“Bagnarotazza, fimmina ‘rresciuta, simenza d’a Calabria fort’e sana…”

“Bagnarota, donna realizzata, seme della Calabria forte e sana…”

di: Vincenzo Spinoso

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Così Vincenzo Spinoso, artista calabrese scomparso prematuramente dalle scene della poesia dialettale, descrive l’operosa femmina di Bagnara, conosciuta coll’ormai famoso appellativo di “Bagnarota”. Ma pochi versi non possono rendere giustizia al fascino e al mistero che la donna di Bagnara racchiude in sé. Da sempre, la sua figura è stata associata a quella di lavoratrice instancabile, bravissima nel baratto e nel commercio pratica che le permetteva di mostrare il suo temperamento ribelle e deciso nei rapporti con la gente. Le attività commerciali di queste donne, come si è solito dire, perdono le loro tracce nelle notti dei tempi: si pensa infatti che smerciassero ogni genere di mercanzia ancor prima che il terremoto del 1783 mettesse in ginocchio la popolazione di Bagnara. Ma fu proprio grazie a loro, alla loro bellezza dura e rugosa, forte e dolce allo stesso tempo, che molti uomini si trasferirono dall’entro terra al mare. Il ricordo più bello e sicuramente più commovente che rimane impresso nella mente degli  abitanti di Bagnara è la similitudine, il buffo accostamento tra queste donne così volitive e una fila di laboriose formiche, che portano sul loro capo carichi di merce depositata in miseri cesti di vimini. Ma è proprio in questo quando le si vedeva affondare i piedi scalzi – per loro era uno spreco comprare un paio di scarpe per lavorare – nelle terre brulle dell’Aspromonte, quando con la più schietta semplicità contrattavano sul prezzo della merce che tanto faticosamente portavano sul capo, che le donne di Bagnara sono diverse dalle altre. Sono mamme, mogli, casalinghe e lavoratrici allo stesso tempo, hanno sempre saputo conciliare tutto e nel modo migliore. Un episodio che è rimasto impresso nelle pagine di storia di Bagnara, è il loro commercio “intrallazzistico” o ancor meglio contrabbando del sale al tempo del governo fascista. Pur di non pagare il dazio, nascondevano la merce fra le pieghe delle loro larghe gonne, il rinomato “saio”, e una volta arrivate sul treno, poiché la loro attività interessava principalmente la Calabria e Messina, sistemavano i piccoli pacchetti sotto i sedili rendendo complici anche i passeggeri. Ma se da un lato, la Bagnarota è osannata per la sua forza d’animo, è ricordata per le vesti che le fasciavano il corpo dalle forme giunoniche e statuarie, per la “curuna” – un cuscinetto di stoffa che metteva sul capo – che in un certo senso doveva alleggerire il pesante fardello, dall’altro è criticata, attaccata per i suoi modi. Le sue urla per la vendita del pesce, i suoi atteggiamenti fin troppo sicuri hanno fatto sì che queste donne instancabili venissero etichettate come “sboccate”. Ma dietro ad ogni viaggio, a ogni commercio si nasconde anche per la Bagnarota il desiderio di evasione, che è anche bisogno di vita. La donna di Bagnara rappresenta una parte di storia molto importante, quella vera e quella vissuta e per lei non si può esigere altro che il massimo rispetto, poiché ha conosciuto come esperienza quotidiana il lavoro che stanca, logora, sfinisce.

Breve descrizione della bagnarota

di Vincenzo Spinoso

del 1949

La similitudine virgiliana tra gli uomini di Enea che, nell’ ansia di lasciare 1′ Africa, depredano i boschi e spingono in mare le loro navi e le formiche, pensose dell’inverno, si precipitano fuori dalla loro tana alla ricerca del necessario, non perderebbe la sua intima bellezza, se accoppiata alla quotidiana fatica delle operose femmi­ne di Bagnara, le ormai celebri Bagnarote che, chiuse nel loro ca­ratteristico costume, si spingono al di la del pugno di colline che rinserra le loro case, al di la della provincia, al di la della regione, nella ricerca del pane pei loro figli, uomini senza lavoro.

Migrantes cernas totaque ex urbe ruentes

E’ basta sostare all’ alba sul piazzale della nostra stazione, per vederle arrivare da ogni strada, da ogni vicolo, da ogni sentiero, portanti in bilico sul capo le ceste caratteristiche, ricolme delta ro­ba, che anche qui assume la valenza tragica verghiana, e che e la fonte dei loro commerci, ora leciti ora illeciti; dei loro guadagni, ora grandi ora meschini. E di qua si partono nelle due direzioni. Opposte per sventagliarsi da ogni stazione, fin nelle contrade lonta­ne, irraggiungibili. E in borgate, in paesi, in città restano inconfon­dibili, con la parlata viva, pronta, sonora; per il passo lungo e 1’in­cedere, quasi ieratico; per i costumi che fasciano i loro corpi dai li­neamenti forti, un po’ duri, un po’ patiti, ma segnati dai piu puri ca­noni della femminilita.Intorno a queste femmine, al loro lavoro e fiorita una letteratura, in certo senso stupida, in quanto tende a mettere in evidenza i lati cattivi e amorali di esse, facendole apparire come creature im­possibili.La causa di ciò va ricercata innegabilmente in quel guar­darle, vederle, giudicarle quando, in lotta contro tutto e contro tutti, per la difesa della loro roba, che e pane per i tanti della loro casa, sono portate ad assumere atteggiamenti di lotta, che fanno dimenticare tutto cio the e segno di educazione; ignorandole, di contro, quando nelle loro case vivono la loro vita di madri, di donne che può trasfigurarle agli occhi di un osservatore obiettivo.Neghiamo che la loro invadenza rumorosa, la loro spregiudicatezza, la loro rozzezza siano qualita innate. Emergono in esse questi valori nega­tivi perche una lotta è aperta e, di fronte alla legge della foresta, queste creature si fanno tigri per non soccombere. Considerazioni superficiali fanno risalire al fenomeno intrallazzistico l’ intrapren­denza commerciale delle forti e volitive donne di Bagnara, per af­ferrare i motivi veri, basta considerare, nella sostanza sociale e psi­cologica, cio che e stato il lavoro di queste donne prima, cio che è divenuto dopo che il progresso dei trasporti e le crisi commerciali le spodestassero miseramente, le immiserissero.E innegabile che la guerra, potente generatrice di ricchezze e di miserie, di spregiudicatezza e di eroismi, ha contribuito ad allarga­re, a rendere a volte antiumana questa migrazione quotidiana. Ma in verità è sempre esistito fra le nostre donne quel bisogno di eva­sione, che è anche bisogno di vita: ieri, verso i centri vicini, portate dalle loro gambe robuste, verso le rovinose strade d’ Aspromonte; oggi, in numero grande su tutti i possibili e impossibili mezzi di lo­comozione, per le vie del meridione tutto ed oltre.Queste donne te­naci, anche quando dimenticano i limiti della convenienza e del ri­spetto, amiamo immedesimarle alla tragica terra ballerina sulla quale abbiamo la nostra casa, sotto la quale riposano i nostri morti: terra che frana, travolge, rovina, ma, al di sopra di ogni distruzione, afferma la vita nel trionfo di un fiore, il piu semplice.

E noi, che conosciamo le bellezze e le brutture della loro vita di faticatrici, non possiamo, nonostante tutto, non ammirarle; non possiamo non esigere per esse il rispetto massimo di chi conosce come esperienza quotidiana il lavoro che stanca, logora, sfinisce.

La similitudine virgiliana tra gli uomini di Enea che, nell’ ansia di lasciare 1′ Africa, depre

tratto da

EPISTOLARIO E DIARIO

a cura

del circolo Rhegium Julii

maggio 2002

 

Post Author: Gianni Saffioti