‘I posti per la “caccia” al pescespada a Bagnara Càlabra, secondo la trascrizione fonetica della Carta dei dialetti italiani a cura del prof. Michele De Luca

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‘I posti per la “caccia” al pescespada a Bagnara Càlabra, secondo la trascrizione fonetica della Carta dei dialetti italiani

a cura del prof. Michele De Luca

01 Posticéa

02 Surrantínu

03 Perilápa

04 Santu Leu

05 Ggrútta

06 Mustulá

07 Cefaréa

08 Santi

09 Gramá

10 Bbellúhji

11 Capu, o Turri

12 Marturánu

13 Sirena

14 Hjumára

15 Peṭṛi Canáli

16 Aría

17 Scírtiri

18 Ṛṛústicu

Nota:

Hj è la trascrizione, con lettere latine, di greco χ davanti a iòta; Ṛṛ è il suono della vibrante invertita geminata nella pronuncia calabrese; ṭṛ  è un nesso gengivalizzato di cal. e sic. máṭṛi  ‘madre’, páṭṛi  ‘padre’, ecc.

Riprendo uno studio sulle poste del pescespada a Bagnara Calabra, lasciato in sospeso nel lontano 1995, al quale aveva collaborato uno dei più bravi guardiani, avvistatori di terra, di pescespada, Carmelo Perrello, detto “u fascista”.

Lo riprendo grazie alla collaborazione di Giovanni Salerno, Antonio e Carmelo Iannì e alla passione per lo studio del dialetto e le tradizioni popolari del prof. Michele De Luca.

Ad ogni numero delle postazioni che si trovavano su un piccolissimo appezzamento di terreno di terre coltivate che si affacciavano sul mare, corrispondeva un nome contrassegnato con un numero, come specificato nella tabella sopra. Quasi tutti i nomi dialettali, prevalentemente quelli agli estremi, ed in particolare quelli della costiera, erano di origine greca. La prima posta era assegnata ai tunnaroti, ovvero quelli della tonnara di Palmi, poiché si trovava sul territorio palmense, e, non essendo da costoro usata, era data in concessione alla marineria di Bagnara. Anche le poste situate sul territorio di Seminara erano usate dalle barche bagnaresi, in quanto Seminara non aveva mai avuto tradizioni marinare. Tali poste sono contrassegnate dai numeri 02 e 03 prima del confine territoriale tra i due comuni, che era delimitato dalla sorgente dell’Olmo, che coincideva con il costone sud della spiaggia della Iancuia. Tutte le altre poste, tranne l’ultima, erano nel territorio bagnarese, che a sud era delimitato e diviso da Scilla dal torrente Mancusi, fino alla fine della spiaggia di Praialonga. L’ultima posta, era quindi, nel territorio di Scilla.

          Da sottolineare che le poste erano occupate di giorno dai guardiani, che segnalavano agli uomini dei luntri il girovagare del pescespada, mentre di notte, quando, per l’oscurità, non c’era bisogno di costoro, ognuno poteva usufruire di uno spazio di mare per calare le reti, limitandosi a mantenere solo una posizione orizzontale della cala, rispetto alla costa, di cui accennerò dopo.

          Diciamo subito che la postazione di Bbellúhji non prevedeva l’avvistatore e che la barca che “cacciava” su quello specchio di mare, situata dove c’è adesso il porto, seguiva le segnalazioni dei guardiani ai due estremi. Gli avvistatori occupavano un piccolo spazio di terreno, spesso al confine tra le vigne, all’estremità della collina dove di buon mattino si avviavano a piedi, se la posta era in prossimità al paese, mentre se la postazione a lui assegnata era in una zona lontana, impervia e difficile da raggiungere, era accompagnato con la barca dall’equipaggio con il quale lavorava fino alla base della collina, per poi salire utilizzando le scale delle vigne.

          L’equipaggiamento dell’avvistatore comprendeva un pezzo di pane con scarso companatico, una brocca d’acqua (‘a bbúmbula), un pezzo di canna a cui legare un fazzoletto bianco, per la segnalazione e un cappello di paglia del difendersi dal sole.

          La mattinata la passava in piedi, perché il mare era troppo scuro e da seduto non avrebbe potuto vedere il pesce; poi, quando il sole si alzava dalle montagne e illuminava il mare, avrebbe potuto sedersi e scrutare l’orizzonte con più sicurezza. L’abilità degli avvistatori era quella di saper distinguere il pesce dal luccichio delle onde in qualsiasi condizione del mare, scrutandone ogni riflesso, e in base a come esso si presentava, intuire e prevedere ogni movimento d’u pisci.

          Oltre alle 18 imbarcazioni, che durante il giorno erano a “caccia” del pescespada, nello specchio d’acqua a loro consentito, era permesso ad altre imbarcazioni di poter “cacciare” più a largo, ad una ragionevole distanza dalle barche ufficiali. E tali barche in gergo erano dette ca jívinu a rranti, andavano erranti.

          Tutte le barche sottostavano a delle regole fisse, per gli spostamenti, con turni ben precisi, sottoscritti prima del 25 aprile di ogni anno, con la delegazione della capitaneria. La “caccia”, iniziata in questa data, terminava il 29 giugno. Gli spostamenti erano giornalieri, dalla prima verso l’ultima posta, dove partecipavano tutte le barche, anche quelle erranti.

          La pesca con le reti era un poco più complicata, in quanto il tratto di mare bagnarese è attraversato dalle forti correnti dello Stretto, ‘u  Canali. Le reti si calavano all’imbrunire, in gergo a scurò. Le reti, un tempo, non erano come quelle di oggi, soprattutto come dimensioni; la rete più grande era di 400 passi, in media erano tutte sui 350 passi.

          Se la corrente era montante (muntanti) la rete si calava con la prua della barca verso torre Faro e le barche seguenti le calavano iniziando da dove l’imbarcazione precedente aveva finito. Se la corrente era calante (scindenti) si faceva lo stesso giro con la prua della barca verso il Capo. Lo spazio quindi permetteva solo quattro imbarcazioni per posta ben definite e denominate: prima, fora una, fora dui e fora tri. Anche in questo caso il regolamento prevedeva la rotazione sistematica delle imbarcazioni e il criterio e il rispetto di quelle regole era fondamentale per non scontentare nessuno. Oggi, purtroppo, non esistono regole e spesso le imbarcazioni si disturbano tra di loro, per disporre dello specchio di mare ritenuto più pescoso.

Gianni Saffioti

 

Post Author: Gianni Saffioti