Dall’alba al tramonto, articolo di Francesco Calarco

<>

Profumi di alghe e di fiori nella pittoresca Bagnara (da ” Il Messaggero ” del 20.4.1949)

Le ombre che fino a poco prima avevano ammantato uomini e cose col loro triste velo, ora cedevano con estrema lentezza il passo alla sopraveniente aurora. Ora non più misteri,ne chimerici sogni, ne brillio di tremolanti stelle, ne taciti chiarori lunari . Ora, nel debole chiarore mattutino, gli ubertosi colli vicini, i vigneti, i pampini, gli ulivi, i mandorli in fiore si disegnavano diafani , assumendo un’apparenza vitrea, indescrivibilmente fragile e delicata . Tutto all’intorno era ancora fasciato di silenzio ; non un alito di brezza mattinale; le più alte cime degli alberi non frusciavano e neppure le foglie stormivano . L’erba,ancora rugiadosa, brillava argentea ai primi flavescenti raggi di sole; solo qualche monotono pigolio dava segno al risveglio del giorno, poi, quasi per incanto,dappertutto,un melodioso cinguettio concertato da stormi e stormi di uccelli . Un’ aurora fulgida, rosea e davvero splendida di bellezza superba . Un’aurora primaverile che asperge di tepente dolcezza questa infinitamente bella aiuola del “giardino d’ Europa ” . Per un momento mi sento triste, perchè non tutti i tuoi figli, mia diletta terra natale, ti vedono com’io ti vedo in questo momento, baciata dai primi raggi solari, difesa da una poderosa corona di colline lussureggianti, lambita dolcemente,carezzevolmente,dalle leggere onde, giuliva nella festosità delle aiuole in fiore, nella fantasmagoria delle costiere che si immergono nel glauco mare, nella serenità del cielo che esercita la sua affascinante attrattiva, nell’abbondante vegetazione arborescente che presenta l’aspetto di un’estesa foresta, in questo incanto che non ha pari . Oh, se lo potessi ! Canterei da mane a sera, con la cetra del mio cuore, le tue melodie, le tue impareggiabili bellezze, la tua quiete paradisiaca . Così ragionando m’avvio lungo la marina affondando con passo leggero nella soffice aurea rena, rompendo le pause musicali dell’acqua sulla ghiaia rilucente .Poi mi distendo all’ombra di una barca,odorosa di alghe,e con lo sguardo rivolto al cielo preso dalla pace profonda dell’ora, a poco a poco mi sprofondo in una vaga fantasticheria . Ma a distrarmi dal mio fantasticare giunge all’improvviso il grido alto ed insistente di un uomo, accovacciato in una eminente balza della scogliera (vedetta), che agita, co una mano,una bandieruola bianca : ” và fora,và “, ” và tuttu paru com’ora,và “, ” và ‘nterra,và”, segnalando alla barca in mare la posizione del pesce . E’ il grido di battaglia, dell’inizio delle ostilità fra “ontre” e pescespada . Mi rizzo immediatamente in piedi puntando gli occhi su un agile e leggera barca (ontre) che qualche attimo prima era immobile,  quasi volesse non turbare la tranquillità insolita del mare .Adesso,invece, si getta decisa a strappargli la preda, lanciandosi a velocità  impensata . I nerboruti marinai tendono al massimo i muscoli, curvano le abbronzate schiene sui remi, serrano i denti, mentre un fremito  scorre nelle vene del lanciatore che, apprestata l’asta in mano, immobile sulla prora, attende il momento opportuno per infiggere al pescespada il colpo mortale . Ecco : l’uomo della vedetta rinforza il suo grido ” tuttu paru com’ora,arranca tuttu” . E’ il momento solenne : un attimo di silenzio fremente di entusiasmi, di batticuori : il lanciatore prende la mira, calcola in un baleno lo spazio che percorre il pesce  ed il tempo che la lancia impiega a descrivere la parabola prima di cadere in mare, e poi, con molta arte, molla . No,si arresta . Il pesce gira,piglia il largo e scompare, mentre dalla barca si alza un pandemonio, un inferno di urli e di imprecazioni . Ma non passa un minuto che il pesce ricompare . Questa volta è segnata la sua fine .Le forze della ciurma si centuplicano, tutto l’equipaggio si elettrizza, implora aiuto dalla sua Protettrice,segue con ansia e trepidazione i movimenti del lanciatore che con mirabile precisione getta in alto la lancia che cade perpendicolarmente sulla schiena del pesce . Il mare si arrossa, il pesce dissanguandosi dà strappi all’asta,la barca segue il pesce ferito fino a quando dissanguato viene tratto sulla barca . Qui il pesce viene liberato dell’asta,legato con apposite corde ad un galleggiante e quindi buttato in mare per essere trasportato a riva al tramonto . Compiuta questa operazione l’equipaggio si riposa in attesa che qualche altra preda sia avvistata, addentando un pezzo di pane raffermo ed un pò di carne del pescespada poc’anzi catturato e che i pescatori,in gergo dialettale, chiamano “stringa” . Quindi scrutano l’azzurro del cielo che si confonde all’azzurro del mare, guardano da lontano il suggestivo e panoramico loro paese natale,la casetta in riva al mare che li attende,pensano al focolare, ora spento,ma che al tramonto si accenderà con il loro ritorno, mentre la moglie ed i bambini di ognuno di essi aspettano con ansia il loro ritorno sulla soglia della casetta . Questi bravi ed instancabili lavoratori, che hanno nelle loro vene il sangue dei latini,il sole della nostra spiaggia e il fuoco dei nostri vulcani,sanno ancora che la casa è il tempio della vita, che l’onore è un patrimonio ideale, è la fiamma che alimenta il focolare, è la lampada che illumina il desco . Intanto, le barche con il loro carico di pescispada si apprestano a ritornare a riva,mentre il sole,rosso di tramonto,riscalda questa terra sana,generosa,piena di incanti dove la vita scorre lieta tra le gioie della famiglia . Il mare diventa sanguigno, le foglie palpitano lievemente,gli uccelletti,appollaiati sugli alberi,garriscono, gli uomini diventano romantici e chiedono di amare . Ora il sole,dopo essere stato in bilico tra cielo e mare,comincia ad immergersi nell’acqua e del grande disco rosso rimane sull’orizzonte una fetta rossa come un cocomero … poi anche la fetta sparisce e sulla terra piomba la sera,con estrema dolcezza,accompagnata dal suono dell’ “ave Maria” .

Post Author: Gianni Saffioti