Per la salvaguardia della cultura popolare, come affrontare una ricerca storica, l’uso della storia. Di Gianni Saffioti

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La cultura popolare è un insieme di elementi che intrecciati tra di loro ci raccontano la vita del popolo. Storicamente, per quanto tale, essa viene considerata subalterna alla cultura classica. Ritenuta inopportuna e perseguitata dal potere, tanto che da questo, in certi periodi storici fu combattuta. La storia ci narra di roghi di strumenti musicali che suonavano la musica del popolo, come ci narra di stermini e persecuzioni di interi popoli che vivevano da millenni delle loro tradizioni e che furono scacciati dalle loro terre. Quello degli indiani d’America fu uno dei più grandi stermini umani e culturali. Ogni popolazione ha la sua cultura, che si evolve e si trasforma a contatto con le altre, anche se per una questione di pura sopravvivenza del popolo stesso ogni una di essa cerca di difendersi da un abbraccio troppo forte delle altre. Oggi la difesa della cultura popolare è una necessità di primaria importanza. In un mondo dove i nemici di essa vogliono tutto uniformato, imponendo a qualsiasi livello e costo la loro di cultura, demolendo e disintegrando secoli di civiltà nel tentativo di globalizzare il mondo. Le popolazioni mondiali hanno il loro sacrosanto diritto di difendersi e valorizzare le loro culture locali contrapponendole alle imposizioni che giungono da chi vuol farci bere, mangiare, ascoltare, leggere e vedere i prodotti che gli fanno comodo; gestendo il nostro tempo ed imperando sulla nostra stessa vita. Penso che una salvaguardia della cultura popolare deve partire da quello che è il solo e vero punto di partenza: formare una coscienza sociale civile e popolare. E’ cretino e velleitario chi individualmente sfrutta la cultura popolare per interessi propri. Il danno che l’individualismo, mirato al lucro ed alla carriera, crea sfruttando in malo modo la cultura popolare è deleterio in quanto la società stessa si ferma, si blocca, si paralizza sotto l’influsso di questa gente che soppianta i veri cantastorie di una volta che ci raccontavano la storia del popolo, contandoci invece quello che vogliono loro. Contastorie al posto dei cantastorie, che per mere questioni di mercato (vendita di un certo numero di libri, giornali, dischi, o cassette), o di altri interessi personali, svendono e deformano la cultura popolare per confezionarla a richiesta. La cultura popolare oggi viene deturpata da personaggi che inventano e scrivono e suonano e cantano di storie che nulla hanno a che vedere con essa ma con le bancarelle di libri e di dischi. Ogni individuo può vendersi l’anima come meglio gli pare, ma in danno che compie vendendo anche quella della società in cui vive è immenso. Questo avviene nel nostro piccolo a Bagnara, in provincia e nella Calabria tutta; avviene in ogni angolo del mondo dove oramai la velleità di diventare ricco e potente salta tutti i crismi dell’etica e della morale, rispondendo al richiamo dei media che ci impongono violentemente questi valori. Questa è la cultura barbara ed insolente del più becero mercenarismo, che non ha nulla a che spartire con la cultura cattolica in cui poi ipocritamente ci si rifugia. Il recupero e la salvaguardia della cultura subalterna passa obbligatoriamente per la cruna di un ago; cruna fatta di etica e morale come prevenzione in modo che l’impegno di una società civile che prende coscienza, non si trovi in balia di persone che la beffino sfruttando ignobilmente i suoi costumi, la sua storia, mettendo a rischio la sua stessa esistenza. Nelle nostre regioni del sud è divenuta oramai mentalità generalizzata quella di gestire vivere e sperperare sulla cultura e sul territorio in malo modo, ai limiti della legalità e della correttezza civile dove il furbacchione di turno, magari con una laurea in mano, attorniato e pilotato da piccoli borghesi, si inventa un ruolo che professionalmente non è suo combinando danni enormi a se stesso ma soprattutto alla società civile che rassegnata all’imbecille che passa come acculturato, si adegua; affinché non sarà il turno di un altro a fare in modo che il circolo vizioso dell’accaparramento di quella briciola di potere che serve per sistemarsi e sistemare qualche parente continui ai danni della società stessa priva di coscienza sociale civile e popolare. E’ questo il pericolo più grave che corre oggi la cultura popolare; che venga gestita e manipolata ad uso e costume da chi ne ha interesse a contarla a modo suo e non a raccontarla per com’è.  E’ costume abusare degli studi altrui per guadagnare qualche centimetro in altezza nella scala dei valori oggi in uso, per poi non solo farli passare per propri, ma esigendone pure i diritti e vietando agli altri di usare quel materiale. Tutto ciò rasenta l’idiozia e l’imbecillità più assoluta, in quanto raccolte di documenti provenienti da varie fonti che la gente mette a disposizione dello studioso o del ricercatore, non può essere mai di proprietà alcuna, in quanto è patrimonio prima di chi lo pone nelle mani del ricercatore e poi di tutti coloro che lo studiano, lo guardano lo ammirano grazie al ricercatore che lo ha reso pubblico. Rubare un documento e tentare di farlo proprio anche legalmente, vuol dire assassinare il lavoro del ricercatore e miserabilmente sfruttare la bontà ed il sudore degli altri creando tra l’altro un malcostume non degno della società stessa in cui si vive. Per tutti coloro che così si comportano darò alcuni brevi cenni di come e perché si studia e lentamente si costruisce una ricerca storica, sia essa di grandi che di piccole dimensioni, affinchè chi si avvicina oggi al mondo affascinante della cultura folklorica e popolare non pensi che copiare una pagina e metterci la propria firma sia la fine della ricerca. Purtroppo questo succede anche nella scuola dove per ricerca si intende copiare brani da una fonte qualsiasi, e poco importa leggere e sapere cosa c’è scritto. No assolutamente no, per cominciare a scrivere di un determinato argomento, ovvero fare una ricerca storica è chiaro che la prima cosa che bisogna fare è documentarsi su di esso. Quindi per prima cosa cerchiamo di leggere più libri possibili che sul tema possono renderci edotti. Da questi libri che sono chiamati “fonti secondarie” in quanto scritti sul tema e non elementi di prima fattura ricaviamo tutte le notizie a noi interessanti e le trascriviamo ordinatamente. Ancora un elemento significativo che possiamo trarre dal libro, è la bibliografia dalla quale possiamo attingere molte altre notizie, ovvero le fonti che l’autore a consultato per scrivere il suo libro. Potremmo trovarci poi a consultare fonti primarie, ovvero documenti di prima mano, come documentazione notarile o proveniente dagli archivi di stato o archivi religiosi o privati, fotografie, cartoline, mappe ecc. E poi se l’argomento lo consente ricercare persone ed intervistarle. Difficilissimo, quasi impossibile è trovare un documento che ci risolva la nostra ricerca. Il lavoro dello storico e di pazienza e laboriosità, quasi noioso per il ripetersi delle situazioni. Grossi problemi si hanno quando si incappa in documenti scritti in lingua antica di cui non si riesce a capire nulla. In questi casi molto importante è l’aiuto di un paleografo (studioso di lingue antiche). Capita inoltre di imbattersi in documenti scarsamente decifrabili e poco affidabili; un diplomatico, studioso del modo in cui sono fatti i documenti) può venirci in aiuto, basta cercarlo. Fin adesso ci siamo posti il problema di come affrontare uno studio, una ricerca storica; ma cosa è la storia, a cosa serve, perché a certe persone interessa tanto conoscere la storia, conoscere il proprio passato, conoscere il passato del luogo in cui sono vissute? La risposta che gli studiosi si danno è questa: la storia rappresenta per la società, per il corpo sociale che noi tutti forniamo, la stessa cosa che la memoria rappresenta per l’individuo. Storia e memoria sono di fatto la stessa cosa. C’è però una grande differenza: mentre per la memoria, la persona se la costruisce giorno dopo giorno e la usa, per esempio la usa per non rifare domani gli stessi errori che ha fatto ieri; per la società, che tende a riprodurre questo stesso meccanismo, cioè tende a ricadere continuamente sempre negli stessi errori, la cosa è un po’ più complessa. E’ più complessa perché, mentre per la memoria noi c’è la formiamo giorno dopo giorno attraverso le esperienze che facciamo; la storia, o meglio la coscienza che una storia è esistita, la coscienza storica, quella bisogna che qualcuno la produca, perché chiaramente la storia si estende molto aldilà della vita di ognuno di noi e quindi sarebbe impossibile per una singola persona creare, gestire, scrivere una singola storia. La vita di una società è “eterna” chiaramente molto più lunga della vita di ognuno di noi. Per cui la storia è necessario che ci si metta a tavolino e materialmente la si scriva. Il problema comincia proprio qui, perché quando si scrive la storia di una società o più in genere la storia, cosa si fa: si cerca di ripercorrere gli avvenimenti del passato, ma chiaramente nel fare questa operazione, siamo costretti a fare una selezione, cioè scegliamo le cose che ci sembrano più importanti da ricordare e da tramandare, le mettiamo per iscritto e produciamo il classico libro di storia. Il problema sorge quando dobbiamo spiegare a qualcuno perché abbiamo scelto di considerare importante una certa cosa piuttosto che un’altra e perché abbiamo dato un certo tipo di interpretazione di un fatto piuttosto che un altro. Questo discorso serve per capire che la storia da sempre è un terreno di scontro. La storia ha una sua certa utilità, essa viene adoperata dalle persone, dai gruppi politici dai gruppi sociali. Dare una certa interpretazione di un avvenimento al posto di un altro può disegnare un modo completamente diverso di vedere e conoscere le cose. Quindi è molto importante capire, quando uno storico lavora, perché ha scelto di tramandare determinate cose e perché le ha tramandate in quel modo. Lo storico avrà certo le sue motivazioni, che sono giustificate dal tipo di cultura che ha alle spalle, e qui entra in gioco tutto, la politica, la sociologia, ecc. La Thachers, per esempio, aveva proposto una riforma dell’insegnamento della storia per cui la si doveva studiare imparando a memoria il nome delle battaglie e delle date. Un’impostazione classica conservatrice. La storia in realtà la si può fare in molti modi ed anche molto diversi da questo. La storia non ha sempre avuto la stessa funzione e lo stesso significato nel corso dei secoli. Nel mondo classico, nel mondo greco, si era arrivati ad una concezione della storia che era di età ciclica. I greci in sostanza si erano resi conto che le persone hanno la tendenza a ripetere i propri comportamenti nel corso del tempo e quindi avevano in un certo qual modo sviluppato una visione della storia secondo la quale la vita della società si evolveva attraverso epoche successive ed arrivava ad un punto finale, la cosiddetta età dell’oro dove si sarebbe raggiunta la massima perfezione, poi ci sarebbe stata quella che loro chiamavano ecpirosis, un grande incendio e tutto cominciava dall’inizio. La storia sarebbe avanzata ciclicamente, e questa è stata una visione della storia che ha riscontrato un certo successo e che è stata ripresa anche durante il rinascimento. Machiavelli per esempio che aveva mitizzato il passato, vedeva nell’impero romano la massima espressione della società umana e lui attingeva agli esempi che gli servivano per spiegare la società dall’epoca dell’antica Roma. Durante il medioevo si ebbe una visione teocentrica della storia, che era quella secondo cui la nostra vita di tutti i giorni non si svolge a caso, non si svolge secondo il nostro destino ma si svolge secondo la realizzazione di un piano che ha pensato Dio. E soprattutto gli studiosi di area cristiana hanno portato sin dentro l’ottocento queste considerazioni delle storia. La visione illuministica della storia è quella di un continuo progresso che avrebbe permesso all’umanità di raggiungere traguardi molto importanti per la società. Nell’ottocento si afferma un modo di fare storia completamente diverso da tutti gli altri, non più visioni cicliche del passato, non più piano divino che viene realizzato nella vita di tutti i giorni, non più un progresso continuo, ma lo studio del passato per ciò che esso era. Uno studioso tedesco Leopold Von Ranchen si pose questa domanda: perché al posto di cercare di trarre continuamente lezioni dal passato non lo studiamo per quello che realmente è stato? In sostanza disse questo: prendiamo un ‘epoca storica e non ci accontentiamo di scrivere i fatti che sono successi ma cerchiamo di capire anche tutto quello che stava intorno agli avvenimenti che capitavano. Se riusciamo a fare questo riusciamo a capire anche perché determinate cose sono accadute. Quando si studia un epoca quindi non solo imparare a memoria il nome e la data delle battaglie, ma scopriamo quale era il tipo di letteratura, il contesto storico e sociale e politico, l’economia, l’alimentazione.  Quando si riesce a ricostruire attorno ad un avvenimento storico il suo contesto, si riesce a dare una spiegazione che è la più scientifica possibile e che si lascia meno dominare dalle passioni del momento, dalla politica, dagli interessi. Questo storico creò un movimento chiamato storicismo che ebbe molti consensi anche in Francia dove presso la scuola cosi detta delle annales uno storico Mark Block sviluppo questi mediti che sono quelli usati nella storiografia praticata oggi. Per arrivare a questo ci sono voluti molti secoli e situazioni storiche in cui certe idee potevano circolare liberamente. Certo all’epoca di Galileo affermazioni di questo tipo avrebbero significato sicuramente il rogo. L’uso della storia La storia è sempre stata terreno di scontro sociale e politico. Gli studiosi veri di storia direbbero che per esempio il primo utilizzatore della storia è lo stato. Perché lo stato usa la storia? Perché importante per lo stato insegnare alle persone che hanno una storia comune alle spalle. Se tutti sono convinti di avere una storia uguale per tutti ecco che si è riusciti a cementare un corpo sociale e si va tutti nella stessa direzione. Allo stesso modo per chi si oppone a quella che possiamo chiamare posizione dominante del potere, cerca di proporre delle visioni alternative della storia e da una sua visione dei fatti. Gli esempi sono tantissimi ed abbracciano tutte le epoche storiche e tutti gli stati di ieri e di oggi.

Post Author: Gianni Saffioti