Eterna primavera nell’antica Bagnara, articolo di Domenico Capomolla

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Pubblichiamo alcuni articoli di Domenico Capomolla, del 1949, apparsi su riviste e quotidiani dell’epoca che tendevano a pubblicizzare Bagnara turistica.

di Domenico Capomolla

Una vasta siepe: la marina; punta Faro; punta Milazzo e il mare; Vulcano e una piccola striscia luccicante; Lipari oblunga e il mare; le Saline con Panarea e il mare lucente azzurro intero; Stromboli, il gran cono elevato dalle acque che sembra voglia inabissarsi, ed il mare; lontano Capo Vaticano e più vicino Sant’Elia ferrigno.

E la vasta distesa di acqua salmastra, con lievi corrugamenti ove si specchia ancora chiaramente, con nitore favoloso, Scilla che appare come un’aquila protendendosi coi rostro sul castello dirupato.

Nuvole bianche, tepide, calme.

Regna eterna primavera in questa antica Bagnara, anche nel meriggio di gennaio. Ed il monte inebriato di vigneti assolati e frustati dal vento e dalla pioggia e dalla brezza marina, che il mare bagna i suoi piedi e la sua rena sa di vino e di pesche, di fango e di vertigini.

Poi la strada Nazionale, la diciottesima, quella che s’innesta all’Appia imperiale: costruita sul terreno regalato da questa gente parca e laboriosa, offerto perchè fiera del proprio animo.

Allora solo i carri sostavano su questa strada. Poi quando il motore ruppe la bellezza del silenzio, l’incanto della solitudine, la dolcezza della tranquillità, i vecchi di questi villaggi, allora bambini, rincorrevano e sorpassavano le prime macchine che avevano l’ardire d’iniziare l’erta salita.

Passò di qui Garibaldi e sostò vicino al Monte: da pochi anni è morto un vecchio che lo seguì fin lassù, bambino ancora, e d’allora nella frazione di Pellegrina venne chiamato Peppe Garibaldi.

Strada accostata, sopraelevata, minacciata, ostruita, aperta, affiancata da case vecchie e nuove, continue ed isolate, basse ed alte, che fanno ala armoniosa a questo nastro bianco in mezzo al verde, sempre verde e nuovo.

Questo da un terrapieno: e tutta l’ospitale Bagnara che si stende sotto gli occhi, casa per casa, strada per strada, segreto per segreto. Le sue monumentali chiese la confinano in piazze deserte ed appartate, vivide di luce e di sole. Ed intorno ondeggianti e freschi boschi, vigneti fragranti e ginestre che in primavera indorano le campagne e le strade,

A destra il Malopasso limpido dalle chiare sorgive che ristorano gli assetati, a sinistra lo Sfalassà turbolento, industriale che dà moto e luce.

Sono vicino alle acque termali sotterrate dal tempo e vedo il porto di Oreste, trincerato ora dai chiusi dei campo sportivo, animato dal ticchettio di giovani in corsa che da quassù appaiono come piccoli omini.

La sera!? Oh, la sera dì questa cittadina! Miriadi di luci, come lucciole vicine, ed un ammasso di stelle solcato da nuvole bianche!

In fondo le onde mormorano alla brezza che sembra accarezzi la trina che si disegna indefinita sul lido fresco.

La luna limpida immerge in un vasto chiarore il mare, la terra, il cielo, gli scogli irti ed ombrosi, le barche, i remi, la spuma del remo d’argento che scava un solco per il granello incessante d’ogni stilla di, mare.

Tutto è magnifico. Nel cielo Cassiopea è lontana, in mezzo alla luminosità delle stelle intorno ed al richiamo di Vega, tra la chiara nebbia della Via Lattea.

La bellezza di questa notte bagnarese sembra voglia inabissarsi in un bagliore di argento, in un incanto di luci, in una festa di chiarore!

La Marinella e il pesce spada

Domenico Capomolla

La chiesetta è addossata ad uno scoglio su cui fioriscono le ginestre e si schioma un grande pino selvatico; è protetta da altri scogli e dalla piccola campana di bordo squillante dal minuscolo campanile che sembra il cassero della goletta che, in una lontana notte turbinosa dei XVII secolo, si distese sulla ospitale sabbia, ancora fremente al maroso ardito. Intorno, balze costruite dall’industre audacia degli uomini, vigneti assolati e simmetriche case linde che si adagiano sulla pianura. Le acque salmastre la lambiscono nelle prime file e le colline impervie ed ubertose la difendono negli ultimi casolari.

Su un terrapieno arso la ferrovia luccica in una gola dalle pendici fresche, tra due gallerie abbrunite e nascoste e, vicina, la sorgiva risuonante, una delle tante, conosciuta dall’inquieto popolo come benefica agli ammalati di fegato e ai sofferenti del mal della pietra.

E’ il ridente rione della Marinella di Bagnara, popolato da pescatori dal viso irsuto e dalle mani odorose di alghe, che si apre alla vista di chi guarda da uno dei molti osservatori sul mare.

L’ho ammirata in un giorno di maggio fiorito, mentre in mare miriadi di barche erano all’erta per la pesca dei pesce-spada; ed intorno il grido delle guardie marine indicava il passaggio e la direzione esatta del pesce vorace.

Nessuna barca sulla spiaggia a poltrire sulle rose e forti “falanghe” lavorate, con antica arte, nel duro faggio del nostro Aspromonte.

Ad un tratto un’acuta sofferenza fisica invase gli astanti ad un’attenzione spasmodica si rivolse al mare verso una grande barca che, velocemente, si dirigeva nella corrente calma. Il grido dell’uomo di guardia era roco e penetrante, alto ed insistente a superare gli altri rumori e a penetrare con forza nell’atmosfera turbata dall’attesa. Un uomo era ritto sulla prua della imbarcazione audace e nel pugno vibrava la fiocina dalla punta infida che, più tardi, lanciata con vivace maestria, si apriva con le sue quattro alette prensili nella massa del pesce combattivo. Un turbinio di acqua spumeggiò all’irruente reazione del pesce colpito ed una macchia di sangue arrossò lievemente la superficie, del mare, dal legno, trascinato ora dalla forza del pesce spada mentre tentava di sfuggire invano al ferro che lo tratteneva e lo dissanguava.

La corda tesa tra la barca e l’acciaio infisso subiva strappi che, man mano, divenivano men forti fino ad esaurirsi.

Ed il pesce venne issato sui fianchi della barca che, a vogate, raggiungeva il proprio posto, nuovamente all’erta fino alla sera, fino alla nuova lotta per la rinnovata vittoria.

L’entusiasmo riempiva gli spettatori e, lassù, la guardia del mare più non gridava, sulla torre snella: pareva scolpita nel tufo.

A sera sulla spiaggia i pesci-spada sparsi sulla rena tiepida….Appoggiato alla carena d’una barca, uno dei lanciatori di fiocine smagliava una rete. I muscoli del suo braccio erano tozzi, pronti allo scatto sicuro, pronti a colpire il bersaglio vivente ed armato.

Tra le sue palpebre socchiuse gli occhi avevano il luccichio delle acque dei mare!

La grotta Rosarella

(Domenico Capomolla)

Sulla barca percorriamo la riviera nord, oltre la Marinella dalle case bianche, oltre il Ganziano dalle acque limpide e terse, oltre la torre dei Normanni primo ostacolo dirupato alle incursioni corsare. Sembra un lago tiepido questo mare racchiuso tra la costa calabra in semicerchio, la Sicilia e le isole Lipari e lo scafo lambisce appena le acque trasparenti che, lievi, fremono al passaggio silenzioso. Solo, il grido estasiato di quanti siamo ad ammirare l’incomparabile panorama che si stende ai nostri sguardi.

Si attraversa, dopo un promontorio, una cala tranquilla con uno scoglio accogliente ed assolato: la insenatura di Cava janculla dalla rena d’avorio ed abbondante. Lo scoglio è pieno di rondini in questo pomeriggio caldo: qui siamo in piena primavera!

Le apriche colline sono gaie con mandorli e pruni e peschi in fiore, con gemme di colori che gioiscono al tiepido sole ed alla brezza delicata: sembrano invase da fremiti d’amore che si trasmettono al vibrare del polline vagante ed inquieto,

La grotta!

L’ingresso si presenta sul mare con una larga fenditura nella Scogliera Il mare penetra limpido, sereno, con le sue acque azzurrognole trasparenti.

Sopra ed intorno qualche cespuglio che tende a fiorire e, a mezzo arco, un roseto incolto che inizia la primavera precoce con un bocciolo verdastro.

E mi ricorda il rifugio della dea marina! ElIa, stanca della corrente predace, si riposava lungi dallo sguardo profano sulla ospitale rena delicata come la sua nudità. La sua bellezza incantò il bel Ganziano che si innamorò perdutamente dì questa najade solitaria. Di nascosto posava quotidianamente una rosa fresca sulla ristretta spiaggia della grotta, un fìore rapito ai roseti della valle del Malopasso dalle acque chiare. Un giorno la dea, irata, minacciò l’ardito con la corrente ultrice ed il ganziano respinto, abbandonò la grotta: per il dolore chiese e venne trasformato in fiume perchè in ogni ora dei giorno potesse raggiungere con le sue acque la grotta vicina e depositare i petali di rose profumati sulle piccole onde e sulla rena fine.

La grotta Rosarella!

Il suo nome augurale me ne rammenta un altro venerato quello di una mamma sempre ìn vigile attesa che ancora sa l’arte antica di custodire il fuoco ogni giorno e di nascondere il tizzo entro la cenere, fino al novello mattino: sul suo viso stanco ed argentato si sovrappone il biondo ricordo vivente nel sorriso di bimba lontana.

Entriamo con í remi alzati, per l’apertura angusta e per la mole dell’imbarcazione, nell’antro naturale e vasto ed approdiamo sulla ristretta spiaggia e sulla sabbia breve.

Scendiamo in una chiara penombra, in un azzurro riflesso fra il profumo di alghe ed una luce abbagliante all’ingresso. L’acqua assume un colorito ferrigno sotto la ripa destra ed è verdastra sotto la ripa sinistra. Il fondo è terso ed ha il colore delle acque azzurre e delle pietre levigate. La cuora e l’ulva non maculano il nitore dei piccolo lido.

Oh! la vista da questo luogo marino nascosto nel mare e nella roccia, sempre in vedetta!

La scogliera di Scilla sprofondante nel mare, lo Stretto gemmato, i laghi di Ganzirri luccicanti danno una visione d’incomparabile bellezza, sempre rinnovantesi ad ogni tremolio delle onde e ad ogni riapparir di sole.

Le voci amiche rintronano lievi, nel chiuso della naturale crepa e le acque sembrano sorridere alla lode alta!

Al ritorno, dallo scoglio, delle rondini una folata di ali lìbra su noi e sentiamo ancora il profumo delle rose, il canto della najade ed il brusìo dei Ganziano corrucciato.

Mito ed incanto di Bagnara

(Domencio Capomolla)

“E’ una rete lunga 800 metri sostenuta alla superficie dalle prue di due barche e dai sugheri che si susseguono con un intervallo di mezzo metro per l’intero percorso; in mare si sprofonda nelle sue 116 maglie col peso di lamine di piombo, per circa 18 metri. In questo filo intrecciato dalla secolare esperienza il pesce spada s’imbatte, s’agita, combatte, si difende, s’impiglia, si divincola, s’incarcera e muore! Oltre la fiocina delle quattro alette prensili, la rete cattura fedelmente il pesce armato di spada. E la rete ci costa un inverno di lavoro paziente, noioso, tardo”.

, Eravamo su di una barca, al largo di Bagnara tra il Grugno e capo Pizzarello, tra gli scogli di Secolafora e quelli affioranti ed infidi di Casa quadrata.

Il vecchio marinaio, dalla faccia rugosa, che sembrava scolpito nel legno del quale era stato snellito il remo con cui agevolmente scavava un solco sul mare – si compiaceva parlarmi e quasi traeva forza dal suo stesso tono di voce che si rifletteva sulle acque nel luccichio delle onde arse.

«A noi piace questa vita dura che c’invecchia quotidianamente, perchè siamo nati nel mare e siamo stati battezzati con l’acqua e con il sale dello stesso nostro mare! Una volta c’era la Sirena, fuggita, dicono, dal gorgo di Napoli con Scilla l’allettatrice della Corrente vorace.

La Sirena si nascose nello scoglio e ci protesse sempre, perchè il nostro mare è sempre calmo: qualche volta è irato e allora….. son guaii »

Fermò quasi la barca per indicarmi il luogo della Sirena, ora incantevole terrapieno sulla strada nazionale, da cui si abbraccia tutto il panorama di Bagnara in una vampata di luce e di chiarore.

« Qui c’era il porto orestino ove sbarcò Oreste, quello che uccise la madre. Qui si fermò e la Sirena lo aiutò a scendere e gli indicò il fiume nelle sue sorgive, per andare a lavarsi del suo peccato e fugare dal suo corpo le Erinni furiose. E l’infelice salì fin lassù, s’immerse nelle acque limpide, riprese nuova vita e diventò mondo dei delitto commesso.

Ripartì lasciando in noi il suo ricordo nel continuo scorrere dei fiume perenne, nei roseti pieni di profumo e nel piccolo porto sereno. La Sirena gli cantò una nenia dolce per rendergli sicuro il mare e lieto il cammino ed in certe notti, noi, sul mare con le lampare accecanti e le Plejadi miccanti sul capo, la sentiamo ed allora le rispondiamo con le tube marine che portano il nostro saluto saltellante di onda in onda ».

Ely la mia compagna di barca, guardava con occhio socchiuso la vasta visione reale che si apriva davanti e la divinizzava col mito che scaturiva solenne dalla inquieta voce dei marinaio.

Pensava alla Sirena fuggita, forse attratta dall’ incanto del luogo, fosse attirata dal maroso forte, pensava a Clitennestra impudica ed ad Oreste, intriso del sangue materno, nell’avacro del Malopasso, e inventava con le sue labbra contratte la melodia della Sirena ospitale.

– “ Questa è la grotta Rosarella, ove la Najade veniva a riposarsi, piena di petali di rose trasportate dal Ganziano innamorato!”

La illusione delicata ed il mito galante attrassero l’amica che mi incitò a penetrare con la barca nella grotta fresca ed ampia.

Qui tutto era quiete e le penombre, fugate dall’attesa della luce, chiarirono la bellezza di questa immensa grotta sul mare, invasa dalle acque azzurrognole.

La barca si arrestò dolcemente sulla spiaggia entro la grotta e l’arnica gentile balzò sulla rena fine e bianca.

Guardava fremente il fondo marino biancastro ed azzurro, con acque calme e limpide: a pochi Passi, fuori la grotta, l’onda si rompeva sulla scogliera e, dentro, arrivava soltanto il suo vano mormorio.

Osservai Ely, ín questo incantevole e quasi disumano contrasto, e notai sul suo volto un pallore soave mentre i suoi occhi si dilatavano e le sue labbra tumide vibravano di ansietà.

« Come sarebbe bello, oggi, rapire all’onda l’intimo della sua gioia e dei suo spasimo, della sua potenza e della sua bellezza; come sarebbe grande gioire entro le acque e in queste acque quiete rapidamente sparire!»

Parlava con voce accorata e con un velo d’intensa attesa, nella grotta che vide la giovinezza della najade e che inebriava nella dolcezza della natura, racchiusa nel cavo di uno scoglio riflettentesi nel proprio specchio di mare.

Lontano, dall’apertura remota, il luccichio diventava focoso l’aria calda apportava un caldo vibrar d’ali.

L’urlo del mare rimbomba nelle case nei giorni di bufera e la carezza salutare, lieve, si distende su tutta Bagnara nelle infinite giornate serene. Il viale Turati, a pochi metri dalla spiaggia renosa, si spazia, recentemente alberato, in una lunga e rettilinea passeggiata. La strada nazionale attraversa la cittadina, in un nastro lindo che si inerpica, più tardi, per la visione di panorami indimenticabili. La ferrovia è nel centro dell’abitato e quotidianamente deposita centinaia di viaggiatori.

Questa è la situazione turistica di Bagnara dal punto di vista delle comunicazioni, perfezionata da una rete di moderni autobus che raggiungono la stessa Reggio e tutto il retroterra, la piana solatia e l’Aspromonte frondoso ed alto: meta agognata di’ 2000 metri per vedere sorgere il sole dal mare Ionio ed ammirarsi proiettati in quello Tirreno. Vari mezzi rapidi lasciano il turista in mezzo alla bellezza di questo centro e molte volte si incontrano nello stesso punto i gitanti che provengono dal mare, che viaggiano sul treno e che discendono dai predellini di autopulman. Più tardi si spargliano a gruppetti. Sul Grugno di Martorano, vecchio scoglio alberato, dal pianoro su cui è sistemata una villetta con vasca mormorante nel getto forzato su di un pesce-spada immerso, un capannello ammira il panorama chiassoso di case, il corrugarsi del mare, le ombre dei monti, il luccichio dei fiumi!  All’Affacciata, sul fiume Gaziano, ampia terrazza che sprofonda sul mare, un gruppo più compatto si serve di binocoli. E il turista  guarda in ogni direzione, perchè la scelta è difficile sia che si volga verso Solano, dalle case appollaiate sulle pendici d’una collina ubertosa e tufacea che vide il combattimento dei garibaldini; che s’indugi sul rapido Sfalassà dalle industrie elettriche, boschive e cartarie; che il suo occhio si socchiuda al bagliore delle Scilla che specchiano, novella fata Morgana, il ridente paesetto; che si dilunghi nello Stretto fino alle prime case di Messina; che si  fermi a punta Faro luccicante per i laghi Ganzirri con tutta la  costa orientale della Sicilia; oppure che si distragga nelle isole Eolie; che voglia ricercare nel cono incavato il tumacchio di  Vulcano; che ondeggi lontano per il golfo di Squillace nel suo capo Vaticano; che si disperda nel golfo di Gioia con la rupe di S. Elia fresca ed incantevole; che ammiri lo speco marino grotta Rosarella; che si avvicini con lo sguardo incanto Bagnara, adagiata soavemente sulla sabbia e sulla scogliera e tra i boschi; che voglia riguardare la spiaggia pullulante di barche operose; che intenda rivedere da lontano i luoghi di arrivo, vicini fra loro, ed additare l’imbarcadero, la ferrovia e la stazione automobilistica. I turisti incantati non chiedono altro che spiegazioni notizie e località.

Qui vogliono fermarsi.

Inutilmente si tende a portarli oltre per rendere loro più interessante il viaggio e più varia la gita.

Non sentono il bisogno di aggiungere altre visioni a questa meraviglia incomparabile! Non v’è altro luogo migliore per rimanere entusiasti, accontentati appieno. E vogliono ancora rivedere, ancora guardare e più non bastono le pellicole prodighe. Li v’era l’antica abbazia, più avanti il merlato castello dal ponte levatoio, a sinistra il nuovo artistico ed incantevole palazzo dai fioriti giardini pensili, in mezzo il ponte Caravilla che spicca nelle ardite sue luci, lassù i Cappuccinì vecchi dalla chiesa ridotta ad una stanzetta disadorna o ad una campanella sospesa al tronco di un albero, più in là il Belvedere dei Cappuccini nuovi! Bisogna andare li per ammirare ancora! Ancora? Sempre!!!

Ed ancora in altri luoghi dì questa Bagnara sempre più belli!

 

Post Author: Gianni Saffioti