fondo nelle varie fasi della vertenza. Non riteniamo, però, ci fosse stata una rivalità latente tra benedettini e agostiniani, o meglio riteniamo possibile un suo affiorare, solo nella misura in cui, gli interessi materiali degli uni entrano in conflitto con quelli degli altri. E tuttavia, l’ipotizzare, come fa il Pontieri, simili “rivalità latenti”, è cosa alquanto pericolosa e complessa, cosi come volere definire i sentimenti che stettero all’origine della contesa. Ci si può domandare: come mai S. Eufemia che precedette Bagnara come fondazione, essendo essa tra le prime in ordine di tempo delle fondazioni normanne in Calabria, e che ricevette di gran lunga per prima dal gran conte Ruggero le terre in quel della Piana, di Sparta, e anche altrove nella zona, si vede ora letteralmente surdassata e soppiantata da Bagnara, che entra in possesso di quasi tutta la fascia costiera che da essa si spinge fino alle foci del Petrace? In sostanza, perché il gran conte Ruggero, non diede ad essa quanto in seguito diede alla chiesa di Bagnara? S. Eufemia costituiva allora il più grosso baluardo latino in queste contrade, assieme alla SS. Trinità di Mileto e al vescovado stesso di Mileto. Cosa si frapponeva? Forse la suddivisione delle terre avvenuta tra Roberto il Guiscardo e il fratello Ruggero? Non credo. I nostri documenti ci portano altrove. Il gran conte Ruggero, cosi ci informa il documento del 1110, diede aS. Eufemia terre nella Piana e nelle immediate adiacenze; ma no i possiamo vedere che quando lo fece, il contesto storico era alquanto fluido: la Piana e tutto intero questo versante occidentale della provincia di Reggio e Reggio stessa, ancora non offrivano a Ruggero sufficienti garanzie di sicurezza, al contempo la conquista della Sicilia assorbiva ed impegnava ogni energia. L’ottica militare è prevalente. Ancora volti anima e corpo alla conquista dell’isola, senza il cui controllo non vi poteva essere tranquillità e progresso per le terre peninsulari e massime per la Calabria, essi forse non immaginano ancora i vasti orizzonti che la totale padronanza di entrambe le sponde dello Stretto avrebbe aperto; ancor meno possono immaginarlo le popolazioni vinte, dove l’odio contro i normanni non era estinto. Ciò spinge il gran conte a trattenere per sé, come demaniali, vaste porzioni di territorio, giudicate indispensabili alla salvaguardia delle sue conquiste: tra queste rientrano la “terra Balnearie”, a ridosso di essa le terre e i boschi in quel di Solano, dunque tutta intera la fascia costiera comprendente il pianoro della Corona, ovvero l’intero litorale, fino all’odierna Taureana ed oltre era monopolio del gran conte, terra demaniale. Con il diretto controllo ditali territori si precludeva alla popolazione della Piana (oltremodo grecizzata), ogni diretta possibile ribellione o relazione con eventuali focolai di rivolta esistenti all’esterno di essa, specie, nei centri e casali più strettamente collegati alla metropoli di Reggio e con Reggio stessa; mentre d’altro canto si precludeva e si tamponava dall’interno ogni possibile divampare di rivolte o insurrezioni nelle stesse città o casali della Piana, tramite tutta una serie di fortezze e di presidi dislocati non tanto nei grossi centri, quanto all’esterno di essi, a seconda dei casi, come era tipico dei normanni che poco amavano il pericoloso rinchiudersi “dentro le mura” della città di recente conquistate. Alla luce di quanto si è affermato possiamo ipotizzare quanto segue: 5. Eufemia riceve dal gran conte le terre in quel della Corona e di Sparta, in tempi che vedevano l’affermazione di Ruggero ancora insicura, financo traballante, se si considerano i potenziali pericoli; e però, in relazione a tale contesto storico, non è escluso che 5. Eufemia ricevesse il meglio e quanto di più conforme al suo prestigio. E Ruggero non è affatto restio a concedere ai benedettini l’uso delle terre demaniali adiacenti. Ma i tempi mutarono alla svelta! Ecco che quando, poco prima del 1085, Ruggero si pone in mente di fondare egli stesso una grande istituzione feudale gestita da religiosi, ovvero Bagnara, i mezzi a sua disposizione gli consentono di realizzare un’istituzione all’altezza del suo prestigio e con tutti i requisiti necessari a fare di essa un baluardo, anche militare, della cristianità occidentale di fronte alle zone fortemente ellenizzate, la Piana, in primo luogo, donde, per immediata conseguenza, S. Eufemia che già tanto vi possedeva, vede posto un freno alla sua indiscussa supremazia (condivisa solo con il vescovado di Mileto), nonché al suo sviluppo. La stessa posizione geografica proietta questa nuova fondazione verso l’isola, la cui conquista in quegli anni era quasi interamente ultimata. Ed occorrevano forze ed energie nuove, atte ad offrire a quella terra, per la quale con tanta fede e ostinazione (“strenuitas” per dirla con il Malaterra) si era combattuto, le premesse per una rinascita in senso occidentale di essa. E quest’opera non tarderà di manifestarsi lungo i centri di maggior progresso e sviluppo dell’isola che, come afferma il Peri’1, vedeva la sua vita gravitare, fin da prima dell’intervento normanno, verso il mare: Bagnara stessa sorge su una rupe protesa sul mare con adiacenti delle rade più che mai adatte al ricovero delle imbarcazioni. È però opportuno rilevare che l’affermarsi e lo stabilizzarsi, lungo i centri e le zone costiere, di maggiore sviluppo e progresso, doveva essere per i conquistatori un fatto pressocché naturale e coerente con le modalità, fra loro in uso, di affermazione, infatti veniva incontro all’esigenza di non disperdere le esigue forze, di non rinchiudersi nella morsa di terre sconosciute, abitate da gente ostile e diversa; ciò é vieppiù vero per la Sicilia abitata per larghe plaghe da arabi o presunti tali, e in misura minore e con diversa localizzazione per la Calabria. Le esigenze che spingono i normanni a gravitare verso i centri di maggior progresso lungo le coste, e dunque a fondare e potenziare un’istituzione come quella di Bagnara, sono quanto mai varie e significative a seconda dei casi. Sempre il Peri,’2 riferendosi a ciò che avvenne per la Sicilia, afferma che i normanni sentirono quanto l’isola gravitasse verso il mare e “assecondarono l’inclinazione anche dopo i primi anni della conquista” e che “il secolo normanno fu di dinamismo per le città-porto: anche per quelle sulla costiera di mezzogiorno”. Ed é opinione di chi scrive che lungo la riviera occidentale dello Stretto essi abbiano fatto di Bagnara uno dei loro fiori all’occhiello. Co si, anche i primi vescovadi istituiti dal gran conte Ruggero, avevano la residenza vescovile in città della costa, sede di porto già fin sotto la dominazione araba e oltre. S. Eufemia, la SS. Trinità di Mileto, Bagnara, offriranno i primi vescovi latini a riorganizzare e curare le nuove diocesi. Da loro provengono in gran misura le energie atte a operare una rinascita in senso prettamente occidentale e latino, rispettosa dei canoni che la chiesa di Roma dettava o esigeva; energie che sappiamo furono quanto mai eterogenee o composite, e che probabilmente trovarono la loro maggior coerenza e compattezza ideologica e morale in queste istituzioni religiose; ciò per la forza di unione, la volontà inesauribile talora, il trasporto verso un’affermazione che agli esordi non fu solo economica, ma innanzi tutto di missione e aggregazione religiosa, e si tenga presente il monito rivolto ai due prelati e da noi più sopra trascritto: gli interessi materiali non devono compromettere e frammettersi a quelli spirituali. E se fra le istituzioni sopra menzionate Bagnara viene di poco appresso, bisogna però rammentare che essa ottiene subito il primato per quanto concerne una proiezione verso il mare, verso le coste calabre dello Stretto e massime verso l’isola in genere, tanto che sembra coronare, sempre di più, la volontà di affermazione e di apertura, religiosa, culturale, commerciale, politica, di cui i primi normanni sentirono vivamente il bisogno, e che lentamente ma progressivamente, assieme a tante altre pedine e religiose e laiche, nonché grazie alla costante attenzione degli uomini al potere, doveva offrire un contributo essenziale al fine di volgere la Sicilia nell’orbita culturale dell’occidente, e finire per donarle le forze sufficienti per una rinascita dall’interno, non necessariamente d’importazione e forestiera, bensi di forze ed elementi creatisi e radicatisi nel suo seno, e facenti parte integrante del suo nuovo ambiente sociale, culturale, politico. Cosi la dotazione con la quale il gran conte fregi a la nascente chiesa di Bagnara, é sintomatica di un mutamento radicale nel contesto storico dello Stretto, nonché, in questa estrema punta della Calabria, di un dominio oramai affermato: Ruggero dona a Bagnara ciò che a lungo aveva trattenuto come indispensabile al controllo e alla sicurezza del suo dominio, e lo fa perché i tempi erano già maturi e richiedevano energie nuove e sane volte al progresso sotto l’insegna dell’occidente cristiano. La chiesa di Bagnara ha così modo di entrare in scena da posizioni di netta supremazia, in un contesto che la rendeva sicura regina di quasi tutto il litorale tirrenico dell’attuale provincia di Reggio. E non mancheranno subito nell’immediato quelle concessioni che la proietteranno sempre più vivacemente sulle coste della Sicilia. La repentina ascesa di Bagnara significa un completo ridimensionamento del potere e del prestigio di 5. Eufemia, sia nella Piana, sia nei confronti della Sicilia che giusto allora si andava aprendo all’intervento cristiano. É Bagnara, non 5. Eufemia, e neppure, tutto sommato, la SS. Trinità di Mileto o lo stesso vescovado di Mileto, che offre i presupposti più congeniali per una riaffermazione della presenza cristiana e latina lungo le maggiori città-scalo dell’isola. Éad essa che i signori normanni volgeranno con sempre maggiore assiduità le loro attenzioni, facendo si che i possessi di Bagnara in Sicilia si arricchissero sempre di più, perché Bagnara, dalla sua posizione geografica, quasi di vedetta sullo Stretto, é un centro latino e normanno, sul quale i conquistatori dimostreranno subito di poter contare, quasi si desse allora, in piena coscienza di causa ed effetti, inizio a quei rapporti tra le due sponde dello Stretto, che ci fanno pensare, ad una forte conurbazione in senso latino di esso. Bagnara è un grande caposaldo normanno subito alle sue porte, e, almeno fino a tutto il primo secolo dopo la sua fondazione, essa si rivelerà di essenziale importanza nell’economia e nella cultura di quelle contrade e non cesserà di progredire lungo tutto il periodo normanno, fino al periodo svevo, ovvero fino a quando non si creeranno i presupposti per lo sviluppo e la concorrenza di nuove forze e istituzioni, e fino a che non verrà travolta e lentamente annullata nel vortice delle guerre e delle traversie politiche del tempo. E 5. Eufemia, se così possiamo esprimerci, diventa quasi vittima, in questa contrada, di quel grande e complesso rivolgimento storico, che porterà questi luoghi, sotto l’egida e il padronato di Bagnara, a trovarsi nell’immediato tessuto del massimo baricentro politico ed economico delle conquiste di Ruggero. E nel ribadire la stretta interdipendenza tra le fasi storiche della conquista e le terre concesse a S. Eufemia e a Bagnara nelle contrade in oggetto, va sottolineato come la primitiva tendenza a seguire da presso, anche con collecitudine, il centro di potere che il gran conte, e dunque la contessa Adelasia, i suoi baroni, i suoi successori in genere rappresentano, diviene, massime per i religiosi di Bagnara, cosa naturale o addirittura ovvia se solo teniamo presente la dislocazione delle terre a loro concesse. E S. Eufemia non può restare indifferente. Comprendere dunque la tenacia dei benedettini nel reclamare diritti sulle terre della Corona, di Sparta e altre ancora, significa fare il punto proprio di tutta una serie di complessi e svariati interessi, che li spingevano verso lo Stretto e i suoi maggiori empori, nonché ad una attiva e solerte vicinanza alla corte di Messina, cittàporto in via di estremo sviluppo, prossima a divenire assieme a Palermo, la capitale, una delle più importanti della Sicilia e del meridione: Messina, dove la corte spesso soggiornava quasi fosse una seconda capitale.

NOTE

IL PRESENTE SCRITTO SI BASA ESSENZIALMENTE SULL’ANALISI FINALIZZATA AI NOSTRI SCOPI, E PER QUANTO POSSIBILE ACCURATA, DEI SEGUENTI DOCUMENTI: DIPLOMA DELLA CONTESSA ADELASIA rilasciato a Messina nel mese di Gennaio del 1110, studiato sull’edizione offerta da K. A. KEHR, Die Urkunden der normannisch-sicilischen Kònige – Eme diplomatische Unterzuchung, Innsbrucek, Verlag der Wagner’schen Universitats Buchhand Lung 1902, p. 413 55. Tale diploma senza sostanziali variazioni è riportato nel COD.VAT.LAT. 8034. L’edizione offertaci dal Kehr è il risultato della collazione eseguita dall’A. tra l’originale più antico conservato nell’Archivio del Laterano e il transunto offertoci dal Cod.Vat.Lat. 8034 ai ff. 20, 20v, 21, 21v. SENTENZA DELL’ARCIVESCOVO RUGGERO DI REGGIO IN FAVORE DELLA CHIESA Dl BAGNARA addi Febbraio 1168. Tale diploma, inedito fino al momento, trovasi nel COD.VAT.LAT. 8034 ai ff. 30, 30v, 31, 3l~. U. FALcA~oo, La Historia o Liber de regno Sicilie e la Epistola ad Fetrum panormitanae ecck~ie thesaurarium (nuova edizione sui codici della Biblioteca Nazionale di Parigi a cura di G.B. Siracusa), Roma 1897, p. 92 (a p. 91 il Siracusa discute sul nome del vescovo di Mazara). 2 E. JAMISON, Note e documenti per la storia dei conti normanni di Catanzaro, A.S.C.L., I (1931), fasc. IV, p. 463. L’A. cita un Ugo Lupino dicendo che: “già nel febbraio dell 168 egli porta il titolo di Conte di Catanzaro, di maestro giustiziere e connestabile di tutta la Calabria”. 3 K. A. KEHR, Die Urkunden…, p. 411-412. L’A. riporta anche il nostro diploma di fondazione. Per esso vale quanto detto per il diploma di Adelasia: è il frutto di una collazione tra l’originale più antico, che trovasi nell’archivio del Laterano, catalogato Q 7 C. 7, e il transunto che ci offre il COD. VAT. LAT. 8034 ai ff. 12, 12v, 13. 4 F. UG~FLLI, Italia sacra, tomo IX, editio secunda aucta et emendata, cura et studio Nicolai Coleti, Venetiis, Coleti 1721 (ora ristampata integralmente da Arnaldo Forni, Sala Bolognese 1981), p. 429 (Scyllacenses Episcopi), dove riporta un diploma datato marzo 1110, della contessa Adelasia, emanato pure esso in Messina, che l’Ughelli dice riportato “in tabulis… quae in Archivio Squillacensis Episcopatus adhuc cxtant”. Ci offre un panorama dci baroni e degli altri personaggi che compongono la regia curia, per cui avvalora e complementa il nostro emesso nel gennaio 1110, e delle più alte autorità ecclesiastiche allora presenti in Messina. Così troviamo “Angelerii Catanensis (epc.), et Arnaldi Paleocastrensis (epc.), et Roberti Morelli (sic), et Gosberti de Licia. et Willelmi de Altavilla, et aliorum multorum”. E più innanzi, rinominando quali testimoni gli ecclesiastici sopra menzionati, il documento prosegue citando “et praenominatos tres Barones Robertum Borrellum, Gosbertum de Licia, Willelmus de Altavilla, opportunum propterea ducimus Christophorum Admirabilium ct bonum Notarium (sic)” “Pracdictae donationi interfuerunt etiam Tancredus de Siracusa, et Gotfredus de Ragusa, et Robcrtus Avenellus, et Radulphus de Belvaco”. É evidente che ad errori di copiatura o di stampa si aggiungono errori di interpretazione o di trascuratezza, per cui il documento che l’Ughelli ci trasmette ha una lezione tutta da rivedere; comunque in esso troviamo nomi di baroni a noi familiari (perché ricorrenti sotto svariati aspetti, nei diplomi che riguardano la chiesa di Bagnara), nonché Bono il notaio, che nel diploma di Adelasia di soli due mesi Innanzi è chiamato “protonovellissimum nostrum compatrem dominum Bonum”. 5 V. CAPIALBI, Memorie per servire alla storia della santa chiesa militese Napoli 1835, p. 136:

Post Author: Gianni Saffioti