La collegiata di Bagnara Calabra. Can. Macrì 1905

La collegiata di Bagnara Calabra. Can. Macrì 1905

<>

testo completo in pdf

per accedere al libro se è richiesta  la password digitare: saffioti

LA COLLEGIATA del canonico Francesco Macri

Prima parte – L’Abazia Nullius di Bagnara, fondata dal Conte Ruggero I. l’ anno 1085, dal medesimo dotata di una rendita annua di duecentosettantamila lire, fu sempre oggetto di predilezione dei Romani Pontefici e di singolare protezione dei Sovrani che si succedettero nell’ex-reame di Napoli. Tale reddito annuo della nostra Chiesa cominciò ad essere sfruttato per la prima volta, allor che il Papa Sisto V togliendo la direzione della nostra Abazia ai Canonici Regolari di S. Giovanni in Laterano, cui era stata concessa in commenda dal Pontefice Paolo II, la diede in perpetua commenda ai Canonici secolari lateranesi. Questi, non potendo comodamente amministrare il vistosissimo patrimonio della nostra Chiesa, cedettero i diritti sulla nostra Abazia, e su tutte le sue proprietà a Giacomo Ruffo per ventiduemila scudi, somma abbastanza esigua ìn proporzione del reddito annuo dì 70000 lire che si percepivano ogni anno dai fondi annessi alla nostra Chiesa. Giacomo Ruffo, rimasto possessore di tutti i beni e di tutti i diritti della nostra Abazia, se ne servi comodamente a suo bell’agio.

     Nel 1582, avendo egli stesso data l’amministrazione parrocchiale dell’ Abazia a un Priore e a quindici frati Domenicani, il patrimonio della nostra Chiesa lentamente fu depauperato per colpa dei suoi amministratori. Al tempo del Concordato conchiuso tra il Pontefice Pio VII e Ferdinando I, 16 febbraio 1818, l’Abazia, di Bagnara aveva una rendita annua superiore, ad ottocento ducati, e fin’oggi la nostra Chiesa conserva una rendita annua di lire duemilacequecentoquarantadue non ostante più di mille lire siano ingiustamente pappolate da ingiusti possessori di mala fede, non ostante i latifondi di S. Lucia e di Melicucco appartenenti al patrimonio della nostra chiesa siano in gran parte incolti. Tale rendita rimasta esclusivamente per la nostra Chiesa si percepisce intera fin’oggi ed è cosi ripartita: lire novecentoventisei e cinquanta centesimi da un affitto di molini, siti presso il fiume Sfalassà; lire milleduecentosettana e cinquantacinque centesimi da censi vari, oltre lire trecentocinquantacinque di rendita per denaro depositato al Gran libro. Ora, il Concordato del 1818, all’art.3. stabiliva: ( Le Abbadie le quali si trovano con la rendita al di là di cinquecento ducati annui rimarranno senza essere aggregate).

Per necessaria conseguenza, l’Abazìa di Bagnara – che fin dal 1085 esercitava la giurisdizione quasi vescovile sopra trentatre chiese di cui ventidue esistenti in Sicilia, ch’ era l’ Abazia più, antica e la più insigne del regno napoletano, arricchita nel passato da amplissimi privilegi, immediatamente soggetta alla S. Sede, patrona per parecchi secoli del dominio spirituale e temporale, rimanendo libera da ogni tributo – avendo, nell’anno 1818, una rendita annua superiore ai cinquecento ducati voluti dal Concordato, a preferenza delle cinque Abazie conservate, dovea giustamente formare essa la prima eccezione. Non a torto i nostri antichi Canonici protestarono altamente contro si aperta ingiustizia presso il Re Ferdinando I, il quale pienamente persuaso delle ragioni addottate dal Capitolo bagnarese, con replicati sovrani rescrítti diè severissimo ordine che « Nulla si innovasse nella Chiesa di Bagnara.» Nullameno l’Arcivescovo di Reggio pro tempore che avea avuto la sorveglianza su l’Abazía di Bagnara per delegazione del Cardinale Caracciolo, curò di far morire sul nascere i lamenti del nostro Capitolo: tolse cioè la base fondamentale su cui poggiavano i loro lamenti; di pieno accordo con la Commissione diocesana che ne amministrava temporanearnente i beni, divise e suddivise la rendita della chiesa di Bagnara da ridurla a meno dei cinquecento ducati voluti dal Concordato.

 Ciò che assolutamente non poteva farsi.

 All’art. 3. del Concordato fu stabilito che ( I fondi delle Abadie aventi una rendita, annua minore ai cinquecento ducati [ quando non siano juspatronato] o si aggregheranno ad altre Abbadie ecclesiastiche, fino alla somma di ducati cinquecento, o ne sarà disposto a favore dei Capitoli e delle parrocchie ). All’ art. 19 del Concordato medesimo si avverte:« Questa disposizione (di applicare cioè a varie chiese, collegi, monasteri le rendite delle Abbadie) non comprende i benefizí e le Abbadie di regio Patronato, nè quelli i cui beni sono alienati ». La Chiesa di Bagnara, in virtù della Bolla di fondazione e in forza del Concordato fu riconosciuta e messa nel numero delle chiese di Reggio Patronato, e anche oggi è considerata come tale dal Re e dalla S. Sede. Non sappiamo con quale criterio di giustizia i beni della nostra chiesa furono dilapidati dalla Commissione diocesiana e divisi: Cento ducati a cantanti della Cattedrale di Reggio, Più di cento ducati alla parrocchia di Natisi, 70 ducati circa alla parrocchia dello spirito Santo di Reggio.

     Poiché la nostra chiesa oggi come nel passato, è di Regio patronato, per quale ragione non deve riavere tali suoi beni ingiustamente sottrattile, posseduti sempre in mala fede dagli usurpatori, avendo sempre protestato il Capitolo di Bagnara contro simili saccheggi? Reintegrando tali suoi beni , la nostra Chiesa, non solo la parrocchia, ma la Collegiata può avere conveniente dotazione, giusta la disposizione dell’ Art. 3 del Concordato. La nostra Abazia ad ogni costo la si volle per gelosia soppressa, allegandosi come pretesto che avea una rendita inferiore ai cinquecento ducati ma, come va che nonostante i su accennati saccheggi, in atto la rendita annua della nostra Chiesa è di lire 2542 bastevole per essere conservata Abbazia nullius?

Post Author: Gianni Saffioti