Monografia storica di Bagnara Calabra (…? – 1085)

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Monografia storica di Bagnara Calabra (…? – 1085)

 Prof. G. Fiumanò

 

Sommario. Sulla origine di Bagnara – ragioni storiche etnografiche che comprovano la sua esistenza molti secoli prima della venuta dei Normanni: Stazione balneare – il Portus Balnearum e non Balarum di Appiano – Rocca sul promontorio Marturano, Abbaglio del Cardone intorno alla lapide dei bagni: Mamerto e non Oreste. Presunzione di un’origine Mamertino-Bruzia, comprovata non solo dalle monete convenute di recente nel territorio, ma dal linguaggio e dell’indole degli abitanti: Conformità fonetica del dialetto bagnarese con quello dei paesi di origine mamertina ( la qual cosa non può essere casuale ). Obbiezioni – Ragioni e documenti che provano la esistenza di Bagnara prima dell’epoca normanna. Causa della sparizione del porto e dei bagni: emersione tellurica e bradisismica.

( …..? – 1085 )

Ricercare, attraverso la fitta nebbia dei tempi, la origine di Bagnara non è cosa facile, né utile. Non è facile perché manca anzitutto il documento storico e quindi bisognerebbe giocar di fantasia per crearlo o sostituirlo mediante ingegnose investigazioni, che non sempre resistono alla critica della storia. Non è utile, perché l’orgoglio patrio, non si appaga col vanto d’una origine più o meno antica, se quella origine non rispecchi la verità, né porga ai nepoti belli esempi di virtù, di atti magnanimi esercitati dagli avi.

     Non seguiremo quindi, il Cardone nelle sue investigazioni mitologiche per dimostrare l’origine greca o romana del nostro paese, né c’indulgiamo sul nome Medua o Medina, per sostenere – come fa lui – il famoso Portus Orestis di Plinio, o per ricercare se il fiume Sfalassà sia o no l’Argeudes di Varrone, dove Oreste – che per noi è assolutamente un mito – abbia fatto le sue abluzioni per liberarsi dalle furie o dalla pazzia. Similmente non possiamo accettare la erronea asserzione di chi vorrebbe la nostra città fondata da una colonia di normanni – in seguito alla fondazione della sua chiesa nel 1085.

     Il fatto stesso della fondazione d’una Chiesa arricchita d’una cospicua dotazione, che molti storici chiamano insigne monumento della munificenza normanna dimostra chiaramente che il luogo dove quella Chiesa sorse non potè essere un deserto.

     E in vero, nessun altro esempio i Normanni ci diedero di aver fondate le loro chiese in luoghi solitari, come gli anacoreti della prima epoca cristiana, che sceglievano gli antri più reconditi per le loro esercitazione ascetiche. Quindi, senza dar di cozzo nelle solite favole o nella erudizione a sproposito, citando autori greci o latini, noi possiamo sostenere la preesistenza del nostro paese alla epoca normanna, con un po’ di logica, con l’unico documento scritto che abbiamo a nostra conoscenza: il diploma stesso di fondazione della chiesa abaziale, che ha un valore storico inconfutabile.

     Anzitutto consideriamo: Il conte Ruggiero donò al primo priore della chiesa un locum insuper Balneariae cum terris, silvis, aquis et pertinentis suis. Vuol dire – direbbe qualcuno, come il Minasi che l’abitato, cioè il paese, non esisteva, perché esistendo un casale, il diploma di Ruggiero avrebbe detto ciò che un secolo dopo Clemente III, nel confermare le possessioni dell’abazia disse: “ locum Balneariae cum casali, terris, aquis, sylvis, piscationibus ect”. Ma chi ha una elementare conoscenza del linguaggio feudale sa che la prima locuzione, non differisce sostanzialmente dalla seconda: in quanto che nell’una e nell’altra è espresso il corpus – l’ente feudale: Balneariae; il quale nome non è certo quello di una semplice contrada – che sarebbe pertinenza – né può credersi ch’esso nome sia stata creazione di Ruggiero nel creare il feudo ecclesiastico.

     Nella prima locuzione c’è semplicemente un’apparente omissione, la quale non prova la inesistenza d’un abitato, ma rivela quale parte, insuper locum Balneariae, concesse Ruggiero alla chiesa, cioè: le terre le selve, le acque di Bagnara. Quindi l’abitato, il castello, il diritto di pesca ed altro, il Conte Normanno lo riserbava a sé, cioè al Regio Demanio, delegando lo stesso Priore a tenerlo in amministrazione con la qualità di Castellano. Onde papa Clemente III, in una bolla del 1187, potè dire, enumerando le possessioni sottoposte al Priore della chiesa di Bagnara, quelle parole: “ Casalis et piscationibus” come per determinare i diritti del priore sull’intero feudo, diritti da lui esercitati mediante la doppia investitura, la spirituale e la temporale: l’una propria, l’altra delegata ma riunite nella sua stessa persona.

     Oltre a ciò troviamo che molti storici antichi e moderni ammisero, come lo stesso Minasi contradicendosi, il Marafioti, il Fiore, e altri dotti incluso il Pecchineda, la esistenza di una stazione balneare molti secoli prima dell’epoca normanna nel luogo denominato Bagnara, quindi è assurdo concepire tale stazione priva di abitato e di abitanti.

Una stazione balneare, che da il nome al luogo, ricercata dai forestieri, dovette, naturalmente, aver delle comode abitazioni e non delle capanne o pagliaia che, dopo il milleottantacinque costruirono i pellegrini o poverelli normanni, reduci dalla Terrasanta, sulla parte posteriore della Terra, dove si erano accampati e dove lasciarono due nomi alla contrada, uno Pagliaia e l’altro Porelli ( Poverelli) che sussistono ancora; come lasciarono il nome di Pellegrina ad una chiesotta solitaria che crediamo fondata da qualche anacoreta pellegrino normanno in fondo al bosco di Belluchio, dove poi convenivano a messa i villani appartenenti al feudo della Chiesa di Bagnara o vi passavano per raggiungere l’antica via Aquilia.

     Premessa questa considerazione, ci permettiamo di farne altre, e non allo scopo di ricercare e sostenere l’antichità di Bagnara ad ogni costo; ma per dirizzare qualche inesattezza storica, rilevare qualche fatto o fenomeno di carattere etnico e qualche documento ignorato o mai conosciuto sulla origine nostra e della nostra città.

     Prendiamo anzitutto argomento del “Secendes in portum BALARUM, qui ante fretum est” di Appiano (De bel. Civis. L.IV e. 85) e osserviamo: Un errore, certamente, di copiatura dall’originale – o una elisione, tanto frequente nei manoscritti latini, deve aver dato luogo al nome di  Balàrum, tradotto e ritenuto per balaro dal Bolani, dal Cardone e da altri che non si accorsero della storpiatura o elisione ortografica d’una parola, che, adoperata come attributo di porto non poteva non essere balnearum, e significare “ Porto dei bagni” dato il fatto incontestabile di una sorgiva termale nella stessa località indicata dallo scrittore alessandrino. Questa facile dirizzatura ortografica ci porta a due deduzioni.

     Prima dello storico Appiano (primo secolo d.c.) – o, meglio, al tempo delle grandi guerre sociali (45, p. c.) – soggetto della narrazione di  lui, esisteva qui un porto, piccolo quanto si voglia, ma atto a riparare lo sdrucito naviglio di Salvidieno Rufo, sconfitto dalle navi di Pompeo; seconda, che il naviglio riparato, per non essere stato inseguito e catturato – come non lo fu col fatto – dalle navi vittoriose di Pompeo, dovette trovarvi in questa spiaggia non solo riparo nel porto ma difesa dalla rocca certamente presidiata da soldati ed individui partigiani di Ottaviano. Oltre a ciò se Salvidiemo preferì ripararsi a Bagnara e non a Scilla, nelle cui acque avvenne il conflitto, ed aveva questa un castello presidiato, fu certamente perché o Scilla non offriva alcun riparo marittimo sicuro quanto Bagnara, o il presidio di quel castello parteggiava per Pompeo.

     Comunque fosse, l’esistenza di un luogo abitato qui, nel porto dei bagni – detto poi naturalmente Bagnara  – fu storicamente accertata sin da epoca romana.

Vediamo ora quali ragioni c’inducono a considerare il nostro paese d’origine italico e propriamente mamertino-bruzio, anziché magno-greco; quali fatti ci rivelano la sparizione del suo porto e dei suoi bagni, e, finalmente in quale stato poteva esso trovarsi al tempo della venuta dei normanni (1085.

     Abbiamo detto che una rocca o castello poteva avere impedito a Pompeo di raccogliere il frutto della vittoria riportata sulle navi di Salvidiemo. Questa rocca non poteva non essere collegata sul promontorio di Marturano, alla imboccatura meridionale del porto dei bagni, dove, come vedremo in seguito sorse il castello e quindi la chiesa normanna.

Qui cade acconcio rilevare un abbaglio preso, in buona fede, dal nostro Cardone, il quale per l’idea di rintracciare un’antichità a base mitologica, non vide in un prezioso documento – che il caso gli aveva porto tra mano – se non il nome di Oreste, il figlio di Agamennone preso dalle furie e venuto a bagnarsi nelle acque del nostro fiume – tanto per giustificare il famoso portus Orestis di Plinio. Egli, il Cardone, ricercatore  indifeso, aveva, com’è notorio, rinvenuto una pietra trasportata dai pressi del Malopasso – nel tempo che veniva edificato il convento dei Paolini. Questa pietra, che noi abbiamo vista, a forma di gradino, conteneva una iscrizione, con lettere incavate rozzamente e quasi indecifrabili, la quale per il luogo dond’era stata levata, poteva ritenersi una lapide collocata, in tempi remotissimi, a qualche muro nel luogo dei bagni del Gaziano.

     Ecco il testo della iscrizione, riportata anche dal Cardone:

.   .   .   .   I.   O.   M.

   .   .   O.    .      .   . M   .    .  MERTO

SAE…I .MICHI FUERE. FATA

.  S.   .   .   .   ASPICE

.   .   .  IRIS. . .DILAN  US  FUR

.  HOC.  .  .  .  .  .  GHATIANU.   .

.   .   . SAL…. EST.

     Da quello che si può leggere in questo rudero, non appare per nulla il nome di Oreste voluto dal Cardone ; si bene puossi interpretare quello d’un Mamerto, lo stesso nome che vediamo riportato in alcune monete rinvenute a quando in quando nel nostro territorio e, specialmente nel pressi di marturano; monete che portano l’effige di Marte – un guerriero armato di freccia, da un lato e la scritta : Mamert-Bret; la testa di Giove, dall’altra.

     Chi era questo Mamerto, di cui parla la sopra citata iscrizione? Avrebbe nulla in comune con Marte delle monete Mamertine? Non lo crediamo. Crediamo invece che quel Mamerto fosse un capo dei Mamertini, com’a dire capitano, condottiero del popolo di Marte, capitato qui con la sua gente, dove avrà potuto godere i benefici effetti delle acque dei bagni del Gaziano. Si sa che quel popolo, originario della Campania, era venuta a contrastare il dominio del suolo bruzio o brezio (la Calabria) alla decadente potenza magnogreca, fondando le rocche di rifugio o difesa, durante le sue continue imprese guerresche. La storia di questo popolo, denigrato dagli scrittori greci – suoi naturali nemici – e dai latini posteriori che i greci seguirono – è poco conosciuta; giacché essendo esso un popolo forte, più guerriero che colto, non ebbe storici propri e contemporanei, ma solo di parte avversaria che lo gabellarono per avventuriero e ladrone.

Nulla di più facile che un pugno di quella gente occupasse il promontorio di Marturano, cui diede il nome, e vi fondasse una rocca che poi divenne un castello feudale. Il fatto sta che la dimora dei Mamertini, quali abitatori di Bagnara è provata non solo dalle due monete che si rinvengono di quella gente e di quell’epoca; ma si bene dal linguaggio e dall’indole degli abitanti che costituiscono due caratteristiche etniche particolari onde si sistingue spiccatamente un bagnarese da altri individui dei paesi convicinali d’origine magnogreca.

     Sicuro! Il linguaggio è la prima caratteristica etnica d’un popolo: nel linguaggio c’è qualche cosa che né il tempo, né la evoluzione storica, coi suoi portati civili e politici cambia e distrugge. Nel linguaggio si intravede sempre l’origine di un popolo, ed è nel linguaggio, come nel sangue dell’individuo, che si perpetua la razza. Cosi nel linguaggio bagnarese, che tanto si discosta da quello dei paesi circonvicini d’origine Italiota: Solano,Pellegrina, Favazzina, Scilla, Seminara, Palmi, Gioia, ecc. ecc. rileviamo un fatto che non è, come potrebbe parere a bella prima vista, di poco momento. Infatti i dialetti calabri hanno più o meno tutti, un’assonanza fonica uniforme; ma, in quello che si parla a Bagnara, nella cadenza di certe parole specialmente, si riscontra un jato tutto proprio, e nello scambio di alcune consonanti, esse parole, acquistano una modificazione fonetica particolare, mentre tale iato è letto dei paesi di origine italica, specialmente mamertina, come Oppido Mamertino, Terranova, Sappominulis, Sinopoli, S. Giorgio Morgeto, nel circondario di Palmi; Martone, l’antica Mamerto, in quel di Geraci, Martorano in quel di Nicastro, Pizzo in quel di Monteleone, e tanti altrove.

     Tale riscontro del nostro dialetto con quello dei sopradetti paesi in una meravigliosa somiglianza fonica, non può essere assolutamente casuale. Né casuale può dirsi il fatto che rilevasi nell’indole del popolo bagnarese, il quale non ha nulla di comune col carattere della gente dei paesi convicinali di origine greca.

     L’attività delle nostre donne, per esempio, la loro attitudine al traffico, il loro coraggio, che ci fecero pensare un momento ad altra origine sono coefficienti caratteristici che rivelano la donna forte di quel popolo vigoroso, unico tra i popoli italici che, secondo afferma il Morisani e il Carbone Grio, conservarno la costituzione dei Spartani.

A dunque le ragioni anzidette a noi sembrano sufficienti per ritenere il nostro popolo d’origine mamertina anziché normanna, italica anziché italiota o magnogreca. Due obbiezioni però possono esserci fatte: come va che, in tanto corso di tempo, più di 13 secoli! Quanti ne passarono dall’epoca mamertina alla venuta dei Normanni, questo paese non abbia dato segni di vita, e nessun geografo, nessuno storico ne abbia fatto menzione, e nessun’ altra traccia all’infuori delle cennate, vi si sia rinvenuta per attestarci irrefragabilmente uno sviluppo progressivo o regressivo degli antichi abitanti!

     Come va che né il porto né le sorgive balnearie esistono più da secoli!

Queste serie obbiezioni ci suggeriscono altre considerazioni che crediamo di non poca importanza. Oggidì in cui la civiltà è ben progredita e le lettere, le scienze storiche e geografiche e i mezzi di comunicazione e di scambio sono tanto sviluppati, è difficile che anche dei piccoli aggregati passino o restino ignorati; è impossibile, anzi, che un qualche avvenimento particolare non li riveli nella storia. Ma era cosi forse negli antichi tempi? E non vi sono forse dei paesi anche oggidì che rimangono in uno stato presso a poco di perpetua stazionarietà? Ed altri che progrediscono lentamente, altri di botto, a seconda l’importanza del movimento commerciale, industriale creato dalle mutate condizioni economiche geografiche e sociali!

     Bagnara nella sua origine, non dovette essere che una semplice rocca, con poche abitazioni, cioè poche casucce attorno al castello, abitate da gente guerriera. Più tardi la sua stazione balneare dovette contribuire allo sviluppo del suo abitato verso la costiera del Malopasso, dove esistono dei ruderi, fino alla sponda sinistra del Gaziano.

     Quindi ammettiamo che dopo l’epoca romana, non potè Bagnara avere un serio sviluppo commerciale, anche perché collocata fuori la strada Aquileia, ch’era l’unica arteria che distribuiva la vita ai paesi romani col movimento militare che assorbiva ogni altra attività.

     Quella strada, com’è noto, dal ponte vecchio – dell’antica Taureana – attraversava la parte superiore dei piani della corona, passava per Solano, Melia e Fiumara di Muro, e divenendo litoranea, verso Catona – Columna Regina – lasciava le due rocche Bagnara e Scilla lontane da ogni movimento, da ogni traffico e militare e commerciale, onde la storia di questi due paesi vicini ma diversi di razza, passa per più secoli nel silenzio, cioè da Spartaco, nel primo secolo avanti Crtisto, arriva alla invasione dei Barbari (570 – 750) i quali con le loro scorrerie e devastazioni tutto mutarono, tutto trasformarono, di queste nostre contrade, persino il nome, chiamando Calabria tutto il territorio che sino allora era detto “ terra dei Bruzi o Brezia”.

    Con la venuta dei saraceni poi (733-936) questo territorio fu addirittura messo a soqquadro. Tutti i paesi della costa dell’Ionio e del Tirreno, sforniti di rocca furono devastati, distrutti, e gli abitanti costretti a rifugiarsi nei boschi o sopra picchi inaccessibili, dove fortificandosi rendevano vani gli assalti della gente musulmana. Gli abitanti di Bagnara sulla rocca di Marturano poterono resistere alle feroci scorrerie saracinesche, e, dato anche il caso che potessero soggiacere per poco ad una espugnazione da parte dei Saraceni, molti altri rifugi potevano essi abitanti trovare sulle nostre alture boscose dove sorgevano cenobi ed eremitori in uno dei quali è fama vestisse, in quel tempo, l’abito Papa Leone II.

     Qualcuno tra i cittadini bagnaresi, non aveva paura di trasferirsi, per ragioni di suo commercio o per altro, nei paesi conquistati dagli stessi Saraceni dove trovarono ospitalità e vi rimanevano, ma non dimenticavano la propria patria d’origine. Ciò rileviamo da una descrizione lapidaria riportata dal compianto Monsig. R. Cotroneo nella Rivista storica Calabrese, anno XII, serie 4., e dove si parla di un certo Giacomo di Martino, cittadino di Bagnara, morto a Motta S. Giovanni e sepolto in quella chiesa parrocchiale nel 1098.

Ecco la iscrizione:

Iacobus de Martino civis

Balneariae oppidi S. Ioannis

Incola iacet hic. Et Haeredi

Momìnumentum hoc costruendum

Sculpendunque madavit:

descendamus Morientes

anno Domini 1095

     Venuti, quindi, i normanni a Bagnara (1085) vi trovarono naturalmente ospitalità non solo, perché nemici e persecutori dei Saraceni, ma perché combatterono in nome della chiesa romana e s’attiravano la simpatia del popolo che li accoglieva come liberatori.

     L’antica rocca di Marturano fu da essi ben tosto occupata o trasformata il castello fortificato onde il nostro paese divenne, dopo Mileto, la stazione più prediletta del loro soggiorno in Calabria. E n’è prova l’insigne abbazia fondata da Ruggiero I nel 1085 con una dotazione che, come vedremo, non ebbe eguali in tutto il Regno.

     Quanto alla sparizione del posto e delle sorgive termali, non c’intratteremo molto per dimostrare le cause, ne crediamo dover seguire la ricerca che fa il nostro storico Cardone per dimostrare la esistenza di altri porti in questo nostro litorale: dato lo stato geologico oro-idrografico e geografico di esso e le vicende sismiche a cui – com’è noto pur troppo –  fu soggetto in ogni tempo il nostro suolo. Anzitutto chi bene osservi anche oggidì la insenatura di Marinella dalla torre di rocchi allo scoglio di Marturano, vi scorge facilmente, in un breve tratto di costiera, poco più di ottocento metri – semicircolare e quasi a picco, tre corsi d’acqua perenne che con le piogge ed i franamenti del suolo soprastante diventano torrenti impetuosi. Questi torrenti, portando già continuamente una quantità di terra e macigni verso il mare, non ha fatto altro che sollevare – nel corso dei secoli – il livello del suolo alla riva, per cui l’acqua del porto, mediante tale continuo lavorio d’interramento, venne naturalmente prosciugandosi a poco a poco e, nel disparire, diede luogo alla cosi detta Marinella.

     Altre cause non meno importanti, ci spiegano la sparizione del porto e la scomparsa delle acque termali sorgenti sulla riva sinistra del Gaziano, che si trova nel mezzo della insenatura.

     E’ noto – ripetiamo purtroppo –  come questa nostra regione vada soggetta a frequenti perturbazioni sismiche e bradisismi che onde le sorgive con le relative vasche dei bagni, in epoche che non sappiamo precisare, dovettero subire per effetto sismico, uno sprofondamento o una deviazione tale da non lasciarvi più alcuna traccia. Vi rimane solo il fabbricato dei bagni, di cui – come accerta il Marafioti – scorgevano sino al secolo XV i ruderi. Al luogo rimase il nome di acqua calda, nome che tutt’ora dura. Ma il fenomeno del bradisismo poi operò completamente, con la trasformazione di questo suolo litoraneo, la totale deviazione e la perdita delle acque balneari.

Il geologo e storico Carbone Grio, nell’opera sui terremoti in Calabria del 1783, a pagina 34, parla con molta verità e precisione della emersione bradisismica a Bagnara cominciata da secoli. Noi vogliamo riportarne testualmente le sue parole: “ A Bagnara – egli dice – può considerarsi come caposaldo per misurare il bradisismo, quella collina rocciosa ( il promontorio di Marturano) a tramontana della città marittima, sulla quale sporge la torretta di un antico semaforo.

     Alla base di questa rupe, e specialmente dal lato che guarda oggi verso il promontorio dove sorge una edicola elegantissima, il mare circondava sino a pochi anni addietro le rocce, e s’intrometteva fra numerosi scogli formando della vasche naturali che servivano di bagno. Oggi, 1884, tutto quel tratto è di circa un metro e mezzo sopra il livello del mare; lo scoglio intorno al quale s’aggiravano le bagnanti, non son passati dieci anni, è lontano dal lido circa 16 metri, ed all’intorno dov’era un bel seno di mare si son formati giardini sparsi di fiori e di aranci rigogliosi che han già fissate le loro radici nei meati della roccia perforata dalle conchiglie litofaghe”

     E noi potremo anche aggiungere che, dal tempo in cui il chiaro autore scrisse ad oggi, l’emersione bradisismica continua più sensibilmente il suo corso emersivo, per modo che le due marine, separate già dalle rocce franate di Marturano pei terremoti del 1783, sono congiunte in una sola, e il grosso scoglio dei Taraiti (pipistrelli) ch’era lontano dalla riva, non è più a mare, non solo, ma è quasi atterrato dalla sabbia soprapponentesi, come l’altro scoglio detto “ A secula a fora” (tanto appariva lontano un tempo dal lido da prendere tal nome) è già sulla riva, quasi all’asciutto.

     Ecco dunque, come il porto, l’antico porto dei bagni – non di Balaro – come erroneamente fu chiamato – dovette, naturalmente subire anche gli effetti della emersione bradisismica e scomparire per dar luogo all’attuale Marinella coi suoi orti rigogliosi di vegetazione. Cosi, naturalmente scomparvero nel fatale movimento tellurico, le sorgive delle antiche acque balnearee, come ai nostri giorni vedemmo scomparire le vasche naturali dei bagni formate dagli scogli di Marturano, le quali attirarono per secoli nella nostra città, nella stagione estiva, una discreta colonia di forestieri, che d’anno in anno poi vedemmo scemare e andare altrove in cerca di comodità che la nostra stazione balneare non potè più offrire.

 

Post Author: Gianni Saffioti