Rocco De Nicola

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Tratta dal periodico Calabria Emigrazione dell’Agosto Settembre 1990.

Mi chiamo Rocco  De Nicola e sono nato a Bagnara Calabra il 14 giugno 1915, quarto di sette fratelli, tutti educati fin da piccoli all’amore per le arti, soprattutto quella figurative. Due miei fratelli, che ancora risiedono in Calabria, hanno ricevuto premi per le loro opere di cultura e di scultura. Anche in campo musicale la mia famiglia ha dato prova del suo valore: i miei tre fratelli più grandi hanno militato nel complesso bandistico Banda di Calabria, diretta dal maestro Francesco Alati, vincitore del primo premio al concorso bandistico di Firenze nel 1922; il gruppo successivamente venne sciolto d’autorità in quanto non accettò di incorporarsi come banda della milizia fascista. Proprio in quel periodo comincia la mia storia di emigrante in quanto seguii nel 1926 i miei genitori in Argentina per il mio primo soggiorno nel Paese sudamericano. Frequentai le scuole italiane di Buenos Aires, proseguendo gli studi artistici già avviati in Italia, finché nel 1930 rimpatriammo a causa delle cattive condizioni di salute di mia madre. Ritornai in Argentina circa due anni dopo nel 1932 e ripresi gli studi artistici frequentando le scuole superiori (l’arte, avendo la fortuna di avere fra i miei docenti due cosentini, i professori Pugliese ed Orlando). Anche se lontano non ho mai dimenticato la Patria e già nel 1934 assieme ad altri connazionali fondai l’associazione culturale e sociale italo-argentina di cui fui segretario, data anche la mia giovanissima età. Nel frattempo, nel 1936, era scoppiata la guerra per la conquista dell’Abissinia e feci immediatamente domanda per essere arruolato come volontario e dare cosi il mio contributo a quello che allora ci veniva presentato come il modo migliore per far progredire la Nazione. Purtroppo non venni inizialmente giudicato idoneo al servizio in quanto avevo un piede difettoso, ma non  mi persi d’animo; mi feci operare e, dopo l’esito positivo della nuova visita medica, fui destinato al 4′ Reggimento bersaglieri di stanza a Torino. Mentre completavo il periodo di addestramento la guerra terminò e così dopo otto mesi di servizio militare fui congedato senza aver combattuto in terra d’Africa, ma soltanto partecipato ad una mostra di pittura promossa dal Comune di Torino per giovani artisti non ancora affermati. Potevo quindi ritornare in Argentina e completare i miei studi artistici, come si può notare un pò discontinui, e partecipare a numerose mostre di pittura con molti e altri affermati pittori argentini.  Ma l’amor patrio ed anche gli affetti familiari mi tenevano legato all’Italia ed aspettavo l’occasione per servirla. Purtroppo non dovetti aspettare molto, nel 1940 scoppiò le Seconda Guerra Mondiale e corsi ad arruolarmi volontario. Stavolta venni subito dichiarato idoneo e destinato al 19’ Reggimento fanteria «Brescia», di stanza a Catanzaro, ed immediatamente inviato sul fronte libico, dove sono stato per circa tre anni per poi essere congedato provvisoriamente nel dicembre 1942 per avvicendamento dei reparti. Ritornai così nella mia Bagnara con il grado di sergente maggiore e una decorazione al valore militare conquistata sulla piazza di Tohruk. Durante la mia lunga licenza in Calabria incontrai una mia cugina Francesca de Liguori, che sposai nel 1913 e dopo circa un anno nacque la mia  prima figlia di nome Maria. E nel 1946 fu la volta il secondo figlio, Carmelo.  Nel frattempo era finalmente terminata la guerra ed ebbi il congedo. Cosi cominciai a lavorare con mio  fratello al restauro di numerose chiese di Bagnarca danneggiate dalla guerra e dagli anni.

Nel 1948 nacque mia figlia Ninetta e nel 1949 decisi di rientrare in Argentina, oramai diventata la  Mia seconda patria. Stavolta un distacco pia duro dei precedenti, anche perché  lasciavo i miei genitori con lo quasi certezza di non rivederli mai più – come infatti avvenne –  e la mia famiglia da cui mi feci raggiungere l’anno successivo.

In Argentina, dove  nacquero 3 miei figli (Rocco Nunzio, Aurora ed Enrico), ho continuato a decorare e restaurare chiese, tra cui quella  dedicata a San Nicola di Bari di grande importanza storica poiché sul suo campanile il generale Belgrano fece issare la prima bandiera dell’Argentina indipendente, e la cappella di San  Francesco di Paola dell’ Associazione Calabrese in Argentina. Debbo però dire che questo paese ricco di materie prime e con grandi potenzialità agricole dorrebbe essere meglio governato. Se il suo ricco patrimonio venisse sfruttato la crisi economica attuale troverebbe almeno una parziale soluzione. Non si assisterebbe così al fallimento di numerose imprese di incalcolabile valore a bellissime città lasciate  in uno squallido abbandono, a famiglie costrette a vendere la casa frutto di anni di duro sacrificio, così come è capitato a me.

Anche in mezzo a tante difficoltà non ho mai dimenticato l’Italia e la Calabria come dimostrato dall’attiva collaborazione data alle varie associazioni italiane senza alcun tornaconto personale anzi rimettendoci economicamente. Sono stato infatti, nominato componente del Consiglio direttivo della Federcombattenti argentina e componente del Comitato direttivo dell’Unione Assistenza e Benevolenza, società fondata da italiani nel 1856, nata per proteggere i nostri concittadini privi di rappresentanza diplomatica non essendo ancora completata l’Unità nazionale e avente come padrini onorari Giuseppe Garibaldi e Giuseppe Mazzini. Sono stato anche presidente effettivo del Circolo italiano di Berazategui per cinque anni, durante i quali ho raccolto i fondi che hanno consentilo ai miei successori la costruzione dell’attuale sede. Come delegato per il sud America dell’associazione sottoufficiali in congedo ho fondato cinque sezioni in Argentina, una in Uruguay, due in Brasile, una in Perù e una in Paraguay. Sono riuscito ad avere molti contatti con i reduci argentini fino ad organizzare nella base militare di Campo de Mayo la commemorazione del sergente Cabral, caduto sul campo di battaglia durante la Guerra d’indipendenza Argentina, alla manifestazione hanno preso parte sia autorità militari argentine, sia autorità diplomatiche italiane.

Ma intanto, era il 1976, mio figlio doveva contrarre matrimonio in Australia e tanto lui quanto i parenti della sposa pretesero la presenza mia e di mia moglie alla cerimonia nuziale. Dopo che assistetti alla celebrazione del matrimonio e mi apprestavo a ritornare in Argentina, mio figlio mi invitò a rimanere in Australia, paese pacifico e senza grossi problemi sociali ed economici. Non mi fu molto difficile accettare questa offerta: la situazione in Argentina era ulteriormente peggiorata, sia in campo economico, sia in quello politico, e le sparatorie in strada erano ormai una consuetudine a Buenos Aires. Dopo aver salvato la pelle durante la seconda guerra mondiale non avevo nessuna intenzione di perderla innocente in un paese straniero e quindi accettai l’invito trasferendo anche il resto della famiglia in Australia.

Debbo dire che, malgrado tutto, ho lasciato con un po’ di rimpianto l’Argentina, nazione dove ho trascorso 43 anni della mia vita, dove ho maturato le mie esperienze di lavoro, dove sono cresciuti i miei figli. Ma debbo anche essere riconoscente alla terra australiana, dove i miei figli hanno trovato quella sistemazione che forse in Argentina non avrebbero avuto. Oggi, infatti, tutti si sono ben inseriti nella vita sociale e professionale australiana e hanno formato una loro famiglia, dandomi anche 13 nipoti. Anch’io mi sono inserito nella società australiana. Infatti, ho continuato a dipingere, partecipando a varie mostre con buon successo di critica, di pubblico e anche di vendite. Grazie a questa attività ho acquisito il diritto a percepire una pensione australiana, diritto non riconosciutami ne dall’Argentina, ne dall’Italia, malgrado gli otto anni di servizio militare.

Anche nel Nuovissimo continente ho avuto modo di ricordare i combattenti, non solo presenziando alle manifestazioni commemorative, ad esempio il 4 novembre, ma anche fondando associazioni di reduci. Subito dopo il mio trasferimento dall’Argentina mi giunse dall’Italia la nomina a delegato per le associazioni combattenti e reduci in Australia. Non persi tempo e in breve, grazie anche all’aiuto dei reduci già residenti, fondai tre sezioni dell’Associazione sottoufficiali in congedo a Melbourne, Sidney e Adelaide, successivamente ho fondato l’Associazione bersaglieri reduci con due sezioni, una a Sidney e l’altra a Melbourne. Come si può notare, malgrado abbia trascorso molta parte della mia vita lontano dall’Italia, non l’ho mai dimenticata, proprio come un figlio non dimentica mai la madre.

Ho anche fondato l’Associazione pensionati italiani di Sredner di cui sono nato presidente per tre anni durante i quali da quindici soci fondatori che eravamo, oggi siamo diventati tremila.

Qualche anno fa ho incontrato il signor Frank Labbozzetta, rappresentante della Regione Calabria in Australia, che mi fece conoscere il «Circolo Calabrese Tommaso Campanella» e, anche a nome del direttivo, mi invitò a presiederlo. Lasciai ad altri la responsabilità direttiva dell’Associazione pensionati e decisi di dedicarmi a questo nuovo circolo, diretta espressione della mai dimenticata Calabria.

Malgrado gli anni trascorsi ho sempre la mia Bagnara negli occhi e nel cuore, e ovunque sia stato ho sempre cercato di far vedere come i calabresi non sono quelli che arrivano sporchi e laceri con la valigia di cartone legata con lo spago, ma provengono da una terra che ha saputo dare al mondo numerosi uomini illustri, esempio di moralità e di ingegno.

Auguro, pertanto, a tutti gli emigrati italiani, soprattutto a quelli calabresi, buona salute, gridando «Viva l’Italia!» (che è anche l’antico nome della Calabria).

Tratta dal periodico Calabria Emigrazione dell’Agosto Settembre 1990.

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Post Author: Gianni Saffioti