Vincenzo Morello (Rastignac)

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Vincenzo Morello (Rastignac)

In occasione del sessantesimo anniversario della morte di Rastignac, in un articolo della Gazzetta del Sud della fine di marzo del 1993 leggiamo alcune notizie, le solite di carattere biografico, che ci illustrano la figura di uno dei bagnaroti più intraprendenti tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900..

“Nato a Bagnara l’11 luglio del 1860, morì a Roma  il 30 marzo del 1933. Si dedica, giovanissimo, al giornalismo prima come redattore di( periodici di battaglia), poi come collaboratore de (La tribuna), dove consolida la sua fama di grande scrittore e di polemista: ecco perché sceglie per pseudonimo uno dei personaggi di Balzac (Rastignac).

Nel 1894 fonda con Bobbi e Bellodi (Il giornale), rivolto contro gli oppositori di Crispi e Zanardelli, poi passa con Giulio Sartorio a (Tritone Illustrata). A Palermo nel 1908 fonda e dirige il quotidiano (L’Ora), mentre a Firenze nel 1909 dà vita alla rivista (Cronache Letterarie), a cui collaborano gli scrittori più rappresentativi del tempo.

Filosofo, pensatore profondo, valoroso penalista, oratore raffinato, Vincenzo Morello di distingue nelle commemorazioni di Carducci e Boccaccio e nell’inaugurazione del monumento ai caduti della guerra del 1915 – 1918 a Reggio Calabria. Nominato senatore nel 1923, dal 1926 riveste la carica di commissario della SIAE ed è anche membro della Commissione permanente per l’arte musicale e drammatica di Roma.”

Questo è in sintesi Vincenzo Morello visto da e descritto da chi lo ha usato e continua ad usarlo come pezzo pregiato d’antiquariato pronto da lustrare e vendere all’occorrenza.

Un’analisi più approfondita viene fatta da Salvatore Mario Barbaro In un articolo del 28 marzo del 1993 su Nuovi Orizzonti, periodico della parrocchia di SS Maria degli Angeli di Bagnara.

Qui il discorso entra direttamente sul pensiero e sul carattere del personaggio che intelligente e schivo alla mediocrità della politica e della società stessa, sfrutto il momento storico per diventare, inconsapevolmente, uno dei primi elementi importanti nella catena che portò l’Italia alla catastrofe della seconda Guerra mondiale.

Secondo Morello, i politici erano tutta gente che curava i propri interessi, ed il popolo non era libero nella espressione del voto: il suo ragionamento girava in un vortice di Compromessi ed intrallazzi parlamentari che finivano per fare dal parlamento una propria dittatura. Quindi per ovviare a tutto ciò, L’Italia aveva bisogno di un uomo di stato come il Danton della rivoluzione francese, un realizzatore. Egli trovo quest’uomo nella persona di Benito Mussolini del quale ne scrisse le Odi.

Cosi scrive, su rastignac, Antonino Fedele, Già redattore politico del (Progresso Italo Americano):

“Vincenzo Morello, mori nel 1933, Mussolini non era ancora giunto alla storica svolta che lo accostava ad Hitler e alla sua disastrosa anzi esiziale politica bellicistica. Ma il grande giornalista bagnarese aveva presentito la catastrofe e nel libro (La Germania si sveglia) non solo preconizzato il blitz della riscossa e dell’espansionismo tedesco, ma pure aspramente stigmatizzato ogni prospettiva di guerra, in questi termini: ( Da qualunque parte venga, o dalla Germania per la rivendicazione della sconfitta o dalla Francia per la difesa del Trattato, una guerra sarebbe domani la più tragica delle follie, nella quale sommergerebbe, senza più speranza di risorgere, quel che ancora resta delle forniture e della civiltà della vecchia Europa).”

Immensa sarebbe stata la sua delusione per la piega che la dittatura fascista poi prese con tutte le conseguenze che causò.

L’aspetto più veritiero della figura di Rastignac è senz’altro quello del polemista. Abilissimo a scrivere e denunciare i politici ed il palazzo,  spesso i suoi articoli erano delle bombe ad orologeria, puntuali persino a far cadere o rimpastare i Governi.

La sua abilità nello scrivere lo porto a dedicarsi anche alla poesia, alla prosa ed al teatro, campi decisamente più impegnativi e meritevoli di tempo e dedizione, per questo pur vantando numerose pubblicazioni, le sue opere non sono mai state considerate dai critici, quelli veri, opere di una certa importanza.

La prof. Isabella Loschiavo, discendente del Morello, cattura in una felicissima espressione la figura del giornalista, definendolo (Figlio del suo tempo). Nel suo libro del 1983 (Vincenzo Morello), forse la gentile professoressa enfatizza un po’ troppo la figura del suo parente, tanto che sembra quasi essere il super uomo della letteratura italiana del novecento. Non Per sminuire la figura di colui che nel campo del giornalismo e grazie alla sua abilità di scrittura fu considerato la migliore penna d’Italia della sua epoca, ma analizzando alcune delle sue opere letterarie, si scopre che il nostro personaggio sfrutta il momento a lui favorevole per dedicarsi a generi di scrittura e soprattutto di critica che per uno impegnato nel giornalismo come lui, richiedono tempo e dedizione per essere affrontati seriamente. Porto solo un esempio per rendere concreto il discorso. Prendiamo in esame un libro del Morello del 1927 ed. Mondadori dal titolo Dante, Farinata, Cavalcante.

Critica al poema Dante,Farinata,Cavalcante.

Cosi Antonio Gramsci, per le più importanti università americane tra i massimi critici letterari del nostro secolo, commenta: “ Nella scheda bibliografica  dell’editore è detto: (Le interpretazione del Morello daranno occasione a discussioni fra gli studiosi, perché si distaccano completamente da quelle tradizionali, e vengono a conclusioni diverse e nuove).  Ma il morello aveva una qualsiasi preparazione per questo lavoro e per questa indagine? Egli inizia lo scritto così: (La critica dell’ultimo trentennio ha così profondamente esplorato le sorgenti (!) dell’opera dantesca, che ormai i sensi più oscuri, i riferimenti più difficili, le allusioni più astruse e perfino i particolari più intimi dei personaggi delle tre Cantiche, si può dire siano penetrati e chiarificati). Chi si accontenta gode! Ed è molto comodo muovere da una simile premessa: esime dal fare un proprio lavoro e molto faticoso di scelta e di approfondimento dei risultati della critica storica ed estetica. E continua: (Sì che, dopo la debita preparazione, noi possiamo oggi leggere ed intendere la Divina Commedia, senza più smarrirci nei labirinti delle vecchie congetture, che la incompleta informazione storica e la deficiente disciplina intellettuale gareggiavano nel costruire a rendere inestricabili). Il Morello dunque avrebbe fatto la debita preparazione e sarebbe in possesso di una perfetta disciplina intellettuale: non sarà difficile mostrare che egli ha letto superficialmente lo stesso canto X e non ha compreso la lettera più evidente. Il canto X è secondo il Morello, (per eccellenza politico) e (la politica, per Dante, è una cosa sacra, quanto la religione), quindi occorre una (disciplina più che rigida) nella interpretazione del canto X per non sostituire le proprie tendenze e le proprie passioni a quelle altrui e per non abbandonarsi alla più strane aberrazioni. Il Morello afferma che il canto X è per eccellenza politico, ma non lo dimostra e non lo può dimostrare perché non è vero: Il canto X è politico come politica è tutta la Divina  Commedia, ma non è politico per eccellenza. Ma al Morello questa affermazione fa comodo per non affaticare le sue meningi; poiché egli si reputa grande uomo politico e grande teorico della politica, gli sarà facile dare un interpretazione politica del canto X dopo aver leggiucchiato il canto nella prima edizione venuta alla mano, servendosi delle idee generali che circolano sulla politica di Dante e di cui ogni buon giornalista di cartello come il Morello, deve avere una qualche infarinatura nonché un certo numero di schede d’erudizione.

Che il Morello non abbia letto che superficialmente il canto X si vede dalle pagine in cui tratta dei rapporti tra Farina e guido Cavalcanti (p.35). Il Morello vuol spiegare l’impassibilità di Farinata durante lo svolgimento (dell’episodio) di Cavalcante. Ricorda l’opinione del Foscolo, per il quale questa indifferenza dimostra la forte tempra dell’uomo, che (non permette agli affetti domestici di distoglierlo dal pensare alle nuove calamità della patria) e del De Sanctis, per il quale il Farinata rimane indifferente, perché (le parole di Cavalcante giungono al suo orecchio, non all’anima, che è tutta fissa in un pensiero unico: L’arte mall’appresa). Per il Morello vi può essere (forse una spiegazione più convincente). Cioè (Se Farinata non muta aspetto ne muove collo, ne piega costa, così come il poeta vuole, è, forse non perché insensibile o non curante del dolore altrui, ma perché ignora la persona di Guido, come ignorava quella di Dante e perché ignora che Guido ha stretto matrimonio con sua figlia. Egli morto nel 1264, tre anni prima del ritorno dei Cavalcanti a Firenze, quando guido aveva sette anni; e si fidanzò con Bice all’età di nove anni (1269), cinque anni dopo la morte del Farinata. Se è vero che i morti non possono conoscere da se i fatti dei vivi, ma soltanto per mezzo delle anime che li avvicinano, o degli angeli o dei demoni, Farinata può non conoscere la sua parentela con Guido e rimanere indifferente alle sorti di lui, se nessuna anima o nessun angelo o demone gliene abbian portata notizia. Cosa che non pare avvenuta.) Il Brano è strabiliante da parecchi punti di vista e mostra quanto sia deficiente la disciplina intellettuale del Morello.

1) Farinata stesso dice apertamente a chiaramente che gli eresiarchi del suo gruppo ignorano i fatti (quanto s’approssiman e son), non sempre, e in ciò consiste la loro punizione specifica oltre l’arca infuocata (per avere voluto vedere nel futuro) e solamente in questo caso (s’altri non ci adduce) essi ignorano. Dunque il Morello non ha neanche letto bene il testo.

2)E’ proprio da dilettante, nei personaggi di un’opera d’arte, andare a cercare le intenzioni oltre la portata della espressione letterale dello scritto. Il Foscolo e il De Sanctis (specialmente il De Sanctis) non si allontanano dalla serietà critica; il Morello invece pensa realmente alla vita concreta di Farinata nell’inferno oltre il canto di Dante e pensa persino poco probabile che i demoni o gli angeli abbiano potuto, a tempo perso informare Farinata di ciò che gli era ignoto. E la mentalità dell’uomo del popolo che quando ha letto un romanzo vorrebbe sapere cosa hanno fatto ulteriormente tutti i personaggi (donde la fortuna delle avventure a catena): è la mentalità del Rosini che scriveva Monaca di Monza o di tutti gli scribacchiatori che scrivono le continuazioni di opere illustri o ne svolgono e amplificano episodi parziali.

Che tra Cavalcante e Farinata vi sia rapporto intimo nella poesia del Dante risulta dalla lettera del canto e dalla sua struttura: Cavalcante e Farinata sono vicini, i loro due drammi si intrecciano strettamente.

Ma l’incomprensione della lettera del canto da parte del Morello si rivela anche dove egli parla di Cavalcante, pp.31 e segg.: (E’ rappresentato, in questo canto, anche il dramma della famiglia attraverso lo Strazio delle guerre civili; ma non da Dante e da Farinata; sì bene da Cavalcante).

Perché il Morello dice (attraverso lo strazio di guerre civili)? Questa è una giunta cervellotica dello stesso Morello. Il doppio elemento, famiglia-politica, è in Farinata e infatti la politica lo sorregge sotto l’impressione del disastro familiare della figlia. Ma in Cavalcante solo motivo drammatico è l’amore figliale e infatti egli crolla appena è certo che il figlio è morto. Secondo il Morello, Cavalcante (domanda a Dante piangendo – Perché mio figlio non è teco? – Piangendo. Questo di Cavalcante si può veramente dire il pianto della guerra civile). Stupidaggine conseguente all’affermazione che il canto X è  (per eccellenza politico). E più oltre: (Guido era vivo all’epoca del mistico viaggio; ma era morto quando Dante scriveva, nonostante, per la cronologia del viaggio, dovesse infine apprendere al padre il contrario), ecc.: passo che dimostra che il Morello abbia appena sfiorato il contenuto drammatico e poetico del canto e l’abbia, letteralmente sorvolato nella lettera testuale.

Superficialità piena di contraddizioni perché poi il Morello si ferma sulla predizione di Farinata, senza pensare che se questi eresiarchi possono sapere il futuro, devono sapere il passato, dato che il futuro diventa passato: ciò non lo porta a rileggersi il testo e ad accertarne il significato.

Ma anche la cosi detta interpretazione politica che il morello fa del X canto è superficialissima: essa non è altro che la ripresa della vecchia quistione: Dante fu Guelfo o Ghibellino? Per Morello, sostanzialmente, Dante fu ghibellino e Farinata (è il suo eroe), solo che Dante fu ghibellino come Farinata, cioè (uomo politico) più che uomo di parte. si può in questo argomento dire tutto ciò che si vuole. In realtà Dante, come egli stesso dice, (fece parte per se stesso): egli è essenzialmente un intellettuale e il suo settarismo e la sua partigianeria sono d’ordine intellettuale più che politico in senso immediato. D’altronde la posizione politica di Dante potrebbe essere fissata solo con un’analisi minutissima non solo di tutti gli scritti di Dante stesso, ma delle divisioni politiche del suo tempo che erano molto diverse da quelle di cinquant’anni prima. Il Morello è troppo irretito nella retorica letteraria per essere in grado di concepire realisticamente le posizioni politiche degli uomini del Medio Evo verso l’Impero, il Papato e la loro repubblica comunale.

Quello che fa sorridere del Morello è il suo (disdegno) per i commentatori che affiora qua e là a p.52, nello scritto Cavalcanti e il suo disdegno dove dice che (la prosa dei commentatori spesso altera il senso dei versi); ma guarda chi lo dice!

Questo scritto Cavalcanti e il suo disdegno appartiene precisamente a quella letteratura d’appendice intorno alla Divina Commedia, inutile e ingombrante con le sue congetture, le sue sottigliezze, le sue alzate d’ingegno da parte di gente che per avere la penna in mano, si crede in diritto di scrivere di qualunque cosa, sgomitolando le fantasticherie del suo talentaccio.”

A conclusione di un serio e lungo commento sul decimo canto, Gramsci conclude cosi un suo pensiero sul Morello: “ Il modo migliore di presentare queste osservazioni sul Canto decimo pare debba proprio essere quello polemico, per stroncare un filisteo classico come Rastignac, per dimostrare, in modo drastico e fulminante, e sia pure demagogico, che i rappresentanti di un gruppo sociale subalterno possono far le fiche, scientificamente e come gusto artistico, a ruffiani intellettuali come Rastignac. Ma Rastignac conta meno di un fruscello nel mondo culturale ufficiale! Non ci vuole molta bravura per mostrarne l’inettitudine e la zerità. Ma intanto la sua conferenza è stata tenuta alla Casa di Dante romana: da chi è diretta questa casa di Dante della città eterna? Anche la Casa di Dante e i suoi dirigenti non contano nulla? E se contano nulla perché la grande cultura non li elimina? E come è stata giudicata la conferenza dai dantisti? Ne ha parlato il Barbi, nelle sue rassegne degli (Studi Danteschi) per mostrarne la deficienza ecc.? Eppoi, piace poter prendere per il bavero un uomo come Rastignac e servirsene da palla per un gioco solitario del calcio.”

Per Gramsci dunque Morello è un mediocre intellettuale che però ritiene appartenere alla (alta cultura). p:151 del suo libro Letteratura e vita nazionale, Editori Riuniti, stampato nel 1977.

“ Cosi quando si legge che uno è ammiratore del Balzac, occorre porsi in guardia: anche nel Balzac c’è molto del romanzo d’appendice. Vautrin è anch’egli, a suo modo, un superuomo e il discorso che egli fa a Rastignac nel Papà Goriot ha molto di ….. nicciano in senso popolaresco, lo stesso deve dirsi di Rastignac e di Rubemprè. Vincenzo Morello è diventato Rastignac per una tale filiazione….popolaresca e ha difeso (Corrado Brando).

Antonio Gramsci – opera già citata.

Morello e Bagnara

La gente di Bagnara, ricorda ancora  oggi le vicende  del Morello tramandate  dai loro padri  e i loro nonni.

I rapporti non sempre furono felici e man mano che il Morello diventava importante, il distacco con il paese natio si faceva sempre più grande, tanto da portare Rastignac a lasciare in eredità alla biblioteca di Reggio Calabria tutti i suoi numerosi volumi, ignorando completamente la Perla del Tirreno.

Egli prende parte attivamente alla vita politica cittadina e si schiera con il partito dei Rossi dei vari Candido, Albanese e Versace. Nelle ultime elezioni libere prima dell’avvento del fascismo, si candida a deputato della Repubblica contro De Leo del partito dei Bianchi.

Il popolo in quelle elezioni era tutto schierato con il Morello il quale invece non risultò vincitore e sistematicamente venne eletto De Leo. La gente, indignata per l’accaduto, ripudio Morello e Strappò tutte le sue foto buttandole in mezzo alla strada, sostenendo la tesi che il loro beniamino si era venduto ai De Leo.

La veridicità di questi fatti non posso documentarla se non con varie testimonianze che hanno tramandato oralmente quello che raccontavano i loro avi. A sostegno di ciò comunque, c’è la concordanza degli intervistati che confermano il tutto senza contraddizioni.

Altro episodio più facile da verificare, risale al trasporto della salma del Morello a Bagnara un anno dopo la sua morte. All’arrivo del feretro, il podestà costrinse la gente a partecipare al corteo funebre, ma tanta era ancora l’avversità contro il Morello che anche soccombendo alle volontà dei fascisti di seguire il corteo funebre, dopo che salma fu tumulata, i cipressi piantati vicino alla sua tomba, furono tagliati come sfregio. Ripiantati, furono ancora per due volte tagliati. Furono aperte inchieste e fatte minacce ma i colpevoli non vennero mai trovati. Morello in realtà non ha mai amato Bagnara e tanto meno i bagnaresi. I suoi beni, alla morte della sorella, quelli di un certo valore come quadri e statue, furono furbescamente depredati da notabili reggini e la poca roba rimasta fu sorteggiata tra i parenti. Molte lettere furono portate via durante l’ultimo periodo di vita della sorella da personaggi noti e meno noti che andavano a farle visita con lo scopo di effettuare delle ricerche. Il suo palazzo, quello dove oggi è sito il liceo scientifico  E. Fermi, fu comprato dal comune.

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Post Author: Gianni Saffioti