Impressioni bagnaresi di Nicola Marcone 1885 da “un villaggio in Calabria”

Impressioni bagnaresi di Nicola Marcone 1885 da “un villaggio in Calabria”

nota  da leggere

(Importanti le descrizioni un poco meno le credenze storiche in cui anche questo autore casca, tra le tante sfatiamo per l’ennesima volta la favola che la nostra cittadina si chiamasse anticamente Medua. E’ storicamente accertato che la nostra cittadina non si chiamò mai assolutamente Medua, tutte le supposizioni furono abbagli di vecchi storici e cartografi e di cattiva lettura della mappe che poi si tramandarono errate nel corso dei secoli. )

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Bagnara è paese di fondazione antica, e si crede generalmente che in origine si chiamasse – Medua – indi Balnearia – da ultimo – Bagnara. Il terremoto del 1783 la distrusse tutta ad eccezione di una chiesa che rimase intatta e fu attribuito a miracolo: Vi perirono cinquemila persone. Presentemente Bagnara è divisa in – inferiore e superiore – questa attaccata alla montagna, l’altra distesa sul mare, ed è situata la città tra due fiumi, Caziano e Sfalassà. Delle acque che nascono da un sasso a due chilometri dall’abitato, si valgono per bere, ed alimentare cento e più fontane fra pubbliche e private. Il rimanente anima parecchi molini, e fabbriche di diverse industrie. Tutti e due sono fonti di vera ricchezza per le colture ortensi, e forse a questo allude la – donna che versa acqua dalle mammelle – che si ammira nello stemma di Bagnara. La strada consolare passa nel centro della città, e la divide in due. Dall’alto d’un superbo ponte che la ricongiunge, come da una loggia, il viaggiatore contempla la parte sottoposta col mare in fondo, e con le antenne delle navi ancorate nel suo vasto seno, confuse con le case, per cui piùcchè un porto, sembra continuazione di fabbriche: e la parte superiore, cui fan seguito e corona le vette di monti, e le alte cime dè castagni. E’ fama che, ove sorge Bagnara stesse un tempo -Porto Oreste – pretendendosi che il re di Micene in uno di què fiumi si fosse purgato dè suoi delitti. Certo è che per la importanza del luogo e la vastità del porto, Salvidieno Nufo, battuto al Capo Vaticano da Sesto Pompeo, vi riparò l’avariata flotta; e che i romani predilessero quel soggiorno per l’orizzonte pittoresco, la salubrità dell’area, e l’abbondanza delle acque. Verso la sorgente del – Caziano – si osservano ancora gli avanzi delle antiche – terme balneari. Roberto Guiscardo dimorò lungamente a Bagnara; Ruggero I, Ruggero II vi fondarono il famoso convento in cui vestì l’abito monastico il pontefice leone II, ed i frati tennero per parecchi secoli giurisdizione scettrata, ribellandosi anche al Papa, nella controversia tra Innocenzo IV e Federico II. Nel privilegio di fondazione leggonsi particolarità curiose, che rivelano l’alta autorità del monachesimo a què tempi. La chiesa era dedicata alla Vergine ed a’ dodici Apostoli, ed a’ frati, perché – meglio servissero agli interessi divini- oltre ad una colluvie di feudi concessi in piena proprietà, vennero accordati diritti sui mulini, sui forni, sulla pesca, sulle fornaci, sù dazi ecc. in quasi tutta la Calabria e gran parte della Sicilia. Tutti – privilegi – che i buoni padri – sempre per maggior lustro del culto – si fecero zelantemente riconfermare ed accrescere da re Roberto, dal Durasco, da Giovanna I, da Alfonso I e da espressa bolla di clemente III: – pro salute animarum.

Nella chiesa della Vergine si conserva a Bagnara, in ricchissimo reliquario, un – Capello della Madonna – e ad un’altra Madonna detta – dell’Affrontata – si solennizza una festa nel giorno di Pasqua con una specie di pantomima, che in tutt’altro sito ed in tempi più maturi, farebbe vergogna; ma che in Calabria, in mezzo a quelle fantasie ardenti, e dove è fama che anche i briganti, nell’uccidere il prossimo si facessero il segno della croce, diventa quasi un bisogno. Fanno derivare religione – da religio – ed è ben intesa siffatta etimologia: è il legame di grave importanza sociale la fede religiosa, sia di Maometto o di Confucio, di Budda o di Brama, fionchè una migliore educazione non venga a rischiarare le menti del volgo, e della libertà non si faccia vero ed unico strumento di civiltà. – Guai se nelle masse abbrutite si distrugge il sentimento della fede. Nelle notizie storiche di Bagnara pubblicate dal Cardone nel 1877, pei tipi del Ceruso in Reggio, leggesi che nel giorno di Pasqua la confraternita del SS. Rosario – s’incammina accompagnata dal Capitolo e da numerosa e ben messa fratellanza, per due strade diverse, ma che nel medesimo indicato piano conducono la statua di Maria e quella del risorto Signore. Delle quali, la prima riccamente vestita è coverta da bruno velo, scende dalla strada del Rosario, preceduta dal Padre Spirituale, da un avvenente giovane vestito da San Giovanni, e dalla metà de’ confratelli, seguiti dalla banda musicale che fa sentire flebilmente il suono de’ suoi armonici stromenti; l’altra poi del Cristo risorto, che impugna nella sinistra un candido vessillo, accompagnata da tutto il clero e dall’altra metà di detta congrega, avviasi dalla strada dell’ Annunziata . Queste immagini si fermano, un pò lungi dalla piazza cennata, ad una determinata distanza, in punti opposti e tali che l’una l’altra non vegga. Disposte cosi le cose, e schierati d’ambo i lati di detta strada e della piazza, ove l’incontro eseguir si deve, si il Capitolo, che i confratelli tutti e gran parte del popolo spettatore, allora colui che rappresenta il S. Giovanni, con replicati va e vieni, dalla Vergine al Cristo e da questo a quella, fa alcune cerimonie, che intrattengono silenziosi ed attenti gli astanti per una mezz’ora, disponendo egli, con commoventi, gli animi loro alla tenerezza e alla gioia: dopo di che, s’inginocchia nel mezzo del piano da lui percorso. Allora le due statue, portata ognuna da più confratelli periti in tale funzione, partonsi con celerità per incontrarsi e giunte che saranno alla loro maggiore vicinanza, si toglie alla Vergine bellissima il velo di cui era coperta: si fa da lei fare un segno di riverenza al Cristo, in forza d’un lieve abbassamento che dassi alle aste anteriori della bara su cui sta ritta, e girando immediatamente a destra, si porta la detta immagine dietro quella del risorto Signore; il che eseguito, l’una e l’altra si fermano. Allora rimbombano dapertutto gli spari, risuonano le bande musicali delle più allegre note, ed echeggiano le grida di esultazione e di gioia di un popolo numeroso, che si raccoglie nelle strade, nelle piazze, nei balconi, sui tetti e sui vicini colli ancora. Anche il prof. Minasi ha pubblicato, non da molto sulla Domenica Letteraria, una pregevole descrizione di tale festa, che non si fa soltanto a Bagnara, ma benanche altrove.

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Budda o di Brama, fionchè una migliore educazione non venga a rischiarare le menti del volgo, e della libertà non si faccia vero ed unico strumento di civiltà. – Guai se nelle masse abbrutite si distrugge il sentimento della fede. Nelle notizie storiche di Bagnara pubblicate dal Cardone nel 1877, pei tipi del Ceruso in Reggio, leggesi che nel giorno di Pasqua la confraternita del SS. Rosario – s’incammina accompagnata dal Capitolo e da numerosa e ben messa fratellanza, per due strade diverse, ma che nel medesimo indicato piano conducono la statua di Maria e quella del risorto Signore. Delle quali, la prima riccamente vestita è coverta da bruno velo, scende dalla strada del Rosario, preceduta dal Padre Spirituale, da un avvenente giovane vestito da San Giovanni, e dalla metà de’ confratelli, seguiti dalla banda musicale che fa sentire flebilmente il suono de’ suoi armonici stromenti; l’altra poi del Cristo risorto, che impugna nella sinistra un candido vessillo, accompagnata da tutto il clero e dall’altra metà di detta congrega, avviasi dalla strada dell’ Annunziata . Queste immagini si fermano, un pò lungi dalla piazza cennata, ad una determinata distanza, in punti opposti e tali che l’una l’altra non vegga. Disposte cosi le cose, e schierati d’ambo i lati di detta strada e della piazza, ove l’incontro eseguir si deve, si il Capitolo, che i confratelli tutti e gran parte del popolo spettatore, allora colui che rappresenta il S. Giovanni, con replicati va e vieni, dalla Vergine al Cristo e da questo a quella, fa alcune cerimonie, che intrattengono silenziosi ed attenti gli astanti per una mezz’ora, disponendo egli, con commoventi, gli animi loro alla tenerezza e alla gioia: dopo di che, s’inginocchia nel mezzo del piano da lui percorso. Allora le due statue, portata ognuna da più confratelli periti in tale funzione, partonsi con celerità per incontrarsi e giunte che saranno alla loro maggiore vicinanza, si toglie alla Vergine bellissima il velo di cui era coperta: si fa da lei fare un segno di riferenza al Cristo, in forza d’un lieve abbassamento che dassi alle aste anteriori della bara su cui sta ritta, e girando immediatamente a destra, si porta la detta immagine dietro quella del risorto Signore; il che eseguito, l’una e l’altra si fermano. Allora rimbombano dapertutto gli spari, risuonano le bande musicali delle più allegre note, ed echeggiano le grida di esultazione e di gioia di un popolo numeroso, che si raccoglie nelle strade, nelle piazze, nei balconi, sui tetti e sui vicini colli ancora. Anche il prof. Misasi ha pubblicato, non ha molto sulla Domenica Letteraria, una pregevole descrizione di tale festa, che non si fa soltanto a Bagnara, ma benanche altrove

Il cardinale Fabrizio Ruffo, si valse appunto dalla esaltazione delle credenze religiose ne’ calabresi, per trascinar la plebe ed ingrossare le sue orde. Egli scese a Bagnara, venendo dalla Sicilia ed eresse, per prima operazione, un altare posticcio sul lido del mare. Circondato di vecchi, donne, fanciulli e dai più famigerati briganti del tempo, come Mammone, Rodio, Fra Diavolo, Sciarpa, Panzanera, intuonò – il -Veni Creator Spiritus – con la croce da una mano e la spada dall’altra. Con quel simbolo di redenzione e di amore, poco dopo avvennero incendi, stupri, ruberie, uccisioni e sacrilegi inauditi. Fu a Bagnara che Giuseppe Bonaparte ebbe, il 13 luglio dell’anno 1806, l’ordine dal fratello Napoleone di assumere il titolo di -Re di Napoli – ed entrando immediatamente in chiesa forse per ringraziare la provvidenza della insperata posizione, compì il primo atto della sua reale autorità, concedendo nuovi statuti al Clero, in forza dei quali s’imponeva a’ Canonici che alla semplice cotta aggiunsero indumenti – più sfarzosi – e meglio adatti alla dignità del loro ufficio. – Strana bizzarria del carattere umano: egli, figlio di quella rivoluzione che – per fasciare – le ferite della patria avea lacerate le tovaglie degli altari. – Pernottò a Bagnara Garibaldi, la sera del 24 agosto 1860, in casa del Capitano della guardia nazionale signor Carmine Romano, e di là scrisse a Bixio. – Quando c’è da combattere, sapete che non vi risparmio – e gl’ingiungeva d’imbarcarsi a Paola per raggiungerlo a Napoli. Bagnara conta dodicimila abitanti incirca, ed è una città ricchissima, tuttochè il suo territorio sia molto ristretto, qualche chilometro di superficie quadrata, poco più, e quasi tutta roccia. Ma è gente di straordinaria attività, e laboriosissima, di cui gran parte vive col commercio e colla pesca; il rimanente, coltivando la terra. A Bagnara nacquero Vincenzo Florio, il Patamia ed altri molti che seppero accumular milioni col commercio. i – torroni – di Bagnara fanno il giro del mondo, e veramente son tali da meritare siffatto onore. Due mila artigiani emigrano ogni anno in Egitto, e guadagnano lautamente, in ispecie gli ebanisti, abilissimi. Le donne di Bagnara sono belle oltremodo, anzi, si crede che sieno le più avvenenti di Calabria. Il Nicolosi, lo stesso cappuccino, Fiore, lodano le bellezze di quelle donne dà – capelli d’oro. – Esse sono più attive ed ardite del sesso forte: tutti i giorni, riunite in gruppi di centinaia, portano in giro, pè vicini paesi, pesce, prodotti ortensi, stoviglie, legna, doghe di botti, e quant’altro offre Bagnara. Ciò che gli uomini producono incessantemente con gli stenti e l’assiduita di cui sono capaci, fruttificando persino la pietra, le donne raccolgono, e smerciano dappertutto. All’alba di ciascun mattino, il mare è seminato di piccoli battelli, diretti sulle linee di Reggio, Palmi, Messina, e sono delle donne di Bagnara. Esse fanno il carico, remigano, contrattano, speculano su tutto, anche permutando, oggi in una località domani in un’altra, ovunque si avvisino di poter meglio guadagnare. Sulla linea di terra poi, ne vanno anche un maggior numero, e sempre a frotte: ogni volta che di notte si venga da Palmi o da Scilla, si veggono da lungi, sulla via di Bagnara, correre qua e là dè lumi, e si odono delle canzoni popolari di gratissima armonia, le cui ondate sonore smorzano ed incalzano a seconda dè venti, e sono le donna che, grondanti sudore sotto il peso di enormi cesti, ciascuna provvista d’un lumicino, si fanno coraggio, e si allietano nelle tenebre. E quando scendono dall’alto della montagna, in mezzo a vie tortuose e fiancheggiate da castagneti cedui ricchi di bel fogliame, viste ad una certa distanza, sembra spettacolo preparato dell’arte quasi fosse decorazione teatrale; e di vero anfiteatro ha la figura tutta la campagna, che si percorre da Bagnara a Palmi. Si richieggono quasi due ore per ascendere sul – Piano della Corona, – uscendo da Bagnara, perché la strada è malamente costruita, e poi avvi un’altezza superiore a’ quattrocento metri.

Non è la vetta più alta di quella catena di montagne. Altre molte circondano il piano, perciò detto – della Corona – e tutte vestite di folti boschi di castagno, che colà tenuti – cedui – rendono tesori. Se ne avvicenda il taglio in un dato periodo di tempo, e i nuovi germogli, tra per la feracità della terra, e l’essere serrati tra loro, come per la forte influenza della luce, vengono su tanto celermente, e cosi dritti e levigati che ne fanno le migliori doghe di botti che si conoscono al mondo. Si ritiene che i castagni in generale vegetino rigogliosi a preferenza sulle terre vulcaniche, e storico il famoso individuo di questa specie sul monte Etna, detto – il castagno de’ cento cavalli, – ed è indubitato che la scoria vulcanica in gran parte nella costituzione de’ monti – della -Corona. Certo si è che in quel piano tutto è meraviglioso, cominciando dalle – felci – quasi arboree come ne’ tropici, fino a’ pioppi che vi vegetano meglio che sulle sponde de’ fiumi. L’erta venne superata con grande stento ed a passo lentissimo da’ cavalli, benché attaccati di fresco alla stazione di Bagnara. Questa circostanza fu ventura per me, e dall’immergermi in quel vero oceano di continue e svariate impressioni, non mi distolsero neanche le grida di altri viaggiatori, che discutendo di politica nell’interno della vettura postale, facevano tanto schiamazzo, che ne rimbombavano quelle valli; ed era un accorrere di curiosi su tutti i bordi della strada. Io stesso cominciavo ad impensierirmene, temendo che dalle parole passassero a’ fatti. – Non temete – mi disse l’auriga – noi calabresi latriamo senza mordere. – E quando giunti sulla sommità della strada, la – diligenza – fe’ un pò di sosta, gettando lo sguardo indietro, mi sfuggì un grido di sorpresa allo spettacolo dello stretto, pieno di navi, di battelli d’ogni sorta; e della superba Messina, del suo porto, e delle ville soprastanti, colla massa colossale dell’Etna in fondo al quadro! Orizzonte unico e sorprendente, sia per varietà, sia per bellezza, e dove lo spettatore per poco dimentica tutte le miserie della vita, e si crede padrone del creato. Così spiegai, che i grandi patrioti del 48, dopo le carneficine del 15 maggio, si assembrarono nel – Piano della Corona – per ispirarsi su quello che convenisse fare, ed ebbero il coraggio di gettare il guanto al despota liberticida! Al versante opposto della – Corona – donde si veggono le isole Eolie, il Capo Vaticano, e tutta la sottoposta – piana di Calabria – ammantata di olivi, Garibaldi si dissetò ad una fonte di acque limpidissime. Il mio automedonte me l’additò col rispetto dovuto ad un – santuario, – e come se quelle acque fossero benedette, tanto la memoria del gran capitano è viva e solenne nella tradizione di quel popolo. Giungemmo a Palmi, poco dopo l’Ave Maria.

TRATTO DA TESTIMONIANZE DI VIAGGIATORI estratto dal volume CALABRIA edito dalla editalia nel 1994 o dal libro Un villagio in Calabria di Nicola Marcone del 1885 barbaro editore.

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Post Author: Gianni Saffioti